Il successo di Squid Game ha puntato i riflettori – come già era avvenuto, anche se con un pubblico più ristretto, con Parasite – sui prodotti di intrattenimento provenienti dalla Corea del Sud: non ci sarà da stupirsi quindi se, nei prossimi mesi, sulle varie piattaforme troveremo sempre più spesso film e serie TV di fattura sudcoreana, nel tentativo dei vari colossi dello streaming di cavalcare l’onda dell’interesse ottenuto dal gioco del calamaro di Hwang Dong-hyuk (che ne ha già in cantiere una seconda stagione). Su Netflix è da poco arrivata Hellbound, una nuova serie di matrice sudcoreana, che per violenza non ha nulla da invidiare a Squid Game, ma che si muove in territori leggermente diversi, quelli dell’horror sovrannaturale. D’altronde il regista è Yeon Sang-ho, che nel 2016 portò al cinema Train to Busan, l’adrenalinico resoconto di un’epidemia zombie: anche nel caso di Hellbound si parla di ciò che accade dopo la morte, ma al posto di orde di individui infettati che tornano in vita, troviamo delle mostruose creature che arrivano sulla terra per trascinare alcune persone (previamente selezionate) nell’Aldilà. Le stesse persone che hanno ricevuto, qualche tempo prima, la profezia di un angelo (o presunto tale) che gli annunciava la data della loro morte ed il fatto che fossero inevitabilmente destinate all’inferno.
Che cosa accadrebbe se il divino facesse capolino nelle nostre vite per punirci dei nostri peccati? O se la ragione per cui veniamo portati all’inferno non dipendesse dalle nostre cattive azioni in vita e fosse semplicemente un oscuro gioco del fato? Hellbound, che è tratta dal webtoon omonimo di Choi Kyu-seok (co-creatore della serie), si interroga su una serie di temi diversi, che hanno tutti a che vedere con il rapporto con la fede e con la religione, con il valore del libero arbitrio, con la mercificazione del dolore e con la pericolosità di ogni tipo di estremismo.
Dalle poche premesse che vi abbiamo dato sulla trama e sul contenuto di questo prodotto seriale è evidente che – seppur capace di raccontarci gli estremi di società e di una cultura diversa, ma forse non così lontana, dalla nostra – ha poco a che fare con Squid Game e con il messaggio che ci voleva trasmettere. Vale comunque la pena di recuperarla? A nostro parere assolutamente sì, siamo sicuri infatti che lo spettatore che vi si approccerà, probabilmente ricercando le stesse atmosfere evocate da Squid Game, ne resterà comunque affascinato e coinvolto, ritrovandosi a finirla tutta d’un fiato in una lunga sessione di binge watching.
La terrificante scena d’apertura
Una serie deve catturare il pubblico fin dalla sua scena di apertura, e quella di Hellbound è il perfetto biglietto da visita e d’ingresso nel mondo terrificante che Yeon Sang-ho e Choi Kyu-seok sono in procinto di creare. Ci troviamo a Seul, un gruppo di ragazzi chiacchiera placidamente in una caffetteria, commentando la diretta streaming di un uomo, Jeong Jin-soo (Yoo Ah-in), che racconta di come delle strane creature infernali facciano sempre più spesso la loro comparsa, in diversi luoghi del mondo, per portare i peccatori all’Inferno. La sua spiegazione del fenomeno, infatti, è molto semplice: solo se si ha vissuto una vita nel peccato, lontano dagli insegnamenti di Dio, si riceverà una profezia con la data della propria morte e si verrà poi (violentemente) trascinati nell’Aldilà. L’arrivo degli angeli e degli emissari infernali sulla terra è quindi un chiaro segnale di come Dio si sia stufato del modo in cui le persone conducono le proprie vite, e si sia deciso a punirle come meritano. Nessuno dei ragazzi presenti sembra particolarmente convinto, anzi sono quasi certi che i filmati mostrati da Jeong Jin-soo (in cui si vedono le mostruose creature in azione) siano solo frutto di effetti speciali ben realizzati.
La cose, però, cambiano molto in fretta, la calma della caffetteria viene velocemente spazzata via dall’ingresso in scena delle stesse furiose creature. La vittima designata? Un anonimo avventore che viene inseguito in strada, preso e brutalmente massacrato. Ovviamente sotto gli occhi di centinaia di persone (e delle fotocamere dei loro cellulari) che presto renderanno virale l’accaduto.
Il ritmo, in seguito all’adrenalica scena di apertura, viene poi frenato di colpo, dando al tempo allo spettatore di conoscere i personaggi attorno a cui ruota la vicenda e spostando l’attenzione non tanto sull’elemento sovrannaturale ma su come la società reagisce – e si riassesta – dopo quanto accaduto.
Un cast sempre all’altezza
Tra i grandi pregi della serie, come ci rendiamo conto fin dal primo episodio, è l’ottimo cast che interpreta personaggi appartenenti alle diverse fazioni: chi fa del (presunto) messaggio divino una missione di vita e si vota a seguirne i nuovi precetti (Jeong Jin-soo è a capo di una setta, la Nuova Verità) e chi è sempre più scettico nei confronti della situazione, non particolarmente sicuro di chi sia il vero responsabile di quanto sta accadendo.
Da una parte abbiamo ovviamente Jeong Jin-soo, interpretato da Yoo Ah-in, che è capace di rendere il suo personaggio sottilmente inquietante, spingendo lo spettatore per grand parte dei primi episodi a chiedersi non tanto chi siano angeli e creature infernali ma che cosa lui stia tramando. Dal lato opposto troviamo poi Jin Kyeong-hoon (Yang Ik-june), un disincantato detective che indaga su quanto sta succedendo, e Min Hye-jin (Kim Hyun-joo), un’avvocatessa forte e risoluta, pronta a difendere le vittime di una società che sta velocemente precipitando nel caos.
Questi tre personaggi sono fondamentali nel farsi portavoce di tutti i problemi etici che l’arrivo del divino sulla terra fa sorgere, mostrando diversi punti di vista e sfaccettature della questione. Le interpretazioni dei tre attori, poi, sono sempre intense e credibili al punto da trasportarci nella realtà che prende vita sullo schermo, costringendo chi guarda a chiedersi che cosa farebbe (e da che parte sarebbe stato) se una cosa del genere accadesse veramente.
Cambiamenti sociali e culturali
A differenza di quello che ci si potrebbe aspettare da una serie come questa – sopratutto visto le premesse che vi abbiamo dato – il sovrannaturale non è poi così presente in Hellbound (vista poi la qualità non proprio eccelsa della CGI non se ne sente fin troppo la mancanza). L’interesse dei suoi creatori non è, infatti, quello di puntare sulle sequenza più action e sui momenti in cui le diverse entità fanno il loro ingresso in scena, ma invece quello interrogarsi sulle diverse reazioni delle persone che ne sono testimoni. La prima parte della serie, i primi tre episodi (in seguito la storia prenderà svolte leggermente diverse) non vogliono quindi spiegare che cosa sta accadendo, ma esplorare come la diverse parti della società reagiranno.
Le persone sono – ovviamente e comprensibilmente – terrorizzate, anche perché le autorità non sanno assolutamente come rispondere all’emergenza in atto (e ce ne rendiamo conto attraverso il personaggio di Jin Kyeong-hoon, il detective), e per questa ragione cercano protezione in autorità “nuove”, come la Nuova Verità di Jeong Jin-soo, che per questo diventerà una figura sempre più centrale. Come dicevamo, il motore dello sviluppo narrativo della prima parte della serie non è tanto scoprire chi sono e cosa vogliono in realtà le creature che ogni tanto fanno la loro incursione sulla terra, ma capire che cosa stia tramando Jeong Jin-soo, un personaggio assolutamente umano ma che, ci accorgeremo molto presto, è capace di decidere del destino della Corea con le sue azioni.
Il vero mostro siamo noi
Hellbound non lesina dal punto di vista della violenza e dei copiosi spargimenti di sangue: molte persone vengono brutalmente massacrate e torturate, spesso fino alla morte. Per quanto a volte ci spinga a distogliere lo sguardo dallo schermo la violenza che vediamo non è fine a se stessa: da una parte quella perpetrata dagli emissari infernali serve a giustificare l’enorme terrore instaurato dalle creature nelle persone (che altro possono essere se non demoni, visto come riducono le loro vittime?), dall’altra quella messa in atto da una fetta sempre più grande della popolazione, che è funzionale a dare una rappresentazione realistica di come la paura possa portare all’odio, ad una brutale aggressività e al fanatismo. Un po’ come accadeva in Train to Busan (e in molti altri riuscitissimi horror) anche in Hellbound a spaventare di più sono le persone, non tanto le creature mostruose che ogni tanto fanno la loro comparsa (e che comunque non lasciano di certo indifferenti, questo va detto).
Hellbound, a differenza di Train to Busan in cui tutto accade molto velocemente, si prende il suo tempo per raccontare come la società – in questo caso quella coreana, ma viene fatto intendere che cambiamenti simili stanno avendo luogo anche nel resto del mondo – si trasforma, mostrandoci un processo lungo e complesso, in cui i fattori in gioco dono diversi. Vedere come determinate persone – guidate in certi casi dalla fede, in altri dalla paura o anche solo dal semplice egoismo – scelgano consapevolmente di fare del male è assolutamente terrificante, ed è capace di toccarci nel profondo perché, ancora una volta, ci porta a domandarci come ci saremmo comportati noi, come avremmo reagito, in una situazione simile. Che cosa accadrebbe, poi, alle nostre società, se facesse capolino una minaccia di questo tipo? Hellbond dipinge in maniera estremamente realistica un concreto scenario in cui la perdita di fiducia nelle istituzioni porta all’insorgere di fanatismi e veri e propri complottismi.