“Abbiamo bisogno di divertimento e avventura”, non è solo la frase pronunciata all’inizio del trailer de La serie di Cuphead!, uscita il 18 Febbraio su Netflix. Ma è stato il monito che forse ha accompagnato il successo dei fratelli Chad e Jared Moldenhauer, coloro che hanno dato vita all’Isola Calamaio e ai suoi strampalati abitanti. Divertimento e avventura: un marchio di fabbrica che la coppia ha tratto dalle profetiche parole del mascherato verdognolo più famoso al mondo: The Mask: “È il momento di fare casino!“.
Loro hanno fatto sia casino che rumore il 29 Settembre 2017. Scopriamo come.
Tutte le tazzine riescono col buco
“Metal Slug”, “Commando”, “Ikari Warriors”. Se chiedete a un qualsiasi appassionato di videogiochi di consigliarvi un “Run and Gun”, molti vi butteranno lì pezzi iconici del mondo ludico, una sfilza di nomi che nel periodo degli Arcade rivoluzionarono il genere. Un po’ come Twitch ai giorni nostri. Petali e perle da noi amati come “Alien Soldiers” del ’95 di casa Treasure; oppure “Gunstar Heroes” che nel ’93 sul piccolo capolavoro SEGA Game Gears trovò modo e tempo di dare ai “Run ‘n Gun” nuova linfa.
Ma in un periodo di sperimentazioni e scoperte, le leggi del mercato cercavano e chiedevano qualcosa di diverso: una miscellanea tra il nuovo e il vecchio, tra le origini e lo spirito più moderno dei videogiochi. Fu allora che entrarono in gioco lo Studio MDHR e i fratelli Moldenhauer, i creatori di Cuphead.
Lo sviluppo cominciò nel 2010, anno di grazia dei videogiochi: Super Mario Galaxy, la Rockstar con Red Dead Redemption, la Treyarch in combo con Activision che piazzò sul mercato Call of Duty: Black Ops e potremmo proseguire con Fallout: New Vegas e il piccolo gioiello Electronics Art chiamato Dante’s Inferno. I Moldenhauer non elaborarono e svilupparono il gioco in un grosso ufficio sul Sunset Boulevard o tra i palazzoni dell’economia di New York, ma nelle loro case a Oakville e Regina, un po’ come la prima sede della Apple nel garage dei genitori di Steve Jobs.
Chad e Jared riuscirono a dare un’impronta molto diversa all’idea base del loro gioco utilizzando il motore della Unity e lasciandosi ispirare dai primi anni dell’età d’oro dell’animazione Disney e della Fleischer Studio. Vi dicono nulla Betty Boop e Braccio Di Ferro? In particolare, i loro fumettisti di riferimento erano Ub Iwerks, l’uomo che adattò una macchina fotocopiatrice per trasferire i disegni direttamente sui fotogrammi e che permise di risparmiare molto lavoro agli animatori. La tecnica venne utilizzata per la prima volta ne “La Carica dei 101”. Oppure Grim Natwick che insieme a Max Fleischer diede vita su Talkartoon proprio a Betty Boop; o ancora Willard Bowsky che ebbe successo proprio col marinaio affamato di spinaci.
Secondo i Moldenhauer quello stile così surrealista e sovversivo di certe case di animazione era perfetto per descrivere la loro idea e cercare di sfondare nel mercato dei videogiochi, riportando in auge i “Run ‘n Gun” attraverso una grafica innovativa e affidando al pubblico un prodotto che sapesse mescolare boss fight di livello crescente ai ricordi d’infanzia. I fratelli, grazie a regali e compilation, avevano visto diversi cartoni animati da bambini e condividevano la passione per i videogiochi. Dalla passione alla pratica il passo fu breve ma non troppo.
Nel 2000 provarono a creare un gioco nello stile di Cuphead, ma la mancanza di fondi bloccò il progetto, ci riprovarono nel 2010 dopo il grande successo di Super Meat Boy creato da Tommy Refenes, Edmund McMillen e Kyle Pulver. I presupposti per il successo c’erano e anche il progetto, mancavano i protagonisti.
Il personaggio che poi divenne Cuphead discende da un film d’animazione di propaganda giapponese del 1936 con un personaggio con una tazza da tè al posto della testa. Ma prima di arrivare alla tazzina più famosa dei giochi, i fratelli crearono circa centocinquanta diversi modelli di personaggi, tra cui un kappa (animale della mitologia giapponese) che indossava un cappello a cilindro e characters con un piatto o una forchetta al posto della testa. Un miscuglio perfetto tra l’animazione Disney, le stranezze degli arcade anni novanta e una sottile dose di follia che accompagna chi sa sognare attraverso un disegno; come suggeriva Lex Luthor: “qualcuno legge le istruzioni di un chewing-gum e scopre i segreti dell’universo”.
Run and gun and stream
L’uscita di “Cuphead” andò benissimo e tra il 2017 e il 2018 per contare i premi vinti non basterebbero le braccia di Goro di Mortal Kombat. ‘Miglior debutto per un gioco Indie’, ‘Miglior gioco indipendente’, ‘Proprietà intellettuale con più seguito’, ‘Best Visual Design’ e potremmo andare avanti per ore, citando awards noti e meno noti. Ma fu l’audience a portare ‘Cuphead’ in cima alle classifiche, trasformando un gioco indie in un fenomeno di massa, destinato a competere con i colossi del genere: Metal Slug o Alien Soldiers.
Era inevitabile che nel palleggio continuo tra Netflix e Prime Video per la miglior serie animata, un videogioco come ‘Cuphead’ finisse sotto i riflettori dello streaming, il mercato del presente e forse del futuro.
L’effetto domino e transmediale che attraversa l’attuale mondo ludico, ha ricordato a molti le parole di Doc nel capolavoro Ritorno al futuro: “Indietro nel futuro”. Un complesso scambio tra le origini e il presente, alla ricerca della giusta perfezione grafica, perché le major hanno capito che il linguaggio animato è il punto di incontro tra il prodotto d’autore e il fan service. Un’addizione semplice: una community già affermata + il successo di anime e manga = streaming per tutti i giovani e tutte le famiglie.
Facciamo un esempio: League of Legends, che raccoglie da più di dieci anni persone da tutto il mondo, è diventato Arcane, una delle serie più apprezzate di sempre, capace di alzare l’asticella delle aspettative. Critical Role e la leggenda di Vox Machina: un fenomeno mediatico da 11 milioni su Kickstarter e altrettanti spettatori su Twitch e Youtube, giunto su Prime Video e balzato agli onori della cronaca per il suo modo di saper raccontare D&D come un vero giocatore farebbe, senza inutili orpelli.
“Cuphead” è solo la punta dell’iceberg, come “The Last of Us”, videogiochi prestati al mondo dello streaming. Se fino a qualche anno fa arrivare sul grande schermo era il termine ultimo, l’apice di un prodotto per gamer (Resident Evil, Tomb Raider, Prince of Persia, Assassin’s Creed), oggi, grazie alle piattaforme di streaming, diventare una collezione seriale è un passaggio chiave per un videogioco, l’attuale massimo attestato di stima verso una firma ludica.
“Cuphead” è l’emblema di un altro dettaglio della differenza di visione tra le origini e il presente: il modo di raccontare una storia. I precedenti film dedicati ai videogiochi facevano della community e basta il loro punto di forza, spesso associato a una qualità bassa o a tempi narrativi dilatati o a errori nel proseguo della trama. Molte volte un iniziale successo al botteghino o le forti aspettative hanno poi condotto il film nel dimenticatoio. Come per esempio “Warcraft” tratto dal capolavoro Blizzard o “Need for Speed” che ha riempito i pomeriggi di molti millennials. Oggi il pubblico (e quindi le produzioni e le major) vuole di più. Non basta più la citazione a un grande personaggio o una celebre battuta per riempire le sale o i divani o per ampliare lo sbigliettamento o aumentare gli abbonamenti alle piattaforme, né una trafila di bei disegni e situazioni tipiche del videogioco. Non basta più vedere Lara Croft saltare da una trave all’altra, né Scorpion attivare la sua fatality: l’audience vuole penetrare nella psicologia dei character e immedesimarsi nelle azioni che hanno potuto solo replicare attraverso un joypad qualsiasi.
Come dicevamo in apertura, riprendendo il trailer di “Cuphead”: “Abbiamo bisogno di divertimento e avventura”.
Già ma anche di trame sofisticate, momenti commoventi, emozioni forti, personaggi duraturi. Abbiamo bisogno di videogiochi capaci di diventare serie e film a un primo sguardo. Lo chiede il pubblico, lo chiede il mercato del futuro, ponendo l’accento su una massima spiegata così bene da Renè Ferretti: ‘Qualità o morte’ e il Cuphead Show è pronto a darci una lezione.
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