A partire dal 25 ottobre è disponibile su Netflix la serie antologica Cabinet of Curiosities, creata e prodotta dal regista premio Oscar Guillermo del Toro (qui potete leggere la nostra recensione della serie). Nonostante l’autore messicano non sia il regista degli otto episodi autoconclusivi che costituiscono la serie horror ha affidato ad altrettanti talentuosi cineasti contemporanei la supervisione dietro la macchina da presa delle storie del terrore che vengono raccontate nella serie Netflix.
Otto registi diversi per otto episodi che hanno a che fare con il soprannaturale e le sue conseguenze nella vita quotidiana dei protagonisti; sette su otto sono le puntate di Cabinet of Curiosities ispirate a racconti e short stories già pubblicate, tutte con un minimo comun denominatore di forte ispirazione: lo scrittore statunitense H.P. Lovecraft e i suoi terrificanti racconti dell’incubo dedicati a quello che la critica letteraria aveva già rinominato come “orrore cosmico”. Per questa ragione riteniamo che la serie antologica di Guillermo del Toro sia, nel bene o nel male, il migliore omaggio audiovisivo che si potesse fare all’eredità iconografica dello scrittore americano.
Lo scrigno degli orrori di Guillermo del Toro
Benvenuti nel wunderkammer di Guillermo del Toro, il suo gabinetto delle curiosità. Nato agli inizi del Cinquecento con il nome di “camera delle meraviglie”, il gabinetto delle curiosità ha avuto il suo massimo splendore in concomitanza con l’Illuminismo del XVIII secolo, quando nobili, aristocratici e collezionisti si impossessavano di oggetti artificiali o meraviglie della Natura talmente unici nel loro genere che non potevano che generare invidia e stupore in chi li ammirava. In poche parole, queste stanze delle meraviglie non hanno fatto altro che anticipare la struttura e le modalità espositive dei musei, senza però condividerne la metodologia di categorizzazione degli oggetti.
Guillermo del Toro, che possiede veramente una casa-museo adornata di oggetti, modellini e ricostruzioni delle creature fantastiche e mitologiche che hanno influenzato il suo cinema, ha deciso di regalare al vasto pubblico di Netflix un po’ di quel brivido che si prova ammirando il suo privato “gabinetto delle curiosità”. Un invito, quello del regista messicano, ad entrare nella sua mente geniale e nelle sue passioni di una vita, dando alla luce un omaggio sentito e stimolante a quello che del Toro stesso ha da sempre considerato il suo padre letterario: H.P. Lovecraft.
Un omaggio all’orrore cosmico di Lovecraft
La serie antologica è composta da otto episodi autoconclusivi, tutti liberamente ispirati a racconti brevi di vari autori, tranne l’originale “La visita”, basato su una sceneggiatura originale del regista Panos Cosmatos. Due di questi episodi sono trasposizioni per il piccolo schermo di racconti brevi tra i più celebri ed esplicativi della poetica letteraria di Howard Phillip Lovecraft. “Il modello di Pickman” e “Sogni nella casa stregata” sono, a tutti gli effetti, i capitoli manifesto dell’intera pretesa audiovisiva di Cabinet of Curiosities, meditazione tra il grottesco, l’orripilante ed il faceto di tutta l’eredità narrativa ed iconografica del tenebroso ed enigmatico scrittore americano.
Entrambi gli episodi, rispettivamente diretti da Keith Thomas e Catherine Hardwicke, hanno a che fare da molto vicino con quello che la critica letteraria successiva alla morte di Lovecreaft ha ribattezzato “l’orrore cosmico”. Secondo gli scritti dell’autore di Providence, la vita dell’essere umano su questa Terra è priva di alcun significato e di obiettivi tendenti ad una gloria ultraterrena, perché questi ultimi non scientificamente provati; secondo Lovecraft, tutti i meccanismi interiori ed esteriori all’uomo sono perfettamente comprensibili attraverso leggi scientifiche e comprovate, inclusa la sfera soprannaturale. Proprio quest’ultima assume una posizione privilegiata nei suoi romanzi e racconti più famosi, in cui i protagonisti si imbattono in creature mostruose e mitologiche che paiono provenire dal cielo o dalle profondità della terra e degli oceani; un “orrore cosmico” che permea tutta la realtà che circonda l’essere umano, abbracciando sia il microcosmo delle piccole cose quotidiane che il macrocosmo dell’universo stesso.
Un episodio su tutti: Il modello di Pickman
Teorie affascinanti di cui tutta Cabinet of Curiosities è fortemente imbevuta in quasi ogni singolo episodio; ogni capitolo della serie antologica pone il protagonista di fronte ad un ribaltamento del proprio punto di vista quotidiano ed ordinario nel momento in cui entra in contatto ravvicinato con eventi sovrannaturali più grandi di lui e creature innominabili che minacciano l’incolumità della vita sulla Terra. Per tali ragioni l’episodio Il modello di Pickman diretto da Keith Thomas ed ispirato proprio ad uno dei racconti brevi più emblematici di Lovecraft, racchiude alla perfezione la poetica dello scrittore statunitense e la peculiarità citazionista della serie creata da del Toro.
Il quinto episodio della serie si apre con l’instaurarsi della curiosa amicizia tra lo studente d’arte Will Thurber (Ben Barnes) e l’ombroso pittore Richard Pickman (Crispin Glover), le cui orribili opere d’arte raffiguranti demoni e scene raccapriccianti lo affascinano moltissimo; peccato che la visione stessa dei quadri inquietanti realizzati da Pickman instauri nel cervello di Will una sequela di sogni ed incubi raccapriccianti che lo trascinano sempre più nella pazzia. L’enigmatico Richard Pickman afferma, ad un certo punto dell’episodio, che i soggetti mostruosi dei suoi quadri non sono frutto della sua fervida immaginazione, bensì fanno parte della realtà quotidiana e dell’immediato futuro; una rivelazione sconcertante per chiunque, capace di portare ogni essere umano sano di mente alla follia. E se i mostri esistessero veramente nella vita di tutti i giorni?
Spiegare l’inspiegabile
Un’ipotesi sconvolgente che permea tutti i migliori racconti di H.P. Lovecraft e che è mirabilmente esemplificata nella maggior parte degli episodi di Cabinet of Curiosities di Guillermo del Toro; non è quindi difficile comprendere perché il cineasta messicano provi da sempre fortissima affinità tra il suo modo di fare cinema (e televisione) e l’orrore cosmico preconizzato dagli scritti dell’autore statunitense. Forse perché entrambi hanno saputo tendere la mano meglio di altri nei rispettivi ambiti al loro pubblico di riferimento, ponendolo di fronte ad una verità scioccante e cosmogonica: se il Male esiste, non è dentro di noi, ma nella realtà che ci circonda, nel cielo, oltre gli alberi ombrosi di una foresta, nelle profondità di un oceano, pronto a ghermirci e a destabilizzare ogni preconcetto che abbiamo di questa nostra insignificante, misera vita.
Una teoria pessimistica, quella di Lovecraft, che del Toro fa sua e tramuta in un prodotto seriale di certo non sempre del tutto riuscito, ma estremamente evocativo nel saper trasmettere con passione quasi iconoclasta (del resto, il design delle creature innominabili che fanno capolino in diversi episodi sono curate dallo stesso showrunner) l’orrore cosmico che pervade gli scritti di Lovecraft e la sua immortale eredità nell’immaginario collettivo attuale.