Nel grande e talvolta dispersivo catalogo della N rossa di Netflix, si celano piccole perle spesso passate inosservate. Parliamo di lavori onesti, solidi e magari crudi così come lo è Black Summer, serie commissionata dalla piattaforma streaming nel 2018 per fare da prequel alla abbastanza celebre e prolifica Z Nation. Del prodotto di cui è costola mantiene i due produttori esecutivi Karl Schaefer e John Hyams, che fanno anche da showrunner, e la casa di produzione, The Asylum, che ai più farà suonare una campanella per essere la realtà dietro lo scult Sharknado.
Ma non lasciatevi ingannare: se Z Nation si rifaceva palesemente al modello ai tempi vincente di The Walking Dead, Black Summer – che del prequel non ha praticamente nulla se non l’ufficialità stabilita a voce – vive di luce propria e alza l’asticella della narrazione zombie post-apocalittica in un tempo in cui il genere pare soffrire di ripetitività e mancanza di pathos. Ma perché vederla?
1. Perché è solo alla seconda stagione
Ebbene sì, non dovete temere di rimanere impantanati all’interno di una serie già bella che fatta con una miriade di episodi arretrati e con la classica ansia da prestazione figlia dei tempi dello streaming. Black Summer è solo alla seconda stagione. Otto episodi per la prima, arrivata nel 2019, otto episodi per la seconda, giunta sulla piattaforma nel 2021. Singolare anche la scelta della durata delle puntate, che oscillano dalle più corte che si aggirano attorno ai venti minuti fino alle più lunghe che sfiorano i tre quarti d’ora. Un atteggiamento estremamente anarchico quello adottato dagli showrunner, che riflette la volontà di stare addosso ai propri personaggi senza strabordare e senza avere la pressione di dover dire qualcosa tanto per farlo.
Black Summer è densa. Densa di racconto, densa della tragedia, densa della disperazione di un mondo al collasso e senza più leggi degli uomini. Ogni singolo atto, ogni singolo passo compiuto nella serie si porta dietro la tensione di un’azione e di una controazione, che questa richieda venti minuti per consumarsi oppure quaranta. Ciò che più conta è che non c’è tempo per staccarle gli occhi di dosso. E, una volta che ne sarete dentro, non avrete alcuna voglia di farlo.
2. Perché è cinica come Breaking Bad
Black Summer è cinica. Come dovrebbe essere, dopotutto, il racconto di una società collassata nell’arco di pochi giorni. Ogni valore morale, ogni costrutto di fraternità e condivisione sociale è venuto meno. Lo stato (gli USA) è caduto, di chi è in divisa mimetica non c’è più tanto da fidarsi, ognuno è da sé e il nuovo migliore amico del sopravvissuto è un fucile funzionante e magari qualche cartuccia con cui far fuoco. Restano degli scampoli del vecchio modo di vivere affastellati qui e lì in qualche angolo della serie, ma sono impronte di un qualcosa destinato a eclissarsi per sempre, traccia ingenua di chi ingenuamente crede ancora nel valore del prossimo. Esiste solo un obiettivo: la sopravvivenza.
Ce lo insegnava bene l’oscura parabola di Walter White in Breaking Bad (che deve sopravvivere al suo nuovo sé), ma ce lo insegna altrettanto a dovere l’odissea di Rose (Jaime King), la stella polare della serie, nella sua disperata ricerca della figlia, perduta chissà dove nelle prime battute della prima stagione. Black Summer inquadra sin da subito con lucidità il fatto che non può fare sconti a nessuno. È un’estate nera, nerissima, e le urla delle persone che si accumulano nei primi episodi sono solo un’eco destinata a sparire nel corso di una seconda stagione molto più silenziosa, molto più fredda e dura.
3. Perché è più spietata di The Walking Dead
Perché in una serie a sfondo zombie il passaggio dal cinismo allo spietato è davvero breve. Di buoni forse non ce ne sono davvero più, trasformati dal troppo orrore visto e così in troppo poco tempo. Ci sono però figure grigie, che ogni tanto si ricordano di un’umanità che vada oltre il saper articolare un vocabolo, eppure sono poche e Black Summer le stringe all’interno di una forbice dove da una parte si stagliano gli affamati membri della nuova società, gli zombie, e dall’altra sopravvissuti senza scrupoli e magari armati fino ai denti.
Nella formula che la serie adotta durante gli episodi, quella dell’alternare molti micro-capitoli dedicati ai punti di vista di personaggi spesso destinati a convergere nello stesso evento, nessuno è mai davvero al sicuro. Un senso di precarietà simile a quello che era in grado di donare ai tempi d’oro The Walking Dead, prima che provocasse un allontanamento di massa dei fan a causa di una progressiva incapacità di suscitare incertezza, dubbio, terrore di vivere per i suoi personaggi.
Gli zombie sono molti, feroci, veloci, corpi vuoti alla costante ricerca di un vivo da fagocitare e che Black Summer è ancora in grado di porre al centro della minaccia, di rendere la variabile impazzita e non arginabile. E fare questo non significa accantonare in un angolo la componente dell’umano, tutt’altro, che anzi riesce a prendersi spazi di profonda e matura riflessione tra una sparatoria e una fuga, in vertigini tra l’onirico e il flashback carichi di uno straziante nichilismo.
Black Summer è lì a portata di mano e merita di essere vista, recuperata, consumata. Il suo male morde e lo fa quando meno ce lo si aspetta. Cos’altro state aspettando?