Sgombriamo subito il campo: sì, Adolescence è girata tutta in piano sequenza. Il gancio è immediato, facilmente vendibile, traccia espressiva di un regista che con la fluidità della sua marcatura stilistica sa bene come mappare la narrazione, dotandosi di un linguaggio altamente funzionale alla direzione di racconto scelta. Vale a dire: non si tratta di un esercizio di stile, le lunghe sequenze che corredano la miniserie assecondano l’economia di una storia raggelante e realistica, claustrofobica e toccante.

Jamie Miller (Owen Cooper) ha il volto tipico del bravo ragazzo. L’espressività dolce, timida e vulnerabile di chi esprime una tenerezza incapace di suggerire violenza. Così, quando la polizia irrompe in casa sua, prelevandolo per perquisirlo e interrogarlo con l’accusa di omicidio, ad ammantare la scena è una sensazione di diffusa incredulità. Confusa e impotente come la percezione del caos che lega Jamie e i suoi familiari alla nostra partecipazione spettatoriale, riempiendoci di sospetti e inquietanti interrogativi: è stato davvero lui? Com’è potuto accadere?

Co-sceneggiata da Stephen Graham e Jack Thorne, Adolescence si affida alla compostezza registica di un impeccabile Philip Barantini per insinuarsi nei sottoboschi delle meccaniche mentali e contraddittorie dell’adolescenza e della genitorialità contemporanee. Le premesse sembrano sensazionalistiche, ma il risultato devia completamente dal morboso racconto di una tragica cronaca nera. Si concentra, piuttosto, sulla complessità impietosa di una cultura misogina e violenta che tutto innerva e tutto infetta, contaminando la quotidianità amorevole di una famiglia chiamata a sostenere l’impensabile gravità di una dramma privo di facili vie di fuga. D’altronde, come si evade dalle proprie responsabilità?

Adolescence
Genere: Drammatico
Durata: 4 Episodi/60 minuti ca.
Uscita: 13 Marzo 2025 (Netflix)
Regia: Philip Barantini
Cast: Owen Cooper, Stephen Graham

Le fragilità del contemporaneo

Una scena di Adolescence
Una scena di Adolescence – @ Netflix

Quattro episodi verticalmente autoconclusivi assediano tredici mesi di vita della famiglia Miller: dal blitz per l’arresto di Jamie alla confessione risolutiva del caso. Il dramma psicologico e familiare di Adolescence intercetta il crime al solo fine di circoscrivere i bordi di una tragedia esplorata con precisissima intenzione emotiva. Dalle brevi sinossi delle puntate emerge un quadro di chiari intenti narrativi: se il trafelato pedinamento che sequenzia il primo episodio non lascia scampo né respiro, ricostruendo con essenzialità espositiva ogni step del terribile omicidio della compagna di scuola, già dal secondo episodio Adolescence dimostra di non voler affondare nella spettacolarizzazione di quel crimine, di saper arrestare la narrazione su altri orizzonti investigativi.

A essere indagata è infatti la fragilità del contemporaneo (soprattutto maschile), il problematico peso di aspettative, apparenze e pressioni sociali che radicalizzano i pericoli a cui giovani e meno giovani sono quotidianamente sottoposti. Il tutto ispessito da cyberbullismo, sottocultura incel e umilianti vessazioni – da prevaricazioni che si coniugano a feroci principi di sopravvivenza. Dentro e fuori dal mondo digitale, dalle pareti della propria cameretta, dall’amplificazione mediale delle connessioni social(i).

Adolescence: quando la forma è il contenuto

Owen Cooper in una scena di Adolescence
Owen Cooper in una scena di Adolescence – @ Netflix

Straziante e misuratissimo, Adolescence inchioda lo spettatore in un limbo privo di scappatoie, intrappolandolo percettivamente dentro un incubo informe ma vicinissimo al reale. Ci addentriamo nella narrazione privi di informazioni contestuali, catturati da un senso di disorientamento che aderisce sensibilmente a quello provato dai familiari di Jamie. La camera segue senza stacchi la frenesia di un’azione che si muove nello spazio spostandosi narrativamente in avanti. Al contempo, l’andirivieni registico si accosta a un montaggio interno agganciato a personaggi che nel loro migrare fra gli ambienti raccordano scene e trascinano il racconto.

Così il dinamismo del piano sequenza restituisce la tensione soffocante sperimentata dai protagonisti e rende plastico il realismo di quanto mostrato: se l’ottimo controllo formale ci dà l’impressione di essere lì presenti, l’intensità delle interpretazioni trafigge qualsiasi attenuante emotiva. Episodi densissimi panoramicano circolarmente da un personaggio all’altro, stringendo sui primissimi piani dei tumulti psicologici che soggettivizzano i volti e il fluire della tragedia. L’intreccio su cui è annodato l’equilibrio di Adolescence è un accuratissimo insieme di parti concatenate perfettamente, radunate con generosità attorno a un racconto sensibile e non invasivo, accorato ma mai ostentativo.

Lo Sapevi?

Philip Barantini e Stephen Graham avevano già collaborato a un progetto di simile impostazione tecnica: Boiling Point – Il disastro è servito. Il film, interamente girato in piano sequenza, raccontava con pari sensibilità il lungo e tormentato turno di lavoro dello staff di un lussuoso ristorante londinese.

La riduzione della distanza ricavata dal taglio stilistico è il primo passo verso l’annullamento del giudizio richiesto allo spettatore. In queste quattro ore di visione non si troverà niente di consolatorio, nulla di moraleggiante: ci si arrovellerà su domande spinose e riflessioni complesse, spingendo forte sull’immersività di un’esperienza audiovisiva dall’elevato contrasto emotivo.

Problematizzare la mascolinità

Un'immagine di Adolescence
Un’immagine di Adolescence – @ Netflix

Sul finire del secondo episodio, il sergente Frank esprime le sue perplessità e le sue frustrazioni in merito alla giornata appena trascorsa nella scuola di Jamie. Racconta di una sensazione disturbante che accompagna il loro lavoro, di quella spersonalizzazione oscurante che troppo spesso colpisce le vittime di omicidi violenti. Da quando Katie è stata uccisa, lei e il suo collega Bascombe non hanno fatto altro che inseguire la mente di Jamie, proiettarne pensieri e possibili moventi – finendo per cancellare i colori caratteriali di una ragazza destinata a coincidere con l’unidimensionale ruolo di vittima di un atto brutale.

È qui che Adolescence si riavvolge su stesso, dal finale provocatorio di un episodio che mette in rima duplici paternità e plurime mascolinità, perlustrando un virile a disagio con la propria vulnerabilità. Se la difficoltà del dialogo affettivo crea similitudini narrative nel rapporto fra l’ispettore e suo figlio e quello di Jamie e il papà Eddie (Stephen Graham), la differente possibilità d’azione sul loro presente ci ammonisce su qualcosa di importante. Qualcosa che ha molto a che fare con lo sguardo che oggi restituiamo ai più giovani, con l’urgenza empatica di ripristinare una rete di sicurezza e sostegno che risponda a quanto da loro manifestamente desiderato.

Il tredicenne protagonista di questa serie confessa qualcosa su quella necessità di approvazione negata. Rivela di averla più volte cercata nell’attenzione non corrisposta del padre, di non averla mai trovata nei suoi occhi imbarazzati o nei silenzi assenti e privi di sentimento e di accettazione. Da lì ci instradiamo sull’insorgere dell’insicurezza, sul tormentato stare al mondo di un adolescente privo di qualsiasi stima personale. Incautamente bersagliato dall’esposizione a una cultura della forza capace di interfacciarsi all’altro in virtù della sola logica auto-affermativa di potere sul più “debole”: la donna.

Duelli psicologici con la propria vulnerabilità

Owen Cooper e Stephen Graham in una scena di Adolescence
Owen Cooper e Stephen Graham in una scena di Adolescence – @ Netflix

Quando nel terzo episodio rincontriamo Jamie ci imbattiamo in un’inquietante ambiguità. La micro-espressività del suo volto è cambiata rispetto al giorno dell’interrogatorio: ora, nel duello psicologico con la psicologa, Jamie è scostante, spavaldo, indisponente. Indispettito ogni qualvolta posto frontalmente a contatto con la propria emotività. Difensivo della sua e altrui mascolinità, aggressivo quando subordinato al controllo della femminilità. Il temperamento altalenante e rabbioso del ragazzo tradisce una disturbante interiorizzazione di una rancorosa misoginia, sagomata gradualmente e con irregolarità da un dialogo che spesso veicola nell’irruenza e nel controllo l’illusione conciliante di un’apparente autodeterminazione.

Fra le righe del linguaggio digitale e cifrato che codifica la relazione tra Jamie e suoi coetanei si nasconde un’espressività spaventosa e ricca di simbolismi, oscura a un mondo adulto ricorsivamente chiamato in causa per le sue manchevolezze. Appare chiaro che nel microcosmo di Adolescence (e nella nostra realtà) a difettare sono tutte le sorgenti comunicative, le volontà di incontro interpretative – le incapacità inter-generazionali di confronto empatico con le proprie e altrui fragilità.

I ragazzi cercano un’approvazione che non sanno dove ottenere, riversano sugli altri la percezione delle proprie debolezze, si trasformano da bullizzati a bulli rinegoziando i loro ruoli in continue catene di sopraffazione. Gli adulti non sono meglio: la discriminazione del femminile lateralizza cenni trasversali a una mascolinità molesta, invadente e inappropriata. Le famiglie perdono di vista i loro figli, non sanno come decifrarli, provano a scagionarsi dalle proprie responsabilità. A battagliare è un arena vuota di autenticità, ingurgitata da un malessere apparentemente incurvato su un irreversibile isolamento e frustrazione del sé.

“Avrei dovuto fare meglio”

Un momento di Adolescence
Un momento di Adolescence – @ Netflix

Ma se nessuno è esente da colpe, parimenti in questa serie non è in gioco alcun giudizio: Adolescence non intende condannare, anche quando si arresta e s’incarta sui modelli familiari che riecheggiano gli atteggiamenti e le difficoltà interpersonali di Jamie. Le risonanze emotive ereditarie forniscono un contesto ma non emettono sentenze né definiscono l’essenza di chi gli sta intorno. E questo perché la serie rigetta le facili congetture, rifiuta retoriche colpevolizzanti e si adopera per umanizzare i chiaroscuri del dramma, prendendosi il tempo per sintonizzarsi alla sensibilità di una famiglia chiamata ad andare avanti e reinventare una qualche forma di quotidianità.

Poiché nonostante gli errori, le responsabilità e le imperdonabili sviste, il gesto compiuto dal figlio non può e non racchiude tutte le sfumature caratterizzanti di quel nucleo familiare. Che si annienta, s’infiamma, si sfalda e poi crolla in lacrime sotto il peso di una tragedia impensabile, strumentalizzata dall’indiscrezione di un vicinato invadente. Consumata dalla complessità psicologica di un orrore incapace di cancellare l’affetto, il senso di colpa e neanche l’universale perdono del proprio fallimento: “avrei dovuto fare meglio”, si scusa Eddie in chiusura di serie. Avremmo dovuto farlo tutti, ma forse per noi c’è ancora un po’ di tempo.

Conclusioni

8.0 Sorprendente

Un crime-drama potentissimo e travolgente, misurato in lunghissimi piani sequenza che esplorano l’incubo familiare e claustrofobico di un adolescente accusato di omicidio. L’impeccabile esecuzione tecnica impreziosisce una materia narrativa resa viva e autentica dalle stratificate interpretazioni del cast. Adolescence è un colpo al cuore, un'opera che esige la visione.

Pro
  1. L'esaltazione della complessità psicologica ed emotiva dei personaggi
  2. Le interpretazioni d'alto livello
  3. La componente tecnica, brillante come poche altre produzioni sulla piattaforma
Contro
  1. Si tratta di una visione non facile per temi trattati e livello di immersività
  2. I salti temporali potrebbero creare un leggero disorientamento
  • Voto ScreenWorld 8
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Laureata in CAM (Cinema, Arti della scena, Musica e Media) e Comunicazione presso l’Università degli Studi di Torino. Attualmente collaboratrice di ScreenWorld.it e NPC Magazine. Della realtà mi piace conoscere la mente, il modo in cui osserva e racconta le sue relazioni umane. Del cinema mi piace l’ascolto della sua sincerità, riflesso enfatico di tutte le menti che lo creano. Di entrambi coltivo l’empatia, la lente con cui vivere e crescere nelle sensibilità e le esperienze degli altri. Nella vita scrivo, studio e mi circondo di cinema, perché penso non esista niente di più bello.