A Killer Paradox ha debuttato su Netflix il 9 febbraio guadagnandosi fin da subito l’attenzione della stampa specializzata. Interpretata da un cast di rilievo, tra cui Choi Woo-shik già tra gli attori di Parasite, la serie in otto episodi è un interessante viaggio che esplora i concetti di colpa e giustizia e che ci apre una finestra su una cultura – quella sudcoreana – che negli ultimi anni sta ricevendo sempre più attenzioni anche in Occidente.
Un aspetto che ci intriga perché, nonostante ormai viviamo in un mondo ultra collegato e globalizzato, quello che succede in certi paesi orientali in termini di produzioni, in particolare il Giappone e adesso anche la Corea del Sud, ha la capacità di stupirci per una visione fresca e inedita che, per quanto sia comunque legata a doppio filo alla cultura di riferimento, resta profondamente universale.
Reinterpretare la figura del vigilante
A Killer Paradox segue le rocambolesche vicende di Lee Tang: un giovane senza prospettive che si divide tra una carriera universitaria gestita svogliatamente e un noioso lavoro a un minimarket che gli garantisce l’indipendenza economica di cui ha bisogno. Dopo aver ucciso accidentalmente un uomo – che si scopre poi essere un pluriomicida – il protagonista è nel panico ed è pronto ad accettare il suo destino. Ma dal momento che nessuno sembra essere sulle sue tracce, a poco a poco il ragazzo si erge a giustiziere diventando una sorta di vigilante determinato a far fuori coloro che, almeno secondo lui, non meritano di vivere. A capire chi ci sia dietro tutta quella scia di morti un detective dal passato irrisolto.
A questo proposito e, non a caso, è proprio l’ansia sociale del protagonista – nonché di tutte i personaggi che gravitano attorno a lui – a essere il motore principale dell’azione. Qualcosa di profondamente radicato nella cultura sudcoreana (e non), basti pensare a quello che faceva il personaggio di Choi Woo-shik in Parasite, che permette di reinterpretare la figura del vigilante in modo inedito e piuttosto interessante. Lee Tang vuole sì ripulire la società, ma c’è qualcosa di più che in parte lo differenzia e allo stesso tempo lo avvicina ad altri giustizieri.
Se infatti anche Batman, vigilante per eccellenza che è citato più volte nel corso della serie, ma anche i personaggi creati da Alan Moore per Watchmen si muovono spinti da motivazioni personali proprio come lui, sembra che il personaggio di Lee Tang voglia soltanto vivere in un mondo che non gli faccia più del male. Da underdog quale è sempre stato, il protagonista cerca spasmodicamente un posto in una società che tende a incasellare chiunque e un senso per una vita che non sa come vivere. Uccidere diventa quindi un atto estremo di autoaffermazione attraverso cui il protagonista, da timido e spaventato ragazzo della porta accanto, si trasforma in uno spregiudicato vigilante che gioca d’azzardo con la fortuna.
Manhwa, webtoon, serie tv
Impostata come un thriller, ma caratterizzata da frequenti cambi di tono che puntano a generare un effetto straniante e grottesco, A Killer Paradox alterna trovate visive convenzionali ad altre del tutto inaspettate ma che concorrono a generare un’atmosfera allucinatoria che, pur distante dal webtoon da cui la serie è tratta, ne ricalca comunque le intenzioni giocando con l’esagerazione e un costante senso dell’assurdo. A Killer Paradox non è infatti un soggetto originale ma è tratta dall’omonimo webtoon di Kkomabi: serie in 10 capitoli che, nonostante la provenienza, non ci sembra corretto definire propriamente manhwa poiché il suo stile visivo è lontano dai canoni del genere (al contrario di quanto potremmo invece affermare per Solo Leveling che è sia un webtoon che un manhwa, oltre che un anime in corso proprio in queste settimane).
Dettagli a parte tutto questo è assai significativo dell’interesse che stanno dimostrando i produttori, tra cui Netflix, verso prodotti di questo tipo e nei confronti di cui, come dicevamo in apertura, c’è sempre più curiosità e attenzione da parte del pubblico. Sono tante infatti le produzioni coreane basate su webtoon: pensiamo a Non siamo più vivi, la cui seconda stagione è stata annunciata proprio da Netflix, ma anche a Backstreet Rookie o Hellbound.
Serie che, complice il successo di k-dramas come Avvocata Wow e fenomeni come Squid Game hanno acceso l’interesse del grande pubblico verso film e serie tv provenienti dalla Corea del Sud; un paese la cui industria dell’intrattenimento sta iniziando a puntare molto proprio sui fumetti e sui rispettivi adattamenti che, al contrario di quanto avviene in Giappone, riguardano in larga parte serie tv live action adattate da webtoon. Una ricerca di iper-realismo interessante che, come nel caso di A Killer Paradox, riesce a stupirci proprio per la sua capacità di mantenere un dialogo con il medium di riferimento e che ci dimostra, ancora una volta, quanto la prospettiva con cui si racconta una storia sia in grado di cambiare anche la storia stessa. Ecco perché, ormai da anni, guardiamo sempre più con curiosità verso oriente.
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