E adesso che farai, Yuva?
Non più sterminati spazi siderali e tripudio di sci-fi. Con Tower Dungeon, il maestro Tsutomu Nihei torna a stupire i lettori, ma stavolta immerge i propri personaggi in un oscuro e solenne mondo fantasy. Pubblicato da Planet Manga, la nuova opera rappresenta un cambio di registro significativo per l’autore, noto per capolavori come Blame! e Knights of Sidonia. Eppure, chi segue il suo lavoro da tempo non potrà non riconoscerne la firma inconfondibile: quel senso di vertigine dato dalla monumentalità degli ambienti, unito stavolta a un tratto asciutto, essenziale, in grado di evocare un intero universo senza bisogno di troppe parole.
Nonostante si tratti di un’opera ancora alle prime battute e composta da poche pagine, Tower Dungeon ha già attirato l’attenzione di molti lettori. Alcuni l’hanno persino definito “il manga di Dark Souls”, e non è difficile capirne il motivo. Dietro la trama semplice e archetipica si cela un’opera densa di atmosfera, visivamente potentissima, che affonda le radici nella passione di Nihei per i videogiochi dark fantasy e, naturalmente, nella sua formazione di ex architetto.
Le architetture di Nihei

Tsutomu Nihei non è un autore qualunque, e il suo passato da architetto permea ogni pagina dei suoi lavori. Prima di diventare mangaka ha lavorato nel settore delle costruzioni e questo retaggio si traduce in ambientazioni che sono al contempo sfondi e protagoniste delle opere, strutture mastodontiche che condizionano i personaggi e veicolano gran parte del senso narrativo. E, come da copione, anche in Tower Dungeon la Dragon Tower (torre del drago) si staglia come un monolite verticale, misterioso e impenetrabile, in un silenzio che alimenta meraviglia nel lettore facendolo sentire parte attiva della storia.
Le tavole parlano da sé, senza bisogno di troppi dialoghi, in un viaggio contemplativo che ci esorta a percepire il peso e la presenza dello spazio attorno a noi. Nihei alterna sequenze quasi mute, in cui il ritmo è dettato esclusivamente dall’immagine, ad esplosioni di azione. I suoi mondi, frequentemente post-umani, sono di solito popolati da intelligenze artificiali, virus e creature biomeccaniche, e la trama tende a privilegiare atmosfera e straniamento piuttosto che spiegazioni didascaliche, invitando il lettore a perdersi nei dettagli e a colmare i vuoti narrativi.
La storia: classica, ma funzionale

Un negromante uccide il re e rapisce la principessa, rifugiandosi nella leggendaria Torre del Drago, una costruzione ciclopica che sbuca dal nulla. L’esercito reale tenta di affrontare la minaccia, ma viene decimato da orde di mostri e non-morti. A quel punto, anche semplici contadini vengono chiamati a combattere. Tra loro troviamo Yuva, un giovane robusto, gentile e taciturno, che sembra avere poco da offrire oltre alla sua esperienza nei campi. Eppure, fin dalle prime pagine intuiamo che c’è qualcosa di più nascosto dietro quello sguardo cortese: Yuva possiede una forza innata che lo distingue dagli altri. E sarà proprio lui a scalare la torre, insieme a un piccolo gruppo di guerrieri, affrontando piano dopo piano le insidie che li attendono.
Se dal punto di vista narrativo l’opera non brilla per originalità, è altrettanto vero che questo non è il vero obiettivo dell’autore. Nihei non vuole stupire con colpi di scena o personaggi psicologicamente complessi, bensì immergere il lettore in un mondo che parla con le immagini, mediante l’arma della contemplazione.
Lo spazio come esperienza

Tower Dungeon è spazio e silenzi, dunque. Le tavole sono ampie, dominate da elementi architettonici. Colonne che si perdono nel cielo, edifici sospesi, scale che non portano da nessuna parte, orizzonti infiniti. Quando Yuva e i soldati si avvicinano alla torre, non passeggiano in uno spazio usuale: attraversano veri e propri scenari onirici, che sembrano tratti da un sogno lucido o da un incubo in bilico tra il reale e il surreale.
In questi momenti, Nihei dimostra tutto il suo talento nel raccontare per sottrazione. Le parole spariscono, i dialoghi si dissolvono, le immagini bastano a sé stesse. Ed è ciò che accade anche alle immagini, attraverso un segno essenziale, sottile, un tratto aperto. Pochissimi retini, uso chirurgico del bianco e nero, con sfumature ridotte al minimo. Gli edifici sono spogliati della abituale grandiosità e peso dei tratteggi di Nihei. Eppure, le sensazioni trasmesse sono le stesse: smarrimento, stupore, angoscia, meraviglia.
C’è chi ha affermato che Nihei abbia “perso il tocco”, che il suo stile si sia impoverito, ma sarebbe più corretto dire che si è evoluto. Il suo disegno non è meno dettagliato, solo maggiormente consapevole. È un’arte del vuoto, che lascia all’immaginazione del lettore il compito di perdersi.
Creature e ambienti: un’iconografia del perturbante

Ma perché Nihei, maestro della fantascienza distopica, ha deciso di cimentarsi con il fantasy medievale? La risposta probabilmente va ricercata nella sua passione per il mondo dei videogiochi. In più occasioni, l’autore ha dichiarato il suo amore per titoli come Bloodborne, Dark Souls, The Last Guardian. In effetti, Tower Dungeon sembra proprio uscito da un ibrido tra i mondi di Miyazaki e la penna di Lovecraft, con tocchi di solennità zeldiana.
Come nei migliori isekai, il manga richiama alla mente l’estetica e la struttura dei dungeon crawler, giochi in cui piccoli gruppi di avventurieri si avventurano in labirinti pieni di trappole, enigmi e creature mostruose. I mostri che popolano la torre non hanno nulla di convenzionale: non sono semplici draghi o zombie, ma entità disturbanti, dalle forme innaturali, spesso indecifrabili. Alcuni sembrano fatti d’ombra, altri sono composti da elementi che sfidano le leggi della fisica: uno slime, soldati non-morti, esseri umani come bambole di carne.
Nihei, dunque, crea un bestiario simile a quello che troviamo nei titoli FromSoftware, che affonda le radici nell’horror cosmico in stile Lovecraft e nella deformazione dei corpi. La torre stessa si comporta come un organismo vivo, ogni piano è diverso, le stanze disorientano, e gli ambienti servono a catturare il lettore, come i protagonisti, costretto ad arrendersi all’ignoto.
Bonus e malus

Pur riconoscendo il valore estetico dell’opera, è giusto segnalare anche alcuni difetti, malgrado sia impossibile dare un giudizio basandoci solo sul primo volume. Oltre ad aver percepito una certa frettolosità nella narrazione, per molti uno dei problemi principali è stata la narrazione in medias res: non sappiamo nulla del mondo, né tantomeno dei personaggi. Per altri, tale scelta è in realtà un bonus, poiché consente all’autore di approfondire nel tempo il protagonista Yuva e i suoi compagni.
Dopotutto, sin dall’inizio dell’articolo non abbiamo fatto altro che ripetere un mantra: Nihei parla attraverso le immagini. Pertanto, Tower Dungeon è un manga che va guardato piuttosto che letto, un viaggio verticale nell’ignoto, un’opera che invita alla contemplazione e alla scoperta. Per chi ama il disegno architettonico, le atmosfere dark, i silenzi narrativi e le suggestioni visive, è un’esperienza affascinante.
Non è perfetto, ma ha una voce chiara, potente, personale. Quella del maestro Nihei.
Conclusioni
Non più sterminati spazi siderali e tripudio di sci-fi. Con Tower Dungeon, il maestro Tsutomu Nihei torna a stupire i lettori, ma stavolta immerge i propri personaggi in un oscuro e solenne mondo fantasy. Chi segue il suo lavoro da tempo non potrà non riconoscerne la firma inconfondibile: quel senso di vertigine dato dalla monumentalità degli ambienti, unito stavolta a un tratto asciutto, essenziale, in grado di evocare un intero universo senza bisogno di troppe parole.
Dietro la trama semplice si cela un’opera densa di atmosfera, visivamente potentissima, che affonda le radici nella passione di Nihei per i videogiochi dark fantasy e, naturalmente, nella sua formazione di ex architetto.
The Good
- atmosfera unica
- tratto leggere ma potente
- narrazione per sottrazione
- ispirazioni forti (videogiochi dark fantasy)
- esperienza contemplativa
The Bad
- narrazione percepita come frettolosa
- possibile sensazione di impoverimento grafico
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Voto ScreenWorld