Bleach è senza ombra di dubbio una delle opere manga più controverse che ha visto luce all’inizio del terzo millennio: un vero e proprio fenomeno editoriale nato e cresciuto con il passare del tempo, tanto da formare assieme a One Piece e Naruto una solida trinità nel suo momento di maggiore successo, per poi trovare un crollo inesorabile, costruito e avviluppato su molteplici fronti, e infine rinascere solo recentemente, a distanza di anni, con l’adattamento anime dell’ultimo ciclo narrativo, il pezzo mancante, la chiosa a un’opera bistrattata da molti, piena di criticità, eppure anche nei momenti peggiori ha lottato con le unghie e con i denti per farsi notare dai più.
Partiamo proprio da qui, dal ciclo della Guerra dei Mille Anni, di un prodotto anime targato Studio Pierrot in stato di grazia, centellinato in stagioni, vero motore della rinascita di Bleach che recupera, in modo retroattivo, i numerosi semi disseminati e dimenticati negli anni. La fiamma dell’opera di Tite Kubo è tornata a brillare, i riflettori sono di nuovi puntati su Ichigo e compagni. È decisamente un buon momento per scoprire o riscoprire Bleach.
Bleach, storia di un successo

C’è chi dice che Tite Kubo non sappia disegnare fondali e nulla – o quasi – potrebbe confutare questa tesi. È vero. Parte dei migliori momenti di Bleach sono disegni in china dove il contrasto tra il bianco e il nero rendeva le tavole uniche, ricostruendo una situazione e contesto quasi orrorifico.
Pensate alle hollowficazioni di Ichigo durante lo scontro con Byakuya prima e Ulquiorra dopo. Momenti fuori dal contesto umano, la creatura che prende il sopravvento sulla carne e il kimono da shinigami. Tavole dove regnava il personaggio, l’atto, il combattimento e mai il contorno. Per anni si è criticato questo aspetto dell’opera, in pieno contrasto ai primi numeri, dove Kubo dava estrema attenzione all’ambiente, regalandoci scorci della classica vita da teenager giapponese. Poi gli Shinigami, i poteri, gli scontri violenti contornati da litri di sangue, personaggi secondari, power up e nemici iconici. Insomma, gli ingredienti perfetti per uno shonen di successo c’erano tutti e così è stato.
Almeno fino alla saga degli Arrancar, con la chiusura definitiva dello scontro con Aizen, Bleach ha brillato di un fuoco di matrice divina, senza mai la paura di fermarsi dinanzi alle critiche ricevute. Agli sfondi bianchi si girava pagina senza paura, giacché la storia stava procedendo senza sosta, le pedine del bene e del male stavano muovendo i loro passi sulla grande scacchiera messa lì da Tite Kubo e alla fine la gloria di una sequenza di archi narrativi, tutti interconnessi in modo intelligente, chiusi in modo magistrale, quasi perfetto.
La necessità di andare avanti

A dicembre del 2010, dopo circa otto anni dall’inizio della pubblicazione, il volume 48 chiude Bleach, almeno nella nostra visione ideale. Questo perché Kubo – forse su pressione dell’editore o personale voglia di continuare, le fonti non sono ancora chiare – decide di non fermarsi e si mette a lavoro per proseguire con la serializzazione dell’opera.
Ma il personaggio ha perso i poteri, il grande nemico e i suoi scagnozzi sono stati sconfitti e l’epica ha lasciato posto al quotidiano di tutti i sopravvissuti, eppure ecco il cavillo terribilmente forzato per far acquisire di nuovo i poteri al protagonista tramite una piccola saga (dal sapore di filler necessario) e poi la conclusione – di nuovo – finale con l’arco narrativo della Guerra dei Mille Anni. Ecco che tutte quelle criticità che il lettore abilmente evitava fino a quel punto, tornano a galla, senza più quel salvagente per cui si riusciva a sviare lo sguardo altrove. Bleach comincia purtroppo a fare acqua da tutte le parti e il suo autore sembra non accorgersi che lo scheletro costruito fino a quel momento, non può sorreggere tutti quegli organi così grossi e densi.
Il valore dei personaggi

Tite Kubo ha riempito Bleach di un numero spropositato di personaggi, arrivando poi a incontrare il classico problema che attanaglia gli autori in situazioni del genere, ovvero l’incapacità di gestirli tutti. Un equilibro precario dove spesso alcuni secondari e altre loro situazioni, risultano essere più brillanti o stimolanti di altre, anche a discapito delle vicende di Ichigo Kurosaki, protagonista dell’opera.
In tal senso, appare chiaro sin da subito come lo stesso Kubo costruisca le sue vicende narrative attorno i personaggi e relative caratteristiche e power up. La trama viene dopo, o comunque disegnata e veicolata a seconda delle necessità di ogni protagonista.
Il titolo Bleach è un chiaro riferimento e omaggio al primo album dei Nirvana. Negli anni nel web si è speculato parecchio anche sul fatto che il personaggio di Kisuke Hurahara fosse, nei lineamenti e aspetto, vagamente somigliante a Kurt Cobain.
Se negli archi principali questo difetto veniva saggiamente mascherato, con la saga dei Fullbringer e la successiva Guerra dei Mille Anni, questa piccola crepa diventa una voragine capitolo dopo capitolo. La stessa gestione dei diretti power up di tutti i personaggi, mai organizzata e catalogata in modo ordinato, mostrava quanto la progressione ed evoluzione dei personaggi stava stravolgendo le regole scritte almeno fino a quel momento.
Da qui i lettori hanno cominciato a percepire un senso di stanchezza o diretta forzatura dell’autore, cosa che ha portato progressivamente i lettori ad abbandonare la lettura, con la situazione anime che non ha aiutato a causa di una quantità impressionante di lunghissimi archi narrativi filler, poco interessanti o peggio, inclini a spezzare la narrazione a più parti, fino allo stop della produzione, lasciando all’epoca l’anime di Bleach privo dell’adattamento dell’arco finale.
Il ritorno di Bleach

I voti impazzano e le stagioni dell’ultima serie di Bleach, intitolata la Guerra dei Mille Anni e disponibile su Disney+, grazie ad una qualità di gran gusto e superiore alla media, mettono in mostra quanto la produzione anime precedente a questa mancasse di quella cura e attenzione estetica che ora lo Studio Pierrot sembra aver dedicato all’opera.
In molti stanno riscoprendo Bleach proprio grazie a questo glorioso revival che ha portato all’attenzione l’opera, tanto da dare il via a nuovi progetti dedicati (vedi il vicino videogioco pubblicato da Bandai Namco Bleach: Rebirth of Souls), ma una domanda regna sovrana: è tardi per Bleach?
In un periodo di piena serializzazione come tante altre opere in corso, il fatto che l’interesse per Bleach sia rinato a distanza di anni, ma a opera conclusa, crea una situazione di inedito stallo. Ciò che sta vedendo realizzato ora è destinato a segnare il futuro interesse del franchise e con la parte 4 dell’adattamento della Guerra dei Mille Anni, che segna anche la conclusione dell’arco narrativo, in arrivo nel 2025, cosa succederà domani a Bleach?
Come spesso capita in situazioni del genere, questa spinta deve essere sano carburante per incastrare ottime produzioni e tentare di mantenere alto l’interesse, almeno nel modo in cui si voglia spremere sul marchio ancora per un po’ di tempo. In attesa dell’uscita del gioco o della fine dell’anime, il nostro augurio è che qualcuno, lì fuori, possa anche solo interessarsi per riscoprire l’opera di Tite Kubo, mai perfetta, spesso estremamente forzata, ma ricca di un fascino che, al momento della sua uscita, catalizzò totalmente l’attenzione come il cuore di tantissimi lettori. Chissà che possa ripetersi a distanza di anni.