Agosto 1987. Sono passati solo pochi mesi dalla conclusione della serializzazione di Urusei yatsura (che in Italia conosciamo meglio come Lamù), ma Rumiko Takahashi si rimette subito al lavoro per disegnare su Weekly Shōnen Sunday Ranma ½ una storia ambientata in una scuola superiore con un protagonista metà ragazzo e metà ragazza che sarebbe diventata un tassello fondamentale della cultura pop nipponica (e non solo) e che avrebbe consolidato la fama della mangaka facendola diventare una delle figure di spicco del fumetto giapponese, tanto in patria quanto all’estero.
La forza della Takahashi risiede infatti nella capacità di raccontare storie sì fortemente connesse alla cultura d’appartenenza, ma allo stesso tempo connotate di caratteristiche talmente universali da riuscire a valicare i confini risuonando, a oggi, in modo più attuale che mai. Non stupisce quindi che, dopo il reboot di Urusei yatsura, conclusosi proprio quest’anno, sia stata realizzata una nuova nuova serie animata per Netflix che riporta sul piccolo schermo Ranma ½: tra bagni caldi, secchiate d’acqua fredda, equivoci e comicità per una storia che parla di crescita e dell’accettazione di sé.
Dal manga agli anime
Ripasso veloce. Ranma ½ segue le vicende di Ranma Saotome, ragazzo di sedici anni esperto di arti marziali, che durante un allenamento in Cina con il padre cade, insieme a quest’ultimo, nelle Sorgenti Maledette di Jusenkyo. La leggenda vuole che chiunque cada nelle sorgenti di acqua fredda si trasformi nella persona o animale che vi era annegato in passato; Ranma e suo padre Genma si trasformano così in una ragazza e in un panda gigante potendo tornare al proprio aspetto originale solo bagnandosi con l’acqua calda. I due tornano a Tokyo dove un vecchio amico di Genma, Soun Tendo, informa le sue tre figlie Kasumi, Nabiki e Akane che una di loro dovrà sposare Ranma per dare un futuro al dojo di famiglia. Una situazione già di per sé comica a cui presto si aggiunge il fatto che le sorelle verranno a conoscenza del segreto di Ranma che, tuttavia, non vorrà rendere nota la sua particolare caratteristica al mondo suscitando di conseguenza sia l’interesse dei ragazzi che delle ragazze.
Dato il successo del manga della Takahashi non tardò perciò ad arrivare un primo adattamento anime nel 1989 prodotto da Studio Deen e cancellato solo dopo 18 episodi per i bassi ascolti; successivamente la serie fu lavorata ex novo e rilanciata con un nuovo titolo Ranma ½ Nettōhen andando in onda dal 1989 al 1992 con i suoi 143 episodi. Questo è l’adattamento anime che, tra gli anni Ottanta e Novanta, ha permesso al pubblico italiano di conoscere Ranma ½ – prima sulle reti locali e Telemontecarlo (come era toccato a Lamù), poi su MTV in versione non censurata, facendo entrare in contatto giovani Millennial con un prodotto affine ma comunque diverso rispetto a quelli che avrebbero fatto la fortuna di Mediaset. Nonostante le epurazioni di nudità delle prime messe in onda italiane l’ambiguità, unita a un tipo di comicità spinta che all’epoca non era propria dei “cartoni”, rimaneva comunque la chiave di Ranma ½ che parodiando tanto le arti marziali e il genere shōnen quanto vizi e virtù nipponiche, riusciva a parlare di sessualità, emotività e identità personale in modo mai banale.
Il nuovo adattamento Netflix
Ormai da anni nella lista dei manga più venduti di sempre, Ranma ½ è considerato il capolavoro della mangaka nonché un classico per tutti gli appassionati del genere; molti dei quali hanno iniziato a familiarizzare con i fumetti giapponesi proprio grazie ai primissimi tankobon – magari impaginati nel senso sbagliato – dell’opera della Takahashi che iniziavano a circolare a scuola o nelle fumetterie. Eppure la scelta di realizzare un nuovo adattamento anime di Ranma non è, secondo noi, solo un’operazione nostalgia.
Prodotto da MAPPA (lo studio che ha animato Jujutsu Kaisen) e distribuito da Netflix, che farà uscire i 12 episodi settimanalmente, Ranma ½ è diretto da Kōnosuke Uda (uno dei registi storici di One Piece) e sin dai primi frame sembra porre in atto una dichiarazione d’intenti ben precisa. Chiari sono infatti i riferimenti e gli omaggi all’anime originale – basti pensare alla opening oltre al fatto che quasi tutto il cast originale di doppiatori sia tornato a interpretare i propri personaggi, allo stesso tempo il nuovo adattamento riesce a dare vita alle tavole della Takahashi, lineari, immediate e per questo motivo così d’impatto, con un piglio nuovo e fresco che strizza l’occhio agli anni Ottanta regalandoci qualcosa che al contempo risulta diverso e familiare. Un binomio perfetto e che, come già successo con Urusei yatsura (animato però da David Production), riesce a coinvolgere tanto i fan di vecchia data quanto un pubblico più giovane. È ancora presto per capire come si svilupperà l’anime, anche se probabilmente – come accaduto con Urusei yatsura, si sceglierà di non adattare tutti i capitoli del manga (molti dei quali autoconclusivi) optando per una selezione di avventure capace di giungere al finale restituendo il senso della storia e delle dinamiche dei personaggi.
Il coming of age perfetto
Come infatti sanno coloro che hanno familiarità con le storie della Takahaski, la mangaka ha spesso optato per intrecci che in cui la trama orizzontale si intermezza a mini avventure. Qualcosa che, in serie come Ranma ½, le ha dato la possibilità di esplorare i suoi personaggi divertendosi a creare situazioni comiche e paradossali, senza mai rinunciare a un’introspezione profonda e intelligente. Fiero della sua mascolinità che vuole riottenere a tutti i costi così come del suo corpo di ragazza che sfrutta anche a suo vantaggio, Ranma è la perfetta metafora dello scompiglio adolescenziale. Non a caso il nome “Ranma” (sia femminile che maschile) significa proprio “confusione” e va di pari passo con quella necessità di capire quale sia il proprio posto nel mondo tipico dell’adolescenza. Una fase in cui anche i rapporti con gli altri si fanno complessi e, infatti, proprio per la sua doppia natura Ranma è amato/odiato tanto dai ragazzi quanto dalle ragazze, che di volta in volta percepiscono la sua figura come qualcuno da amare oppure un ostacolo alla persona amata.
Tuttavia l’unica persona per cui Ranma svilupperà con il tempo un sentimento reale e complesso è la anticonvenziale Akane, tanto orgogliosa di essere una ragazza, ma comunque in perenne competizione con gli uomini perché convinta di non essere da meno. Nel corso della storia i due impareranno ad accettarsi per quello che sono, prendendosi anche cura l’uno dell’altro senza pregiudizi. La trasformazione di Ranma diventa perciò un simbolo di unicità e libertà che, nella sua semplicità, risulta ancora oggi attuale per parlare di crescita – non necessariamente in riferimento all’adolescenza. Qualche anno fa la Pixar ha tentato una strada simile, pure se con premesse differenti, con Red ma Rumiko Takahashi quasi quarant’anni fa ci è riuscita in modo egregio. Infatti stiamo ancora qui a parlarne.
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