Quante volte abbiamo sentito dire che il fantasy è un genere di serie B? Quante volte abbiamo sentito lettori lamentarsi per le battute sardoniche che venivano loro rivolte perché appassionati di un genere che, storicamente, si pensava non potesse appartenere all’alta sfera della letteratura che conta? Se è vero l’assioma secondo il quale la lettura è prima di tutto una via di evasione, perché si è sempre pronti a puntare il dito contro un genere che sfama l’immaginazione e spinge a vedere cose anche oltre il limite del reale?
Se pure il fantasy viene accettato come una delle tante voci della narrativa, c’è comunque un sentimento sottostante, quasi una certezza che spinge a pensare al fantasy come a una sorta di trampolino di lancio, un percorso che si deve attraversare per poi giungere alla “letteratura che conta”. Ma è davvero così? Il fantasy è davvero un genere minore che non merita attenzione?
Le caratteristiche del genere
I motivi principali per cui si può dichiarare, senza troppa paura di essere in errore, che il fantasy non è affatto un genere inferiore sono le caratteristiche che lo contraddistinguono dagli altri generi.
Sebbene in ogni grosso insieme possa esserci la mela marcia, l’opera di livello dubbio che non riesce a stare al passo coi grandi, il fantasy è uno dei generi più ricchi e complicati da affrontare. Prima di tutto perché esso si suddivide in numerosi sottogeneri, che lasciano intuire quanto possa essere ricca l’offerta.
Dall’High Fantasy, quello di respiro più medievale, al Dark Fantasy, che rappresenta una sorta di commistione con l’horror, passando per l’Urban Fantasy, che spinge i protagonisti a muoversi in un mondo simile a quello reale, ma con l’intromissione della magia o di qualcosa che esula da qualsiasi spiegazione scientifica.
Sono davvero tantissimi i sottogeneri nei quali un lettore può tuffarsi, ma in ognuno di essi deve essere la capacità dello scrittore di creare un cosiddetto world building che sia credibile, ben strutturato, coerente con la trama. A differenza dei romanzi di fiction tout cour, il fantasy richiede uno sforzo creativo indubbiamente maggiore: basti pensare a uno dei titoli più conosciuti, Harry Potter.
Il successo della saga risiede anche nella capacità della Rowling di creare un mondo magico che appare completo e credibile, che risponde a delle regole ferree come avviene in ogni società che si rispetti. Di riflesso, il flop della saga cinematografica di Animali fantastici e dove trovarli è dovuta proprio alla rottura di quelle regole.
Quando abbiamo visto degli sconosciuti smaterializzarsi ad Hogwarts, dopo aver appreso per anni che non si poteva fare, il nostro senso di orientamento si è smarrito. Questo è solo un esempio di come costruire un mondo fantasy sia una sfida ardua, un compito che richiede una grande maestria.
A tutto questo, inoltre, si deve aggiungere la costruzione di personaggi altrettanto credibili, che si possano muovere con apparente facilità in quel mondo: il Kellsier de L’ultimo impero di Sanderson, il Lock Lamora di Scott Lynch o la protagonista del recente La guerra dei papaveri, dimostrano come una delle sfide maggiori sia proprio quello di far sì che la dimensione scelta per il racconto possa diventare anche palcoscenico per il personaggio. Un genere che richiede la leggerezza dell’immaginazione e la precisione di un architetto, non può davvero considerarsi inferiore.
L’intellettuale che uccide il mercato
Il primo problema che si deve affrontare quando si parla di fantasy è l’incapacità tutta italiana di considerare il mondo dell’editoria come un marketing. Le case editrici non sono opere di carità incaricate di elargire cultura e messaggi profondi. Al contrario, sono vere e proprie aziende con delle spese che sperano di ottenere un fatturato.
Nel Bel Paese, invece, sembra esserci una sorta di snobismo interiorizzato, per cui la letteratura è utile solo nella forma in cui permette di riflettere su grandi temi esistenziali. Più un’opera è complicata, retorica o riflessiva, più ha diritto di esistere. Al contrario, se un’opera è pensata prima di tutto per intrattenere, per essere un’evasione, merita subito una declassificazione, perché viene meno il concetto del prodotto pensato per arricchire il bagaglio culturale e riflettere sulla condizione umana.
Esiste dunque il pregiudizio secondo cui tutto ciò che è fantasy o che rientri nella sfera più ampia del fantastico è un prodotto di qualità inferiore. A dispetto della conoscenza del genere stesso, si tende a pensare che universalmente il genere non abbia nulla da offrire in termine di qualità, che sia stilistica o contenutistica.
I grandi maestri
A questo tipo di riflessione si potrebbe facilmente obiettare con un: “Non è vero che si generalizza. Ad esempio Tolkien è sempre stato riconosciuto tra i grandi maestri.” Senza dubbio Il Signore degli Anelli non è mai stato davvero annoverato tra le opere inferiori di un genere da ignorare. Dipende solo dal fatto che il libro di Tolkien sia effettivamente un capolavoro?
No. La differenza la fa la penna che firma l’opera stessa. J.R.R. Tolkien non era “solo” uno scrittore che si dilettava con mondi alternativi abitati da creature alate e maghi erranti. Al contrario, era uno studioso della lingua inglese, un accademico che lavorò per numerosi atenei, compresa l’università di Oxford.
Tolkien, dunque, era prima di tutto una mente brillante che avrebbe usato il genere fantasy per sperimentare, giocando con le potenzialità di una lingua nuova, affrontando anche temi legati alla filosofia e alla religione. Il Signore degli Anelli, dunque, non sarebbe solo un libro fantasy, ma la sperimentazione di uno studioso che gli “intellettuali” possono riconoscere come proprio pari.
Discorso analogo si può fare per C.S. Lewis, autore de Le cronache di Narnia ed egli stesso professore ad Oxford. Se poi allarghiamo il discorso a tutta la sfera del fantastico, arrivando anche alla fantascienza, vediamo come anche Frank Herbert e il suo ciclo di Dune viene accettato solo perché scritto da un personaggio credibile, un giornalista che era stato anche fotografo di guerra, per cui poteva rientrare nella forma mentis di un intellettuale che accetta solo quello che va al di là dell’ordinario.
Una persona comune che vuole solo dedicarsi alla scrittura di un libro fantasy non ha lo stesso trattamento di un autore che, sul proprio curriculum vitae, può vantare titoli accademici o onorificenze varie.
Le vendite del fantasy: tra dati e social network
Dal momento che il fantasy è – secondo un immaginario vetusto e non in linea con le realtà di mercato – un genere di qualità e importanza inferiori ci si aspetterebbe di vedere le vendite rimanere stabili o andare in perdita. Insomma, se un genere è tanto qualitativamente inferiore, perché la gente dovrebbe continuare a investirci?
Secondo i dati riportati da Il Libraio, invece, il fantasy è uno dei generi che vive un maggiore stato di grazia. Dopo essere state pressoché stabili tra il 2012 e il 2016, oggi le vendite di libri fantasy sono letteralmente triplicate, dal 2020 ai primi mesi del 2022.
Una crescita che sottolinea quanto la ghettizzazione del fantasy stia crollando, pezzo dopo pezzo. Proprio come è successo con la figura del nerd, che è passato dall’essere uno sfigato alla più giusta ricezione di appassionato di cultura pop e non solo, così anche il genere fantasy si sta liberando degli stereotipi che hanno spinto molti lettori a non avvicinarvisi per paura di essere giudicati, e di subire quello che ormai si chiama bookshaming.
Una crescita che si deve anche ai nuovi mezzi di comunicazione per condividere i libri: in questo senso i social network hanno rappresentato un punto di svolta. Da Youtube prima, fino ai TikTok di oggi, i social hanno quasi soppiantato i canonici canali di promozione della lettura.
Secondo il rapporto sullo stato dell’editoria italiana rilasciato dall’AIE risulta che TikTok e i social in generale influenzano almeno il 60% di lettori. Sebbene bisognerebbe riflettere sul perché la comunicazione tradizionale è tanto spaventata dai nuovi mezzi di informazione, è innegabile che i social, che permettono una conversazione alla pari, hanno contribuito ad aumentare le vendite di libri e, dunque, di fantasy.
In questo senso, le case editrici che hanno saputo intercettare il nuovo modo di comunicare sui social, sono quelle che hanno più contenuti online e, di fatto, più pubblicità. Ne è un esempio emblematico Oscar Vault, la sezione fantastica di Mondadori, che ormai conversa coi propri lettori, tastandone l’interesse e i cambiamenti di gusto.
Ed ecco allora il recupero di grandi classici del genere fantasy, come le nuove edizioni dei libri di Neil Gaiman o la ristampa de La figlia della Foresta di Juliet Mariller, la saga dei ladri gentiluomini di Scott Lynch o anche la Folgoluce di Sanderson.
Perciò il fantasy è un genere di serie B?
Alla fine di questa lunga riflessione sul genere, sulle caratteristiche che lo compongono e sugli ostacoli che ha dovuto affrontare nel corso della storia, rimane da risolvere la questione iniziale: il fantasy è un genere di serie B? Un genere destinato solo a giovani lettori che non hanno ancora sviluppato il proprio senso critico o il proprio giudizio di valore?
Facciamo un’ulteriore considerazione: perché il fantasy è spesso associato alla fascia di mercato conosciuta come young adult? Come è risaputo, la lettura è uno strumento prezioso nello sviluppo di un essere umano: permette non solo lo sviluppo dell’immaginazione ma anche la costruzione dell’empatia. Leggere racconti appartenenti al genere fantastico ha ulteriori aspetti positivi per lo sviluppo: rende accessibile il concetto di inclusività senza bisogno di grandi lezioni e le allegorie e i simboli che spesso accompagnano il racconto fantasy sono strumenti attraverso i quali, sia sul piano sociologico che psicologico, un essere umano può costruire la propria scala di valori e guardare quella spaccatura tra Bene e Male che tutti ci portiamo dentro. Il fantasy dunque diventa quasi uno strumento educativo e terapeutico, i cui benefici sono molto spesso sotto gli occhi di studiosi che auspicano un maggior utilizzo di questo tipo di storie tra i banchi di scuola, nella fase di sviluppo. Quindi è indubbio che il fantasy rientri senza sforzo nelle letture più consigliate per i giovani lettori. Abbiamo dunque a che fare con un genere che aiuta a crescere, a formarsi e migliorarsi come esseri umani, che presenta simbologie e allegorie, provoca l’immaginazione e intrattiene. Davvero un’opera con tutti questi elementi si può considerare inferiore? Il punto è proprio questo: il fantasy non è mai stato un genere inferiore.
Tutte le storie sono uguali. Dall’inizio dei tempi assistiamo a una storia che in nuce rimane la stessa, ma che si modifica nello sviluppo, nell’ambientazione, nella scelta dei personaggi. Harry Potter che va ad Hogwarts per cercare gli Horcrux ha le stesse caratteristiche della ricerca di Re Artù del Sacro Graal. Luke Skywalker che accetta di seguire Ben Kenobi non è poi così dissimile da Dante che si avventura con Virgilio oltre la Selva Oscura. Le storie sono tutte uguali, cambia il modo in cui vengono raccontare. Di base, dunque, affermare che il fantasy è un genere minore significa in qualche modo sminuire tutta la narrativa stessa.
Non è il genere, quindi, ad essere inferiore: ma senza dubbio c’è un difetto nello sguardo, nella percezione che se ne vuole avere. Le mancanze non sono nelle storie che appartengono al fantastico ma nell’ottica di chi si è fermato al passato, di chi è chiuso all’evoluzione, a ciò che spazia oltre la sfera del reale. Forse non dobbiamo cambiare il genere, forse bisogna solo evolversi come lettori.
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