“È un genere per chi ha un solo neurone”, “Sono tutti uguali”, “È un genere spazzatura”: questi sono solo alcuni dei commenti che è possibile trovare in rete e sui social riguardo il genere romance. Un genere che, ancora oggi, è molto stigmatizzato e deriso, che dalla comunità dei cosiddetti lettori forti viene ancora sbeffeggiato e indicato come letteratura di serie B.
Se è vero che la lettura è quel tipo di passione che dovrebbe allenare il muscolo dell’empatia e dell’apertura mentale, è altresì corretto affermare che quando si tratta di romance e di letteratura definita rosa, questa apertura si trasforma in un pregiudizio ermetico, in snobismo e intellettualismo spiccio che spinge a ergersi come giudici e censori.
Così come il fantasy è stato a lungo considerato un genere di serie B adatto solo ai ragazzi o a chi non avesse nulla da fare nella vita, così il romance si deve ogni giorno difendere dalle accuse di chi lo reputa un genere destinato solo a casalinghe e donne dalla testa vuota, senza lavoro o responsabilità. Ma da dove vengono tutti questi pregiudizi? Cos’è che spinge molti lettori a considerare la letteratura rosa qualcosa di cui vergognarsi?
Un maschilismo interiorizzato
Sebbene questa affermazione non piacerà alle molte voci della comunicazione che ruota intorno al mondo dei social, uno dei motivi per cui giudichiamo tanto brutalmente il genere romance è un maschilismo interiorizzato, che ci porta a sottostare alla struttura sociale del patriarcato.
Il “romanzo rosa” in Italia arrivò intorno agli anni Trenta del Novecento, come scelta di marketing per accontentare una fetta di pubblico di nicchia e ben definita: quella femminile. Sin da subito, nonostante i grandi successi ottenuti in fatti di vendite, il romanzo rosa venne percepito come un genere minore perché era pensato per quello che, allo stato della società dell’epoca, era considerato un sesso inferiore.
Le donne, nella prima metà del Novecento, avevano altri compiti, altri ruoli che la società maschile aveva pensato per loro. Sebbene i primi movimenti di liberalizzazione della figura della donna stessero emergendo con forza sempre maggiore, era ancora molto forte l’idea dicotomica di donna/madre, donna/moglie e donna/angelo del focolare. Stereotipi che sono molto forti anche oggi, nel 2023, in cui una donna è ancora costretta a giustificarsi nel preferire, ad esempio, la carriera alla maternità. Immaginiamo dunque come dovesse essere categorizzante l’idea della donna negli anni immediatamente precedenti allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Una letteratura pensata per le donne, dunque, doveva essere necessariamente l’opposto di quella pensata per gli uomini. La letteratura alta era quella degli accademici, quella appartenenti ai luoghi e ai salotti dove la voce predominante era quella maschile: salotti in cui le donne preparavano cene e limonate per fare da sfondo ai “discorsi seri” dei propri mariti. Il romance era invece un contentino, una distrazione a cui le donne potevano arrendersi nei momenti morti della loro giornata.
Il primo motivo per cui abbiamo tanti pregiudizi sul romance, dunque, non ha niente a che fare con la qualità insita delle opere che lo compongono. Non riguarda i problemi che il genere può avere. Deriva invece dall’eredità culturale di un’epoca maschilista e patriarcale. Nell’odiare dei libri a prescindere, senza leggerli, solo per la loro appartenenza a un determinato genere, non stiamo facendo che riportare in superficie quel pregiudizio iniziale e maschilista. Il genere romance è inferiore perché è destinato alle donne.
Romance = Narrativa
C’è una grandissima fetta di pubblico che sente il costante bisogno di giustificarsi riguardo le proprie letture. Spesso viene utilizzato il termine guilty pleasure per indicare una lettura che ci ha fatto impazzire, ma che non è “consona” agli occhi della comunità di lettori. Questo non fa che rafforzare il preconcetto legato al romance, la sensazione che sia una lettura di serie B. Molto spesso, infatti, chi è pronto a puntare il dito contro la letteratura rosa afferma con una certa puzza sotto il naso che egli legge solo “libri di narrativa”.
Un errore di percezione che coopera a rafforzare i preconcetti che crocefiggono la letteratura rosa è proprio questo: credere che romance e narrativa siano due cose diverse. Se si cerca il termine narrativa sul dizionario Treccani si può leggere:
Genere letterario che comprende, in senso ampio, tutti i testi di carattere narrativo (dalla fiaba, alla biografia, al poema), ma comunemente circoscritto ai soli testi in prosa d’invenzione come il racconto, la novella, il romanzo
La Narrativa è il macrocosmo che racchiude tutte le opere di finzione. John Steinbeck è narrativa quanto quanto lo è Amalia Liana Negretti Odescalchi, meglio conosciuta con il nome di Liala. L’unica differenza è che il primo scrive narrativa non di genere, mentre la seconda si è specializzata in un genere specifico. A questo punto sembra già di poter sentire i lettori indignati saltare sulla sedia. “Vuoi davvero paragonare un Premio Nobel a una scrittrice di genere romance?” Ma il punto è proprio qui e si può affrontare con un’altra domanda: “Ha senso stare sempre lì a paragonare due cose tanto differenti?” Basti pensare al cinema. Ha senso, ad esempio, confrontare la trilogia de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson con Quarto Potere di Orson Welles? No, perché sono cose diverse e né l’uno né l’altro minaccia la qualità dell’altro.
Per la narrativa è lo stesso: ammettere di leggere narrativa non di genere non esclude a prescindere la capacità di amare e riconoscere il valore della narrativa di genere. E questo è un discorso che non riguarda solo il romance, ma tutta la letteratura di genere, considerata comunemente come un prodotto di serie B. Basti pensare al thriller, che è un genere confinato agli ombrelloni e alle spiagge affollate, come se fosse qualcosa di bassa qualità da affrontare solo quando non si vuole pensare a niente. Poi esiste un’autrice come Tana French che, proprio con il thriller, dimostra un’abilità che fa arrossire persino Donna Tartt…
Qualche cenno storico
Proprio a voler dimostrare che il genere romance non è una cosa estranea rispetto alla narrativa, basta fare un brevissimo excursus nella storia del genere. Si potrebbe far risalire la nascita del genere a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo. Se si pensa a Pamela – O la virtù ricompensata di Richardson o al gotico di Ann Radcliffe si può intuire come queste opere abbiano portato a delle piccole rivoluzioni, concentrando lo sguardo sul mondo femminile. Con Jane Austen, poi, si è concentrata l’idea di un romanzo per le donne scritto da una donna e incentrata poi su una storia d’amore.
Diremmo forse che Orgoglio e Pregiudizio è un’opera di serie B? Naturalmente no. E i più intransigenti tra i critici del romance sottolineerebbero che l’ironia della Austen e la sua presa di mira contro le convenzioni del genere rendono la sua bibliografia alla stregua di un romanzo sociale. Ma chi l’ha detto che un romance non può contenere anche altre tematiche rispetto alla sola storia d’amore? Darlo per scontato è forse la maggior prova empirica di come chi critica il genere di solito non ne sa molto o non ne ha letti molti.
Le problematiche del genere
Tra gli altri motivi che si celano dietro i pregiudizi legati alla letteratura rosa ci sono senza dubbio dei problemi che il pubblico tende a portare in superficie. Il primo riguarda l’originalità. Nell’opinione comune, i romance si somigliano tutti. In effetti, il genere è fortemente codificato, segue determinate regole che non possono essere ignorate e che derivano dalla struttura della fiaba teorizzata da Vladimir Propp.
Nei romance deve esserci una protagonista femminile, una donna di età variabile, un protagonista maschile, un antagonista, una storia d’amore e, naturalmente, un lieto fine. Quindi tutti i romanzi rosa seguono più o meno pedissequamente queste tappe, concentrandosi sugli ostacoli che i due protagonisti devono affrontare prima di poter raggiungere il loro meritato lieto fine. Proprio come avviene nelle fiabe.
Il punto, in questo caso, non è la mancanza di originalità: così come i fantasy rispondono più o meno tutti allo stesso modo al Viaggio dell’Eroe di Vogler, per cui Star Wars ha lo stesso schema di Harry Potter, anche i romance condividono una struttura di base su cui l’autrice o l’autore sono poi liberi di costruire la propria storia.
Un altro problema è dato dalla rappresentazione della mascolinità tossica. I romance vengono spesso criticati perché al loro interno spesso vengono romanticizzate situazioni tossiche e abusive. Il romance, in effetti, è il genere che veicola con maggior forza l’idea del maschio alpha dominante, che poi si trova anche in molti altri generi come il fantasy e il giallo. Ma mentre cambia la consapevolezza nella società, di cosa sia accettabile e cosa invece meriterebbe una condanna, si evolve anche il genere. Ne è una prova, ad esempio, la nascita e la crescita del genere chick-lit, dove il romanticismo è molto più smaliziato e irriverente, che si fonda sul sarcasmo e su personaggi molto à la Bridget Jones, magari rinunciando all’eccessiva goffaggine. Come tutti i generi letterari anche il romance non è esente da difetti e problematiche e, come in tutte le categorie, è pieno di romanzi spazzatura. Ma non bastano queste a demonizzare un intero genere.
Mainstream, quindi spazzatura?
Come avviene anche in ambito cinematografico, sembra esserci una regola non scritta secondo cui se un’opera ha molto successo, diventando mainstream, allora deve essere necessariamente un prodotto di bassa qualità. Quante volte ci siamo lamentati del fatto che il cinema di genere o i blockbuster fossero sempre considerati alla stregua di prodotti di bassa lega solo per la sua capacità di piacere a un pubblico vasto?
Per il genere romance è lo stesso. Come dimostrano i dati AIE sull’anno 2022 presentati in occasione della fiera Più Libri Più Liberi, il romance è ancora il genere più letto in Italia: tanto per copie vendute quanto per fatturato, il romance da solo rappresenta un quinto del fatturato dell’editoria in Italia. Questo dimostra quanto, a dispetto dei giudizi degli intellettuali, i romanzi incentrati sulle storie d’amore siano i libri che maggior parte degli italiani preferisce.
E proprio per questo, proprio per questo suo successo e questa sua accessibilità, il genere romance è visto come inferiore, colmo di difetti: perché se tutti possono avervi accesso, se il “popolo” lo ama, allora deve essere qualcosa di popolare che non ha nessuna spinta edulcorante o intellettuale. Perché purtroppo nel nostro Paese vige ancora la regola secondo cui l’editoria deve essere cibo per la mente e non un insieme di aziende che vogliono solo vedere il proprio guadagno in positivo. E proprio questa incapacità di vedere l’editoria come un business è forse il motivo principale per cui è così facile crocifiggere il romance.
In definitiva, dunque, tutti i pregiudizi legati al genere romance sono legati a un’eredità culturale maschilista e patriarcale e alla presenza di un certo intellettualismo che non ha nessun vero appiglio alla realtà: i libri non vengono pubblicati per far bene allo spirito. Sarà poco romantico, ma le case editrici pubblicano libri per far bene al fatturato. E il romance è il genere che lo fa meglio.
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