Il vampiro era perfettamente candido e levigato, come scolpito nell’avorio, e il suo viso appariva esanime come una statua, a eccezione di quegli occhi verdi, ardenti come fiamme in un teschio, che scrutavano intensamente il ragazzo.
Queste sono le parole che Anne Rice utilizza per descrivere Louis de Ponte du Lac, protagonista e voce narrante in Intervista Col Vampiro, primo capitolo della splendida saga conosciuta con il nome di Le Cronache dei Vampiri.
Nata a New Orleans nel 1941, Anne Rice è stata in grado di rivoluzionare il genere horror legato alla figura del vampiro, creando un universo narrativo ricco e opulento, colmo di riflessioni tutt’altro che scontate. La sua arte è stata talmente rivoluzionaria che, nonostante la scrittrice sia morta l’11 dicembre 2021, la sua eredità è destinata a durare a lungo, in quell’immortalità in cui ha immerso i suoi personaggi principali. Ma a cosa è dovuto il successo de Le Cronache dei Vampiri? Perché gli appassionati del genere non riescono a prescindere da questa epopea composta da tredici romanzi?
L’umanizzazione del Mostro: la trasformazione del vampiro
Anne Rice, con le sue Cronache dei Vampiri ha portato in ambito horror una vera e propria rivoluzione che passa attraverso la costruzione dell’empatia nel lettore. Prima che Intervista col Vampiro venisse dato alle stampe, infatti, il vampiro era pressoché la semplice emanazione del male, un mostro che si nutriva di vita per distruggerla.
Dai poemi germanici del tardo Settecento, arrivando ai famosi Il vampiro di Polidori e Carmilla di Sheridan Le Fanu, il Non-Morto era descritto come l’emanazione di ciò che era oscuro, sconosciuto e pericoloso. Un mostro colmo di malvagità, privo di qualsiasi umanità e destinato a vivere in un cerchio popolato dalla sua stessa violenza.
Il primo cambiamento, in questo senso, arrivò con il Dracula di Bram Stoker. Sebbene molto fosse stato scritto sui vampiri prima dell’arrivo di Jonathan Harker e del suo amore per Mina, Dracula ebbe il merito di arrivare alla grande folle, diventando così un classico imprescindibile, capace di creare una sorta di gusto collettivo.
Bram Stoker prese la figura del vampiro e, pur mantenendo la sua natura sacrilega e oscura, vi aggiunse un aspetto fondamentale: il fascino. Prima di allora, molto spesso, il vampiro era percepito solo come un mostro nel senso più stretto del termine, una creatura della notte da cui scappare a gambe levate. Con il Conte dello scrittore irlandese, invece, il pubblico aveva a che fare con un mostro, sì, ma che sapeva esercitare una fascinazione incredibile: una seduzione che passava non solo attraverso l’estetica, ma anche attraverso l’oratoria e l’intelligenza. Di punto in bianco la protagonista non si trovava a scappare dal mostro per non perdere la propria purezza, ma in un certo senso gli correva incontro.
Nonostante questa rivoluzione, però, il vampiro continuava ad essere una creatura abietta, un villain da abbattere. Uno di quei “personaggi grigi” che ci affascina leggere ma che non vogliamo mai davvero veder trionfare. Anne Rice, invece, scardina questo stereotipo. Un po’ come aveva fatto Mary Shelley con la Creatura in Frankenstein, la Rice dona umanità ai suoi mostri e li rende gli eroi per cui fare il tifo.
Louis, Lestat, Armand e tutti i Non-Morti che popolano le Cronache sono creature che patiscono la loro solitudine e la loro unicità. Sono personaggi che si interrogano riguardo la loro esistenza nel mondo. Personaggi che sono respingenti, ma che chiedono di essere visti, riconosciuti, accettati.
Una rivoluzione chiamata Lestat
In un passaggio di Intervista col Vampiro Louis parla così di Lestat: “Non aveva bisogno di essere amato, ma non voleva essere ignorato.”
Lestat è forse il personaggio che più di tutti rende palese la rivoluzione che Anne Rice ha portato nella prospettiva di chi legge: è una creatura avida, a tratti crudele, che irride la morte e svaluta la vita umana. Un opportunista che si avvicina a Louis solo per la sua ricchezza e che non si fa scrupolo a ridere dei dolori della giovane Claudia. Eppure il lettore non può fare a meno di entrare in empatia con lui, di provare affetto per questo vampiro che non ha ancora capito la sua immortalità e che, in qualche modo, è bloccato in un passato che getta ombre sul suo futuro.
I vampiri di Anne Rice sono creature con grandi poteri soprannaturali, ma che faticano a trovare la propria strada, immersi in una fragilità che mostrano in modo di versi. Personaggi che accettano il femmineo che è in loro e che, in questo modo, distruggono il sistema patriarcale legato al genere. I vampiri di Anne Rice non somigliano a nessuno dei “succhiasangue” che li hanno preceduti: sono ribelli, scevri di sessismo e machismo, con molti rimandi queer. Ad esempio, Lestat e Louis sono la prima coppia dello stesso sesso che “adotta” una bambina, con una naturalezza che, negli anni ’70 era quasi impensabile.
Ma la rivoluzione della figura del mostro non ha a che fare solo con la sua ritrovata umanità, ma anche nell’utilizzo che se ne fa: i vampiri di Anne Rice non sono solo creature soprannaturali, ma sono soprattutto una lente che Anne Rice utilizza per guardare la società.
Elaborazione del lutto e immortalità
Le Cronache dei Vampiri possono essere definite, per amore di sintesi, dei resoconti di vite straordinarie. Non è tanto l’azione a farla da padrone – sebbene essa non manchi mai – ma il racconto o, meglio, l’arte di raccontarsi. In questo senso l’epopea immortale di Anne Rice può essere percepita anche come una riflessione sull’umano inteso in senso lato, ma anche un disperato tentativo di ricercare nella scrittura e nella narrazione una chiave per decifrare il mondo.
Non a caso Anne Rice ha ripreso in mano una sua vecchia novella per trasformarla in quello che poi sarebbe diventato Intervista col Vampiro per rispondere a un’esigenza personale: cercare di elaborare il suo lutto. La perdita della figlia aveva spinto la scrittrice verso una profonda depressione che ha portato alla nascita di sentimenti che la Rice ha poi riversato nel primo libro della sua saga. Come il suo protagonista, Anne Rice si è trovata nella condizione di perdere tutto quello che era importante e mentre lei annegava il suo dolore nell’alcol, Louis accettava di bere dalla vena di Lestat, assaporando il sangue che è assimilabile a qualsiasi sostanza in grado di dare dipendenza.
Louis, come la sua autrice, è un uomo che sta cercando di elaborare il lutto e per la maggior parte del tempo, in Intervista col Vampiro,si sente la necessità di Anne Rice di trovare un modo per andare avanti. Ecco allora che viene creato il personaggio di Claudia, una bambina strappata alle braccia della morte per essere donata a quelle di una Non-Vita. Di fatto, sembra che Anne Rice abbia voluto domandarsi come sarebbe stato non perdere la propria bambina, lasciandola non-morta per sempre. Ma l’arco evolutivo di Claudia è tale che, pur non volendo fare spoiler a chi ancora non conoscesse la storia, finisce per l’essere non la preghiera di un eterno ritorno, ma l’accettazione di uno struggente addio.
Anne Rice e la religione
E proprio nel trattare il tema dell’elaborazione del lutto, Anne Rice affronta anche un altro tema che sancisce il carattere rivoluzionario della sua opera: quella della religione. Se, in molte delle opere precedenti, i vampiri erano percepiti come un’emanazione dell’inferno e perciò incapaci di avere una coscienza, una morale o una consapevolezza di questi valori, Anne Rice riempie la sua opera di riflessioni legate alla religione.
Per gran parte del primo libro della saga, ad esempio, il personaggio di Louis non fa che domandarsi quale sia la sua posizione agli occhi di un Dio che lui sente avergli voltato le spalle. Louis è un vampiro che vorrebbe rientrare nella grazia divina, ma che sente ancora di avere una certa vicinanza con quel Satana che ha sempre ricacciato indietro a causa degli insegnamenti della Chiesa. “All’improvviso pensai a quanto sarebbe stato consolante conoscere Satana,” ammette Louis. “Guardarlo in viso, per quanto terribile fosse il suo aspetto, sapere che gli appartenevo completamente”.
La formazione cattolica della scrittrice, inoltre, ha influenzato moltissimo il suo lavoro e, ancora una volta, lo si vede benissimo nel suo personaggio preferito. Per tutta la saga il lettore non fa altro che vedere Lestat cercare la redenzione. Nonostante i suoi peccati, la sua vanità che lo spinge a volte a definirsi come una creatura intrisa di divinità, Lestat ha un background cattolico che alimenta il suo senso di colpa sotterraneo e lo spinge a cercare redenzione, pur sapendo di essere tutto ciò che la società critica e condanna. Tutto ciò che è abietto e tabù e immorale: un uomo che sconfigge la morte, che si ciba di ciclo mestruale, che anela l’impossibile a ogni costo e che uccide. Lestat è tutte queste cose, ma allo stesso tempo è una creatura che cerca di ritrovare la sua moralità.
Ancora una volta, Anne Rice scrive per cercare di dare ordine al suo mondo interiore. Dal suo rapporto problematico con gli insegnamenti della Chiesa, passando per la conversione e la complessità di accettare il dogma di un’unica religione, la scrittrice ha riversato le sue domande nei suoi libri. E se è vero che il vampiro è da sempre associato alla religione cattolica, nessuno ha mai trattato il tema come ha fatto la Rice. Si pensi, ad esempio, al libro Memnoch, il diavolo, in cui in una specie di retelling della Divina Commedia, Lestat si trova a viaggiare dall’inferno al paradiso, ponendosi come eguale tanto del demonio quanto di Dio. Considerato sacrilego, questo romanzo in realtà fa echeggiare un concetto che Anne Rice ha proposto varie volte all’interno dei suoi lavori e cioè che c’è del divino in ogni creatura e che questa caratteristica non appartiene alla religione, ma all’umano stesso. Che una simile affermazione venisse da una donna cresciuta a pane e cattolicesimo, all’interno di una saga gotica con molti accenni queer basta a definire le Cronache dei Vampiri una vera e propria rivoluzione.