Ci sono vite che sembrano destinate a restare intrappolate tra le pagine della Storia, sospese tra due mondi, due identità, due patrie. Quella di O’Tama Kiyohara è una di queste: pittrice e pioniera nell’arte e nella cultura, fu una donna capace di valicare i confini geografici e culturali con la forza della sua arte. Nata a Tokyo nel 1861, in un Giappone ancora chiuso al mondo intero, si trovò presto catapultata in una realtà lontana e sconosciuta: la Palermo di fine Ottocento. Il destino la legò indissolubilmente a Vincenzo Ragusa, lo scultore siciliano con cui condivise un’esistenza di creatività e amore. Un legame in grado di superare ogni barriera culturale.
In Italia nota come Eleonora Ragusa, non smise mai di essere O’Tama, ponte vivente tra Oriente e Occidente, portando con sé i segreti della pittura giapponese e aprendosi alle suggestioni dell’arte europea. Dopo la morte del marito, nel 1933 fece ritorno a Tokyo, dove aprì un atelier e trascorse gli ultimi anni della sua vita, ormai straniera nella sua terra natale. Morì nel 1939, lasciando un’eredità che ancora oggi risuona tra le mura della sua scuola e nelle strade delle due città che le diedero i natali: Tokyo e Palermo.
A raccontarci la sua storia Andrea Accardi e Keiko Ichiguchi, autori de La vita di Otama, elegante graphic novel firmata Sergio Bonelli Editore pubblicata il 24 gennaio 2025. Un’opera sui generis che tratta di una donna straordinaria, coraggiosa: un cuore diviso tra due patrie, un destino che ancora oggi continua a ispirare.

O’tama Kiyohara, l’impatto con un’artista sui generis
Quanto è importante per voi raccontare storie di personaggi storici, specialmente autrici, in un’epoca in cui spesso non veniva data loro voce? Che impatto sperate di avere con La vita di Otama?
Keiko: Io non sapevo nulla di Otama. Non avevo sentito prima neanche il suo nome. Perciò quando ho scoperto la sua vita, mi è venuta molto naturalmente la voglia di farla conoscere agli altri. Immagino che nella storia ci siano tante persone sconosciute nonostante abbiano fatto cose eccezionali.
Andrea: Anche se amo leggerle o vederle su film o documentari, come disegnatore non ho mai avuto un particolare interesse per i personaggi storici, o almeno è stato così fino a che non ho incontrato Otama.

Il primo incontro con Eleonora Ragusa
La storia di Eleonora Ragusa deve aver lasciato una traccia indelebile nelle vostre anime per spingervi a collaborare e realizzare un’opera che narrasse la sua interessante vita. Qual è stato il vostro primo incontro con O’tama Kiyohara?
Keiko: Sono stata colpita dal fatto che lei fosse dimenticata quasi completamente dai giapponesi perdendo i legami col suo paese natio. Magari era inevitabile considerando la situazione della società di allora. Ma io, vivendo in Italia sposata con un italiano come lei, mi sono chiesta se anch’io un giorno perderò completamente il legame col mio paese.
Andrea: Ho incontrato O’tama nella mia Palermo diverse volte poiché il suo busto in terracotta (scolpito dal marito) si trova alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Palermo e la prima volta non ha suscitato nulla in me, forse perché ero ancora troppo piccolo per capirlo [ride]. La seconda volta è scattata la scintilla, probabilmente perché mi sono reso conto che la donna ritratta avesse origini giapponesi.
Tra l’altro non avevo collegato quest’opera al ritratto di Eleonora Ragusa, esposto nel medesimo Museo, poiché la didascalia del busto recita solo “Ritratto della moglie”. Dopo il terzo incontro, ho capito che avrei dovuto cominciare a indagare: una volta tornato a Bologna, ho deciso di cercare informazioni su Vincenzo Ragusa, e da lì è venuta fuori tutta la storia di questi due personaggi. I motivi che mi hanno spinto a narrare la storia di questo personaggio sono fondamentalmente due: il primo è che si tratta di una donna giapponese, il secondo è Palermo.

La genesi dell’opera: una creazione lunga e travagliata
Potete raccontarci qualcosa sulla genesi dell’opera? È stata una creazione lunga e travagliata o il processo di scrittura e disegno si è rivelato naturale e fluido?
Keiko: E’ stata una creazione molto lunga e travagliata! Lavoravo sempre da sola come fumettista scrivendo e disegnando. E’ stata la mia prima esperienza di lavoro con un disegnatore. Ho imparato tante cose.
Andrea: Sono interessato al Giappone da sempre, grazie a Goldrake: è sempre stato una mia passione, pertanto scoprire che O’tama avesse vissuto a Palermo mi ha fatto sentire orgoglioso delle mie origini. Quando poi ho letto il saggio “Echi di Giappone in Italia” (Antonietta Spadaro), ho capito che la storia dei due coniugi, non così conosciuta ne’ in Italia, ne’ in Giappone, doveva essere raccontata.
In una prima fase avevo immaginato un libro illustrato in cui vi fossero i momenti salienti della storia di O’tama: la vita col futuro sposo, i viaggi e la vita a Palermo, le opere. Non riuscivo però a dare un senso a tutta la storia: dal lontano 2012, sono trascorsi anni prima che decidessi di collaborare con qualcuno per lo storyboard.
Nel 2017 ho deciso di scrivere a Keiko Ichiguchi – che tra l’altro conoscevo già da anni – anch’essa sposata con un uomo italiano e che viveva in Italia: in un certo senso, ai miei occhi c’era una corrispondenza con la storia della nostra protagonista. Dopo aver esposto le mie idee a Keiko, lei si è dimostrata subito molto entusiasta. Tuttavia, il processo di scrittura e sceneggiatura è stato molto lungo e travagliato. Dal momento in cui abbiamo iniziato a collaborare, le ho affidato completamente la sceneggiatura: io ero diventato quasi un lettore, curioso di assistere alla stesura della storia.

La gestione della collaborazione tra artisti
Come avete gestito la collaborazione tra sceneggiatura e disegno? Ci sono stati momenti in cui le vostre visioni artistiche si sono scontrate o arricchite reciprocamente?
Keiko: Ho scritto la storia e la sceneggiatura e realizzato lo storyboard. Mi sono resa conto che il mio ruolo è simile a quello di un regista del film. Mentre il ruolo di Accardi, il disegnatore, è come quello di attore, costumista, tecnico degli effetti speciali, scenografo. Perciò io ho il compito di spiegargli bene le mie intenzioni, soprattutto dal punto di vista narrativo, mentre lui disegnava. Ma non ero abituata affatto a farlo visto che lavoravo sempre da sola. Per questo per me è stato un lavoro molto più lungo e faticoso. Mi sono resa conto di quanto è difficile spiegare le mie idee a parole.
Andrea: Un momento critico riguardo alla lavorazione del libro è nato quando ho capito di non avere molto tempo a disposizione per disegnare: pertanto, ho cercato qualcuno che potesse aiutarmi a chinare le tavole. Trovare stile e segno che non si discostassero troppo dal genere del fumetto era già stato un processo lungo: difatti, ho utilizzato un tratto più sottile di quello che uso normalmente, al fine di alleggerire il tutto. Tuttavia, Arianna Farricella (talentuosa e versatile disegnatrice) è riuscita a emulare il mio segno dopo poche prove, minimizzando la differenza tra le prime pagine e le successive.
La gestione tra sceneggiatura e disegno è stata completamente nuova, e non solo per me. Io sono abituato a lavorare con autori che sono anche disegnatori (e viceversa). […] La mia difficoltà è stata quella di trovare un lavoro già finito, qualcosa di completamente diverso da quel che faccio di solito. In tal caso, Keiko aveva un controllo maggiore dell’opera, il che da un lato mi ha spaventato, dall’altro mi ha molto incuriosito: volevo proprio vedere cosa sarebbe venuto fuori da questa nuova versione di me!
Chiaramente, quando ci sono collaborazioni simili è naturale scontrarsi: tuttavia, è incredibile quante cose io sia riuscito ad imparare sugli abiti giapponesi, i costumi, ma anche sulla grammatica del fumetto nipponico. Io e Keiko, poi, abbiamo battezzato la Maledizione del Kimono: in ogni tavola raffigurante un kimono, Keiko trovava una o più linee sbagliate da correggere!
Influenze e ispirazioni
Una delle caratteristiche più notevoli de La vita di Otama è lo stile grafico miscelato ad un’ottima e lineare narrazione degli eventi: un modus operandi che appare al lettore a metà tra il realistico e il poetico. Da cosa avete tratto ispirazione per definire questa estetica? Ci sono autori o opere che vi hanno influenzato particolarmente nella realizzazione delle tavole e nello stile di disegno?
Keiko: Mi sento molto lusingata per le sue parole gentili. A dire la verità non avevo nessun riferimento specifico estetico, ma volevo creare l’atmosfera dell’epoca, bella ma fragile, come quella che ho percepito nel film giapponese “Sasame Yuki” del regista Kon Ichikawa (1983) ambientato negli anni in cui visse O’tama.
Riguardo allo stile di disegno, quando Accardi ha realizzato gli studi dei personaggi, mi sono piaciuti subito. L’unica cosa che gli ho chiesto sullo stile di disegno, per quanto mi ricordo (magari gli ho chiesto un sacco di cose senza rendermene conto!), era inchiostrare con le linee più sottili. Le sue linee sono molto eleganti, come evidenziato dalle linee sottili. Tra altro abbiamo avuto la grande fortuna di avere Arianna come inchiostratrice, che ha rispettato e mantenuto perfettamente questo segno.
Andrea: Gli autori che hanno contribuito alla mia formazione sono tanti e provengono da diversi mondi fumettistici, ma è indubbia l’influenza del manga nel mio stile, anche se negli anni ho provato a ibridare e camuffare il mio segno. Nel momento in cui ho cominciato a lavorare al libro ho pensato all’unico shojo manga che ho letto quando ero più piccolo: Candy Candy, di Yumiko Higarashi, che la Fabbri pubblicò a colori nei primi anni 80.

O’tama, donna unica e complessa nella sua “normalità”
Nel corso del volume, O’tama viene definita quale donna “normalissima”, eppure nel contesto del Giappone di fine Ottocento emerge come una figura sovversiva e unica: è una donna forte, empatica, che ha trovato l’autodeterminazione in maniera indiretta, nell’amore di un uomo. Come avete bilanciato la soggettività delle vostre opinioni con il desiderio di rappresentare fedelmente la sua complessità? Definireste Otama un’eroina femminista?
Keiko: Non avevo nessuna intenzione di trattarla come un’eroina femminista, non l’ho considerata tale. Ho semplicemente cercato di capire come fosse lei, soprattutto quali fossero i suoi sentimenti. O’tama ha vissuto in un modo molto sincero e fedele alla sua volontà. Ma in fondo si tratta solo della mia immaginazione. Affido ai cari lettori come considerarla.
Andrea: In tutto il tempo in cui ho lavorato a O’tama non ho mai pensato fosse un’eroina femminista. Ci sarebbero un sacco di cose di cui tener conto, come ad esempio la sua particolare condizione nella Palermo dell’epoca: tanto per cominciare, O’tama non proveniva da una “classica” famiglia siciliana, era un’artista giapponese, una donna più progressista in tal senso. Non so se potremmo definirla una “eroina femminista”, ma di certo era coraggiosissima.

Palermo e Tokyo, due mondi che s’intrecciano
Nel racconto, Palermo e Tokyo sono due mondi che si intrecciano, ricchi di contrasti: da un lato il razzismo velato e l’apparente libertà occidentale, dall’altro una cultura tradizionale, legata alla famiglia e agli affetti, ma che assume l’aspetto di una prigione dorata. Come avete lavorato per rendere queste città così vive e fondamentali nella narrazione?
Keiko: Ho cercato di capire la società dell’epoca leggendo dei libri e cercando le immagini vere dell’epoca per rendere la storia possibilmente più realistica. I disegni di Accardi magnificamente dettagliati hanno contributo tantissimo a questo. Le mie richieste sui dettagli erano sicuramente maniacali. Immagino che lo facessero impazzire!
Andrea: Il motivo che ci ha spinti a rendere questi luoghi così vivi è semplicemente perché ci siamo nati: io sono di Palermo e Keiko – sebbene non sia di Tokyo, ma di Osaka – ha respirato la stessa aria. Uno dei motivi che mi ha incoraggiato ad interessarmi alla storia di O’tama è che avrei potuto illustrare uno dei migliori momenti della città, il Liberty: è stata un’esperienza per me gratificante, pertanto ho voluto dedicare l’opera proprio a Palermo.

Partire verso l’ignoto o preferire la stabilità del nido?
O’tama sceglie l’amore, abbandonando la propria famiglia e il Giappone per non rivederli mai più. Se foste stati al suo posto, avreste preso una decisione simile, partendo verso l’ignoto, o avreste preferito la stabilità del nido?
Keiko: La situazione sociale è molto diversa, ma direi che anch’io ho fatto una scelta simile alla sua. Vi racconto una cosa: all’inizio della pandemia ho accompagnato all’aeroporto uno studente giapponese che stava per prendere uno degli ultimi voli per il Giappone. A quel tempo noi – i giapponesi residenti in Italia – ricevevamo le mail dal consolato o dall’ambasciata del Giappone che ci consigliavano ripetutamente di partire al più presto se avevamo voglia di tornare nel nostro paese. Era una situazione surreale. E io ho preso la decisione di rimanere in Italia senza nessuna esitazione perché qui c’è mio marito. Forse certe cose vengono fuori solo in una situazione estrema.
Andrea: Anche se non so cosa avrei fatto se fossi nato in quell’epoca, però da uomo di quest’epoca ho fatto quel che ha fatto Otama: per amore ho abbandonato il nido e scelto l’ignoto. E ora sono qui!
