Un gigantesco scheletro umanoide, con grandi corna, come il dio Crom di Conan, giace in un sotterraneo e tiene in grembo una sorta di feto. Una persona incappucciata tenta di impadronirsi del piccolo manufatto (se così si può chiamare), ma viene fermato da una sorta di mago-guerriero, dalle corna simili a quelle dello scheletro. Il mago fugge a cavallo di un cervo magico: dettagli degli zoccoli della strana cavalcatura, totale da dietro del cavaliere e primissimo piano di quest’ultimo, con gli occhi celati da un cappuccio. No non è l’inizio di un episodio di The Witcher, né un nuovo film o prodotto seriale basato su qualcuna delle infinite saghe fantasy che affollano le librerie da un paio di decenni (da quando la trilogia di Jackson esplose nelle sale), si tratta bensì di un nuovo fumetto, italiano, ideato e scritto da Luca Lamberti e Leonardo Cantone, disegnato dallo stesso Lamberti, pubblicato dalla Bugs Comics, responsabile di quel fenomeno da edicola che è Samuel Stern, forse unico degno erede di Dylan Dog.
L’incipit del primo numero di Kalya, Il frammento del caduto, con una reliquia dai poteri misteriosi celata in un recesso sotterraneo, non sfigurerebbe nemmeno come nuova avventura dell’archeologo con cappello e frusta (Indiana Jones vi dice qualcosa?), se non fosse per l’ambientazione fantasy e per il prologo che, in stile Signore degli Anelli, racconta l’antefatto, o meglio fornisce informazioni utili al lettore riguardo il mondo in cui si appresta a mettere piede.
Un world-building impressionante
Un world-building affascinante e ben articolato quello di Kalya, tra l’altro ampiamente documentato da una pubblicazione autonoma dal titolo inequivocabile “Theia: il mondo di Kalya”, che presenta ed esplora appunto il mondo narrativo in cui si muove Kalya, approfondendone aspetti mitologici, sociali e antropologici. Insomma la cosiddetta “Bibbia dei personaggi”, che sta a sottolineare l’estrema cura con cui gli autori si sono dedicati alla costruzione della serie.
Le premesse narrative sono dunque queste: alcune divinità non proprio amichevoli, denominate Fondamenti, puniscono uno di loro, Malkuth, che ha osato creare la vita. Quest’ultimo, scindendo il proprio nucleo vitale, Alkest, in più parti, crea i Gjaldest, essenze che, mescolandosi in seguito con gli esseri umani, si sono evolute in creature umanoidi cornute, dai poteri simili ai Fondamenti, capaci di manipolare la materia organica, almeno quella priva di anima. Senza scendere in ulteriori dettagli, basti sapere che dallo scontro tra Malkuth e gli altri Fondamenti è avvenuta una catastrofe che distrusse Atzmuth, la dimensione in cui risiedevano tali divinità, mentre i corpi di queste ultime precipitarono nel continente di Theia, impregnandone il terreno con i propri poteri. Tra le conseguenze nefaste di questo avvenimento, la diffusione del cosiddetto Morbo pallido, sorta di virus che attacca terra, esseri viventi e piante, incancrenendo tutta la materia organica.
La trama: una guerriera e un oggetto magico
In questo contesto si muove Kalya, un abile guerriera dalle origini misteriose, accompagnata dal fido Gobiln Tagh, che si vede assegnare una missione da Dakan, un djaldest interessato a recuperare l’Alkest, ovvero l’oggetto portentoso, a forma di feto, legato a Malkuth, divinità (o Fondamento) di cui si diceva prima. Dakan non è l’unico interessato al magico manufatto: alla sua ricerca si muovono anche l’alchimista Leena, mandata dalla città degli uomini di Galdor, e un elfo crudele, di nome Valon. Ci troviamo dunque nel più classico degli intrecci fantasy, basato su archetipi narrativi canonici, ma, come è giustamente espresso nella filosofia della Bugs Comics (ma non solo lì), spesso il come si racconta una storia, è altrettanto importante di cosa si racconta.
Come in un montaggio cinematografico
Ciò che subito colpisce in Kalya è il notevole impatto visivo: sia nella dinamicità delle singole vignette, sia nella costruzione sintattica di queste ultime. Riguardo la singola vignetta, il movimento improvviso dei personaggi nelle scene d’azione viene sottolineato da linee in stile manga e dà una definizione diversa dell’immagine, quasi vicina al cartoon. Riguardo la giustapposizione delle immagini, l’uso dei dettagli inseriti all’interno di vignette più grandi e la successione delle inquadrature, ricalca quello che a tutti gli effetti è un vero e proprio montaggio cinematografico. Come molti sapranno cinema e fumetti sono nati insieme, nel 1895, e spesso le forme e i linguaggi sono felicemente trasmigrati tra l’uno e l’altro, quindi non è una cosa nuova, ma la resa di Kalya è davvero efficace nel sottolineare le avvincenti scene d’azione, nonché i momenti di dialogo che nascondono tensioni sotterranee, pronte a esplodere.
Qualità pittoriche
Per non parlare delle qualità pittoriche di alcune vignette in particolare, per esempio durante il passaggio del carro di Leena, vagamente ispirato al castello errante di Howl, nel bosco, alle pagine 40-41: il suggestivo gioco di luci e ombre ci fa quasi annusare e vivere per davvero il favoloso sottobosco della foresta di Felhem. Oppure la splash page di pagina 46, in cui ammiriamo per la prima volta in tutta la sua possanza l’incredibile animale cavalcato da Dakan, un cervo dai molti occhi che non sfigurerebbe affatto in qualche cartone animato di Miyazaki, soprattutto La principessa Mononoke. Ma sono molti gli esempi da riportare, che lasciamo al lettore il piacere di scoprire.
Kalya e la Kabbalah
Se il tema della rottura di un equilibrio divino precedente alla creazione del nostro mondo, nonché della conseguente caduta, è presente in numerose mitologie di molte culture, dallo gnosticismo alle religioni cristiane ed ebraica, è proprio con quest’ultima che ci sono fortissimi punti di contatto nella “Bibbia” di Kalya, se ci passate il gioco di parole. È soprattutto con l’aspetto esoterico della religione ebraica, ovvero con la Kabbalah, che il fumetto di Lamberti e Cantone condivide i riferimenti maggiori. Malkuth, il nome del Fondamento ‘ribelle’ che crea i Gjaldest, nella Kabbalah ebraica è il nome del decimo Sephiroth dell’albero della vita, quello in cui la volontà di Dio si solidifica nel mondo materiale. Senza fare eccessivi compendi di Kabbalah, basti sapere che l’albero delle Sephiroth è una rappresentazione simbolica del modo in cui l’essenza divina si propaga, attraverso vari piani di emanazione, da una sorta di nulla astrale denominato Ein Sof, fino a quello che conosciamo come mondo materiale e che viene appunto definito Malkuth, o Regno. Ognuna di queste emanazioni (o sephiroth) esprime una particolare qualità divina, a cominciare dalla Corona, Kether, o volontà di inizio, passando per Chokhmah, la saggezza, Binah l’intelligenza, arrivando infine alla decima, Malkuth, ovvero la fase in cui il respiro divino prende forma e sostanza nel mondo che conosciamo.
Non è dunque un caso che, nella cosmogonia di Kalya, l’unico Fondamento capace di manipolare la materia organica, si chiami proprio Malkuth, ovvero l’ultima Sephiroth dell’albero della vita, che ha a che fare col Regno della materia. Tra l’altro, la denominazione Fondamento, data dagli autori di Kalya alle divinità del mondo di Theia, corrisponde in realtà alla qualità della nona Sephiroth, quella immediatamente precedente a Malkuth, cioè Yesod, ovvero il punto in cui confluiscono tutte le altre Sephiroth, la cui volontà divina viene poi riversata in Malkuth che, in quanto materia, funge da contenitore, o sostanza, che viene modellata.
Infine la parola Atzmuth, usata per la dimensione in cui vivono i Fondamenti, non può non ricordare l’Aziluth, il primo dei quattro mondi in cui si sviluppa l’albero della vita. Nella visione cabbalistica infatti esistono ben quattro mondi, con quattro diversi alberi della vita, che si sviluppano a partire da quello più vicino, per modo di dire, alla divinità, ovvero il menzionato Aziluth, fino ad arrivare all’ultimo Asyyah, che è più prossimo alla creazione materiale. Si tratta di sistemi simbolici che il pensiero esoterico ebraico utilizza per esprimere concetti teologici complessi, dei quali però è intriso il world-building di Kalya.
Un’introduzione in medias res
Se in questa prima avventura di Kalya i riferimenti alla kabbalah sono evidenti a chi li voglia cogliere, sarà interessante vedere come tali elementi potranno essere valorizzati all’interno della trama orizzontale che si andrà a sviluppare. È per questo che non crediamo sia inutile questo excursus esoterico: conoscere le fonti su cui si basa un’opera narrativa, nonché l’humus culturale su cui è germogliato un mondo immaginario complesso e articolato, può solo arricchire chi si accosta a tale creazione, permettendo di apprezzarne i riferimenti e di immaginare futuri sviluppi.
È chiaramente presto per dire dove porteranno tali sviluppi e se i personaggi principali funzionano, anche perché il primo numero non è autoconclusivo, ma si tratta della prima parte di una storia divisa in due. Quello che possiamo dire è che, questo primo albo conquista già il lettore, sia per un worlbuilding davvero ben architettato, sia per la concisione di una narrazione che entra subito in medias res, senza tanti fronzoli, portandoci direttamente nel cuore dell’azione. Infatti se da un lato si tratta di un’avventura introduttiva, dall’altro la vicenda scivola veloce e in modo avvincente, come se ci trovassimo all’interno di una trama già in corso d’opera, che non ha bisogno di tanti spiegoni, tranne ovviamente quello del prologo, che serve a introdurre il mondo di Theia. Difficile dunque non appassionarsi alle vicende di Kalya, sia per il linguaggio visivo raffinato e dal notevole impatto, sia per l’intrigo che fin dalle prime pagine risulta avvincente.