Gaea‑Tima, il nuovo manga di KENT edito da J‑POP Manga, apre con un atroce prologo tragico che – a tratti – ricorda un po’ l’angosciante storia narrata ne L’Attacco dei Giganti. Una gigantesca creatura emerge dalle acque al largo di Sukuba portando morte e devastazione, complice uno tsunami catastrofico che spazza via ogni cosa: ricordi, case, persone, speranze. Un inizio così oscuro e intenso che pare impossibile immaginare una svolta diversa, un epilogo sereno. Eppure, si sa, è insito nella natura umana l’istinto di sopravvivenza, quello strano “attaccamento alla vita” cui tanto teniamo.
Quel modus operandi paradossale e talvolta terrificante che ci consente di trarre vantaggio anche dalle disgrazie altrui.
Giuro che ti salverò!

Miyako Morino è giovane, giovanissima. Corre verso la costa, mentre il mare continua a gonfiarsi, pronto ad inghiottire chiunque. Lei non vuole restare sola, non riesce ad immaginare la sua vita in assenza dell’amata madre. Tuttavia, Miyako non si rende conto della tragicità della situazione se non dopo essere giunta al capolinea: sua madre è lì, viva, ma schiacciata dalle macerie. Cosa può fare? Lei è solo una ragazzina, non può nulla. La sua fuga dall’Altopiano è costata già la mano al padre della sua miglior amica, e adesso? Quel sacrificio sarà vanificato dal suo gesto impetuoso. La tempesta imperversa, mentre Miyako è in preda al panico, i pensieri fluiscono veloci finché l’acqua non l’avvolge del tutto. Poi, il buio.
Si dice che quel giorno, nonostante fosse estate, nevicò.
Tempo dopo, il mare che dieci anni prima aveva portato morte e distruzione si tramuta in fonte di prosperità, denaro facile. Il golfo di Sukuba diventa fertile, i pesci abbondano e gioiosi turisti affluiscono in massa, mentre gli abitanti si arricchiscono sulle spalle di chi, tempo addietro, ha perso tutto. E il mostro distruttore, viene trasformato in una sorta di divinità. Gaea‑Tima, bestia benevola celebrata dagli abitanti con merchandising e statuette, un’icona da cui trarre profitto.
Sopravvissuta alla disfatta, Miyako è ormai una giovane donna, costretta a confrontarsi con un passato da cui non riesce a liberarsi. Segnata dalla sofferenza dei suoi amici e parenti, di chi “non ce l’ha fatta”, pare essere una dei pochi abitanti a non gioire della prosperità del kaiju. Dopo aver creato una statuina del mostro come forma di iconografia personale, per dare un senso a quel che è accaduto 10 anni fa. Prova, dunque, a trasformare il trauma interiore in qualcos’altro. Tuttavia, quella statuetta a forma di Gaea-tima non servirà ad esorcizzare l’orrore, ma diventerà parte della sua routine quando, un giorno, le acque di Sukuba si gonfieranno nuovamente. Ospitando, per la seconda volta, il corpo gigantesco di un kaiju.
Gaea-tima è tornato, ma non è intenzionato ad uccidere o distruggere. È qui per un altro motivo: proteggere la sua mamma.
Kaiju, merchandise e business del dolore

Gaea‑Tima, come per Kaiju n8, entra di diritto a far parte della lunga tradizione dei kaiju, mostri nati nella fantascienza giapponese del dopoguerra, con capostipite Godzilla (Gojira, 1954). Queste “strane bestie” (怪獣) sono state spesso emblema e allegoria di incubi nucleari, mutazioni genetiche e ansie sociali, e hanno dato origine a un intero immaginario culturale che spazia dai super sentai ai mecha.
Nel tempo, i kaiju sono divenuti veri e propri fenomeni di massa, oggetti di culto e merchandising, proprio come nel manga di KENT: giocattoli, statuine, manga. E in Gaea‑Tima, l’autore omaggia questa mitologia, reinventandola un po’. Rendendo il mostro non solo l’incarnazione del trauma collettivo, ma anche riflesso della società che trasforma il dolore in business divino, la mercificazione del sacrificio. Perché l’idea che un cataclisma possa diventare business non è utopistica: in molti guadagnano sul turismo legato a eventi tragici (tsunami, eruzioni, incidenti), trasformando il ricordo in attrazione.
Il tocco di bianco

Inutile negarlo: Gaea‑Tima si presenta come un’opera visivamente matura già nel suo primo volume. Lo stile grafico omaggia un po’ l’estetica anni 80, il che risulta evidente nella composizione delle scenografie e nella resa dei mostri, ricche di dettagli. Tuttavia, troviamo anche uno squisito equilibrio tra dinamismo delle tavole e chiarezza narrativa, un modo di illustrare la storia molto moderno, il che rende ogni tavola ricca d’impatto.
Le scene d’azione sono tra i punti di forza più evidenti, complici doppie pagine di grande effetto. Gaea‑Tima stesso è una creatura disturbante, assumendo talvolta le sembianze di un pupazzetto deciso a non lasciare sua madre, avvolto – di contro – da un alone sanguinario. È una figura iconica e ambivalente, inquietante eppure familiare.
Nonostante l’attenzione di KENT alla scala di grigi e all’uso del nero, la sua vera maestria sta nella resa degli sguardi: gli occhi, attraversati talvolta da lampi bianchi, concentrano l’emotività delle scene, divenendo fari di espressività. I personaggi sono più che mai vivi.
Duplice anima

Nonostante le premesse tragiche, Gaea‑Tima cambia spesso registro, offrendo una narrazione coinvolgente e a strati. Una storia in grado – a nostro parere – di appassionare tanto gli amanti del genere quanto chi cerca un’avventura a tutto tondo. E KENT accompagna il lettore in questo viaggio, bilanciando abilmente umorismo e profondità, forte di una protagonista complessa come Miyako e i membri del Fune. La giovane vanta un legame ambiguo con la creatura, un legame da investigare. Che si tratti di esserne genitore inconsapevole o “addestratrice” (tamer), è lei a dare forma all’attuale Gaea‑Tima, generandolo da un secondo cuore. Un rapporto ambivalente che un po’ genera tenerezza, un po’ inquieta il lettore.
La creatura stessa vive in una dicotomia, quella di mostro devastante costretto nel corpo (e anima) di un cucciolo smarrito. In una scena in particolare, Gaea‑Tima, ridotto alle dimensioni di un pupazzo, rincorre disperato Miyako, dondolando come un bimbo. Tuttavia, la consapevolezza che la bestia sia nata dalla giovane rende l’immagine abbastanza disturbante agli occhi del lettore.
Alla fine, resta la domanda centrale proposta anche nella sinossi del volume: questi mostri sono amici o nemici? E cosa sono i kaijū per noi? Figli del trauma e del dolore, o bestie leggendarie emblema di folklore?