Nel panorama shojo contemporaneo, Firefly Wedding di Oreco Tachibana emerge come un’opera che intreccia incanti e anacronismi storici, dramma sentimentale e critica sociale, offrendo uno sguardo penetrante sulla condizione femminile nell’Epoca Meiji.
La narrazione inizia con una frase provocatoria, uno sguardo al futuro della giovane protagonista:
Una donna è una risorsa in mano alla propria famiglia. Un oggetto di scambio o da dare in dono. In un matrimonio non ha alcuna voce in capitolo. Ciononostante, io ho scelto di innamorarmi di un uomo che non potevo amare…
Parole forti che sintetizzano il dilemma esistenziale di molte donne del periodo, condannate a ruoli predeterminati di madri e mogli, incubatrici e merce di scambio per le famiglie. Eppure, questa è anche una storia di ribellione e audacia, il grido di una giovane che non ha intenzione di arrendersi dinanzi alla morte.
Satoko, tu vivrai

La protagonista di Firefly Wedding è Satoko Kirigaya, esempio lampante dell’ideale femminile del tempo: donna di rara bellezza, tanto da essere celebrata al pari di una dea dai popolani. Figlia primogenita di un conte, il suo destino sembra essere stato già scritto:
Sposare un brav’uomo di alto lignaggio, mantenendo così l’onore e la continuità della tradizione familiare.
Tuttavia, Satoko porta con sé un segreto doloroso: un cuore che funziona a metà, una condizione tanto angosciante da spingerla a redigere il proprio testamento. La giovane Kirigaya non si lascia intimidire dalle angherie della sorellastra e della matrigna, ma risponde a tono, tramutando il suo “difetto” in forza d’animo.
Questo modus vivendi fa di lei una protagonista femminile potente, agli antipodi della sua controparte ne Il Mio Matrimonio Felice (Miyo Saimori). Sebbene agli occhi della sua famiglia acquisita lei risulti un peso e un ostacolo, la giovane è pienamente supportata dall’amorevole padre.
Sino al 27 giugno, quando un evento tragico segna la svolta nella vita di Satoko. Mentre passeggia in città, viene rapita e imbavagliata, gettata in una cella e informata dell’arrivo imminente di un sicario di nome Goto, incaricato di porre fine alla sua vita. In quella situazione limite, Satoko si trova a confrontarsi con la possibilità di porre un “taglio netto” alle sue sofferenze.
Tuttavia, il suo timore di rinunciare alla vita e recare sofferenze al padre, di venir dimenticata, evidenzia la complessità interiore della donna.
Determinata a non morire prima di essersi sposata e aver reso felice l’amato padre, la donna propone a Goto un accordo: se lui la salverà, lei gli donerà qualcosa di prezioso. Sé stessa.
Sposiamoci!
La condizione della donna giapponese: ereditiere e imperatrici

Fa strano pensare che la condizione delle donne in Giappone non fosse sempre stata questa. In antichità (sino al periodo Kamakura) il Giappone era in mano ad una società quasi di tipo matriarcale, come testimoniano i testi, le leggi a loro tutela e l’arte del tempo. Imperatrici e donne a capo dei clan erano una consuetudine, tant’è che le consorti potevano non solo scegliere i propri coniugi, ma persino divorziare da questi ultimi.
Durante il periodo Heian, le donne di rango elevato erano note per le loro capacità di scrittura, come dimostra il celebre “Genji Monogatari” di Murasaki Shikibu, che offre una visione approfondita della vita femminile nell’epoca.
Allora, quand’è che la società ha iniziato a cambiare radicalmente? Chi è stato ad aver ipotizzato che la donna potesse essere inferiore all’uomo nel sistema gerarchico del Giappone?
Ebbene, già nel periodo Edo (1603 – 1868) la società giapponese divenne rigidamente gerarchizzata e patriarcale. Da ereditiere e capoclan, le donne furono relegate a ruoli domestici e subordinati, con una crescente diffusione di ideologie che enfatizzavano le virtù della modestia e dell’obbedienza. Il matrimonio, oltretutto, divenne man mano uno strumento per rafforzare le alleanze tra famiglie: nasce il matrimonio combinato (omiai), senza amore ed esente da consenso da parte della donna.
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A partire dal 1868 sino al 1912 (e oltre) la condizione della donna nelle terre nipponiche peggiora di anno in anno. Con l’introduzione del Confucianesimo, il Giappone passò da una condizione di parità a un sistema gerarchico in cui gli uomini erano i capofamiglia e le donne occupavano esclusivamente posizioni subordinate. La donna venne ridotta a mero strumento atto a perpetuare il lignaggio, valutata in quanto futura madre capace di trasmettere i valori della sincerità (makoto) e della sopportazione (nin). Con l’introduzione del Codice Civile Meiji nel 1898, il matrimonio combinato divenne pratica comune.
In fin dei conti, Satoko altro non è che una donna del suo tempo, una pedina nel sistema gerarchico e patriarcale nato nel corso del periodo Edo e consolidatosi in Epoca Meiji. Il suo destino in quanto rampollo di una famiglia in vista e figlia di un Conte è insito nella sua figura, e lei lo accoglie quasi fosse “un richiamo naturale”. La donna esiste solo in quanto moglie e madre: furono istituite alcune scuole femminili atte ad istruire le future consorti su come prendersi cura della casa, cucinare, preparare il tè, crescere i figli, servire il marito.
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Sempre nel corso del Periodo Meiji, fu legalizzata la prostituzione. Quando Satoko viene sbattuta in cella, ha il sospetto che vogliano venderla a qualche mercante di esseri umani e renderla una prostituta. Perdere la sua verginità le appare una prospettiva atroce, persino più della morte. Come abbiamo già accennato, i matrimoni combinati erano prassi abituale: la donna non era un essere umano, bensì un oggetto da poter offrire a uomini ricchi (spesso più anziani) in cambio di danaro, ricchezze, terre.
Tuttavia, vi erano delle leggi a regolamentare il tutto, ed una di queste prevedeva che la donna fosse illibata: in taluni casi, le nobildonne erano costrette a non frequentare nessun altro uomo sino al fatidico giorno. Anche solo essere colta in atteggiamenti intimi (o apparentemente tali) poteva essere motivo di vergogna per la famiglia. Inutile dire che queste leggi valessero solo per le donne: agli uomini era consentito (e socialmente accettato) avere una o più amanti.
Questo modus operandi risulta ancora più aberrante se pensiamo che il marito era legalmente legittimato a divorziare dalla donna, o ancora ad uccidere la propria consorte (o amante) nel caso di sospetto adulterio: tutto regolamentato sino al 1908. L’uomo, in caso di divorzio, conservava la patria podestà dei figli, mentre la donna era ormai rovinata. Un fazzoletto usato, e niente più.
Satoko, vittima o voce dell’emancipazione femminile?

Nonostante le radici profonde del sistema patriarcale, la storia di Satoko potrebbe essere vista quale un inno alla libertà e all’emancipazione che anticipa tendenze moderne.
Sposare un uomo non conforme alle regole imposte dalla sua estrazione – un sicario, un popolano – diventa un atto di ribellione contro convenzioni secolari. Oltretutto, la sua risolutezza nel combattere per la vita, malgrado sia destinata a morire giovane, rappresenta un gesto rivoluzionario, un atto di sfida nei confronti di un Fato beffardo che le tirerà più di uno scherzo. Satoko, pur incarnando la figura della donna perfetta ai tempi dell’Epoca Meiji, dimostra che anche in un sistema oppressivo è possibile riscrivere il proprio destino.
Il percorso di emancipazione delle donne in Giappone, che ha avuto inizio con le prime lotte contro il patriarcato nel XIX secolo, trova in questa storia un simbolo potente. Firefly Wedding di Oreco Tachibana non si configura solo come la storia di un legame tossico, il classico shoujo con protagonisti personaggi esageratamente folli.
Volendo, l’opera si presta a molteplici letture, puntando il focus sul contrasto tra una società che vede la donna come “una risorsa in mano alla propria famiglia” e la capacità della protagonista di scegliere il proprio destino, offrendo una lezione universale: il cambiamento sociale parte dal riconoscere il proprio valore.