Quando nel 2003 sugli scaffali delle librerie fece la sua comparsa Il codice Da Vinci, in pochi conoscevano chi fosse l’autore ed i titoli dei romanzi prodotti precedentemente. Il nome di Dan Brown, infatti, evocava ben pochi ricordi e, soprattutto, molto vaghi. Bene, da quel momento tutto sarebbe cambiato grazie ad un codice da decriptare ed alla figura di un “detective” insolito.
È innegabile, infatti, che Dan Brown deve gran parte della sua fama alla curiosità di un affascinante caso irrisolto come quello del Santo Graal e alla personalità di un protagonista preparato ma non troppo invadente come Robert Langdon. Lo studioso di simbologia, infatti, ha l’innata capacità di trovarsi sempre nel posto sbagliato al momento giusto suo malgrado.
Utilizzando un talento per gli enigmi storici, dunque, Brown costruisce una sorta di labirinto, una caccia al tesoro alla quale far partecipare i propri lettori attraverso la disseminazione d’indizi, misteri esoterici, opere d’arte dal sottotesto massonico ed un epilogo potenzialmente capace di modificare le sorti di gran parte della cultura occidentale. Insomma, alcuni direbbero che si tratta di molta carne al fuoco. Perfino troppa.
È un dato di fatto, però, che l’uscita de Il codice Da Vinci abbia creato un vero e proprio caso mediatico oltre che la Brown-mania. Perché che lo si voglia ammettere o meno, moltissime persone hanno letto questo romanzo. Anche e soprattutto gli insospettabili. Ossia quelli che nei salotti “bene” dell’aristocrazia intellettuale lo hanno definito come una sorta di letteratura mainstream, per poi custodire segretamente una copia sul comodino accanto al letto.
Per non parlare delle orde di fan che hanno viaggiato verso Parigi solo per guardare con occhi indagatori la Gioconda. E sicuramente non per comprendere i segreti della prospettiva. Oppure si sono soffermati di fronte alla famosa piramide di cristallo voluta da Mitterrand sognando che al di sotto sia custodito il corpo di Maria Maddalena, ossia il Santo Graal, la progenie di Cristo.
Di fronte a tutto questo, dunque, non stupisce che il cinema non si sia fatto scappare l’occasione per portare sul grande schermo il best seller internazionale più venduto al mondo con le sue ottanta milioni di copie. Un rapporto che si è protratto nel tempo, visto che a Il codice Da Vinci sono succeduti Angeli e Demoni, Inferno e la serie televisiva Dan Brown – Il simbolo perduto.
Un’avventura che, almeno per quanto riguarda i lungometraggi, si è legata a doppio filo con lo sguardo e l’interpretazione di un solo regista. Ovviamente stiamo parlando di Ron Howard che deve inevitabilmente rientrare tra coloro che hanno subito il fascino dei labirinti mentali strutturati da Brown. Per comprendere meglio, però, quali sono stati gli aspetti che hanno reso i suoi romanzi così cinematografici, iniziamo un viaggio a tappe attraverso i suoi titoli di maggior successo firmati da Dan Brown e le rispettive versioni per il grande schermo.
Dan Brown, chi è e come nasce la passione per i rebus
Prima di addentrarsi nelle pagine dei suoi romanzi o tra le immagini dei film, è il caso di conoscere qualche cosa di più sulla figura di questo scrittore con la passione dei rebus storico/artistici. Il primo passo, dunque, è rappresentato dal porsi delle domande essenziali: qual è la sua formazione? Da dove nasce questa passione per le cacce al tesoro e i misteri legati all’arte e ai dogmi della spiritualità? Iniziamo con il dire che Dan Brown è, senza alcun dubbio, il frutto del proprio ambiente famigliare.
Figlio di un professore di matematica e di una musicista professionista, esperta di musica sacra, è cresciuto in un ambiente dove i due opposti del sapere, scienza e religione, sono stati da sempre materia di studio e passione. Come se non bastasse, poi, durante la sua infanzia ed adolescenza è stato messo più volte alla prova dagli anagrammi e dalle cacce al tesoro organizzate dal padre in occasione di compleanni o di altre festività.
Una di queste, ad esempio, era il Natale, un momento in cui Brown e i suoi fratelli dovevano cercare da soli i regali, spesso aggirandosi anche per la città. Inutile dire, dunque, come tutte queste esperienze ed un ambiente famigliare così stimolante, siano serviti, successivamente, come una fonte d’ispirazione ma, soprattutto, per strutturare i labirinti narrativi pensati per le sue storie.
Se a tutto questo, poi, si aggiunge un’innata passione per i codici segreti e per gli studi di storia dell’arte, che ha continuato ad approfondire mentre insegnava alla Phillips Exeter, la sua vecchia scuola, ecco che si va delineando alla perfezione e con molta chiarezza il profilo dello scrittore di best sellers che abbiamo conosciuto.
Il codice Da Vinci, dalla pagina al grande schermo
Dopo la sua uscita nel 2003, il romanzo che ha decretato il successo internazionale di Dan Brown ci mette esattamente tre anni per arrivare al cinema. Un giusto lasso di tempo che, considerando tutte le pratiche legali per acquisire i diritti, la scrittura di una sceneggiatura non originale, la scelta del cast e l’avvio delle riprese, rappresenta di per sé un vero e proprio miracolo produttivo.
Il film, infatti, arriva nelle sale in un momento in cui il clamore del romanzo non è ancora scemato e, a quanto pare, non sembra destinato a farlo. Perché, a conti fatti, tutti i successivi romanzi di Dan Brown non raggiungeranno mai il livello di notorietà ottenuto con Il codice Da Vinci.
Ma da cosa dipende questo fenomeno incredibile? Indubbiamente dal fattore sorpresa. Lo schema proposto, in cui si modula l’elemento dell’assassinio con una tematica esoterica/religiosa cui si aggiunge l’illusione di risolvere il tutto grazie a segnali decodificati attraverso la storia dell’arte, è indubbiamente efficace e poco utilizzato. Per quanto riguarda, poi, la veridicità delle conclusioni raggiunte e, soprattutto, il modo in cui sono state utilizzate le fonti storico/artistiche, quello è ben altra questione destinata ad aprire una discussione ben più ampia ed approfondita.
Per ora, però, possiamo dire che questa struttura funziona ma lo fa, come vedremo successivamente, nel pieno delle sue potenzialità solo una volta. Quando viene compreso lo schema dell’enigma o di una struttura narrativa, infatti, è possibile introdurre delle innovazioni ma l’effetto sorpresa è ormai evaporato.
Nel 2006, comunque, Ron Howard, facendo anche affidamento sulla popolarità di Tom Hanks, scelto per dare un volto a Robert Langdon, spera nel grande successo commerciale della pellicola. Un risultato che ottiene anche se non eguaglia quello del romanzo. Perché, a conti fatti, l’opera letteraria raggiunge una profondità ed una possibilità d’immedesimazione ben più ampia rispetto al grande schermo.
Le pagine di un libro, infatti, sono il terreno naturale su cui allenare la propria fantasia e la conseguente capacità d’immaginare luoghi e persone. Questo vuol dire, dunque, che ogni singolo lettore de Il codice Da Vinci ha avuto la possibilità di “girare” un film personale che, inevitabilmente, è andato a cozzare con la visione di Howard. Nonostante sia stato un ottimo successo commerciale, dunque, il film mostra dei punti deboli più evidenti rispetto al romanzo.
Per prima cosa viene a mancare quell’essenziale elemento sorpresa cui è stato già fatto riferimento. In secondo luogo, poi, è stato realizzato un percorso meno stimolante, esteticamente più cupo e, nonostante la lunghezza spesso estenuante, meno approfondito del romanzo stesso. Questo vuol dire che, pur avendo delle caratteristiche chiaramente cinematografabili, Il codice Da Vinci di Dan Brown non ha tratto nessun particolare giovamento dalla sua versione per il grande schermo. Anzi, in un rapporto chiaramente sbilanciato, ad oggi il romanzo continua ad avere una popolarità superiore rispetto al film.
Angeli e Demoni, un prequel gestito come un sequel
Prima di addentrarsi nell’evoluzione di questa nuova storia e della sua trasposizione cinematografica, è bene fare un po’ di chiarezza sulla consecutio temporale dell’opera di Dan Brown. Questa, infatti, è piuttosto scomposta, se si segue l’ordine con cui i diversi romanzi hanno ottenuto successo. Come detto, Il codice Da Vinci è considerata la “prima” opera per il semplice fatto che ha accesso l’attenzione internazionale sullo scrittore, andando a creare il caso Dan Brown. In realtà, però, la questione non è così.
A precederlo, dal punto di vista narrativo, c’è Angeli e Demoni. Il libro, infatti, viene scritto nel 2000 ma pubblicato in Italia solo nel 2004, un anno dopo il grande successo de Il codice. Per questo motivo, dunque, in molti credono che si tratti di un sequel quando, in realtà è un prequel.
Questa vicenda, ambientata nel cuore del Vaticano e tra i segreti racchiusi nei vasti ambienti di San Pietro, segna la prima vera apparizione di Robert Langdon sulla scena letteraria. Un particolare che, in effetti, era stato già accennato proprio all’interno de Il codice Da Vinci, dove si possono trovare dei piccoli richiami alla vicenda di Angeli e Demoni. Elemento del tutto cancellato dalla versione cinematografica.
Nonostante questo, però, da un punto di vista strettamente editoriale il romanzo arriva secondo sul mercato internazionale. E non solo come questione di tempistica. Dopo la novità ed il clamore creato l’anno precedente, infatti, il ripetersi di uno schema narrativo molto simile, anche per quanto riguarda la contrapposizione tra scienza e religione, non concede di eguagliare il successo de Il codice Da Vinci. Figurarsi superarlo.
Il processo di fidelizzazione, però, è scattato e molti lettori corrono all’acquisto per dare soddisfazioni alle loro aspettative. Un atteggiamento sostenuto anche dall’industria cinematografica che non rinuncia ad un secondo successo di sala. Ecco, dunque, che nel 2009 Angeli e Demoni arriva sul grande schermo ancora una volta grazie a Ron Howard.
Questa volta, accanto a Tom Hanks, c’è il nome di Ewan McGregor capace di attrarre l’attenzione degli spettatori, insieme a delle apparizioni di attori italiani noti al grande pubblico come, ad esempio, Pierfrancesco Favino. Il film, infatti, viene girato per quasi sei mesi in Italia e, nello specifico, a Roma. Questo vuol dire che le pagine dei giornali ed il web sono spesso piene di foto ed indiscrezioni provenienti direttamente dal set.
Un racconto metropolitano del tempo, ad esempio, ricorda di una sposa accompagnata sulle scale della chiesa dallo stesso Tom Hanks, visto che la location era momentaneamente chiusa per la realizzazione delle riprese. Tutto ciò, dunque, va a comporre l’identikit del perfetto successo commerciale, costruito a colpi di curiosità, immagini rubate e l’organizzazione di tour a tema Illuminati per le strade della capitale.
Un insieme di particolari ben orchestrati per creare clamore e sollevare aspettative ma che, a conti fatti, non ha proprio nulla a che fare con il cinema e tanto meno con la letteratura. Da questo punto di vista, dunque, possiamo dire che Angeli e Demoni attribuisce a Dan Brown un’altra consacrazione, ossia quella del marketing.
Inferno, il romanzo che preannuncia la pandemia
È il 14 maggio 2013 quando in contemporanea mondiale, più o meno, viene pubblicato Inferno, il quarto romanzo che vede come protagonista il personaggio di Robert Langdon. Ancora una volta, Dan Brown decide di far muovere i passi dei suoi protagonisti dal territorio italiano e, come è possibile intuire dal titolo, in particolare dalla città di Firenze. Qui, Langdon si sveglia una mattina in un letto d’ospedale a causa della ferita di una pallottola, senza il suo famoso orologio di Topolino e, cosa ancora più importante, con la memoria dei due giorni precedenti completamente svanita.
Cosa è successo? Perché si trova nel mirino del suo stesso paese, costretto a fuggire con tra le mani una capsula di titanio destinata ad essere aperta esclusivamente da lui? E, soprattutto, per quale motivo la “pianta” dell’inferno dantesco realizzata da Botticelli dovrebbe rappresentare una sorta di guida? Come sempre gli interrogativi sparsi lungo il percorso della narrazione sono molti. Le risposte cui si giunge, poi, sono opinabili e non prive di errori storici/artistici. Tutto, dunque, assolutamente nella norma per un romanzo di Dan Brown.
A questo punto, però, tutto sembra veramente prendere la forma di una sorta di franchise che, tra letteratura e cinema, sfrutta la commerciabilità di massa di un prodotto fin troppo testato e sempre uguale a sé stesso. Perché se è vero che squadra che vince non si cambia, è altrettanto certo che un lettore, esattamente come uno spettatore, ha la necessità di essere stupito e coinvolto in procedimenti mentali di cui non comprende lo svolgimento e l’epilogo a pochi passi dall’inizio.
Nonostante questa somiglianza evidente alle storie che lo hanno preceduto, però, Inferno ha un vantaggio inaspettato rispetto alle altre. Guardarlo a posteriori, infatti, mette in evidenza il suo valore quasi profetico. Al suo interno, infatti, si fa riferimento ad un virus che avrebbe messo in ginocchio l’umanità intera. Certo, anche in questo senso non ci troviamo di fronte alla scoperta narrativa del secolo, ma dopo essere passati effettivamente attraverso una pandemia, tutto assume un significato diverso.
Dan Brown, che fine ha fatto
Dopo aver dato alle stampe Origin nel 2017, Dan Brown si è chiuso nella tranquillità del suo studio per fare ricerche e scrivere una nuova avventura tra arte ed esoterismo con protagonista l’ormai immancabile professor Langdon. Questo, almeno, è quanto aveva annunciato, progettando l’uscita del nuovo romanzo per il 2020. Cosa che, ovviamente, non è accaduta. Le motivazioni del ritardo sono rimaste misteriose fino a questo Natale. Lo scrittore, infatti, ha colto l’occasione di una newsletter per spiegare che la vicenda a cui sta lavorando è risultata essere più problematica ed intricata del previsto.
Oltre a questo, poi, sembrerebbe che il caro Robert sarà coinvolto in un ambito nuovo e del tutto imprevisto per i suoi standard. Il che ha comportato anche un lavoro di ricerca più minuzioso. Nonostante tutto, però, Brown fa sapere che la scrittura procede nel migliore dei modi, anche se la data di uscita rimane ancora un mistero. Uno cher nemmeno Langdon sarà in grado di risolverlo.