Nel 1985 Tukasa Hōjō porta a termine la sua prima grande opera di successo. Quell’Occhi di Gatto che nel settembre dello stesso anno fa il suo esordio, nella sua versione anime, su Italia 1, diventando presto un successo di portata imprevista. Negli stessi mesi l’instancabile Hōjō esordisce sulle pagine di Shōnen Jump con la sua opera successiva, City Hunter. In patria diventa subito un caso editoriale mentre in Italia dovremo attendere tempo prima di imparare a conoscere le avventure di Ryo e Kaori in quel di Shinjuku. Nel 1990 Mediaset acquisisce i diritti dell’anime, convinta di ripetere l’operazione fatta con l’opera precedente.
Si trovano però davanti un prodotto molto differente e, a loro parere, non adatto a Italia 1. Tocca aspettare il 1997, prima su Italia 7 e poi su altre reti, per far la conoscenza di City Hunter. Un ritardo che però non impedisce a City Hunter di imporsi anche nel nostro paese come un’opera generazionale. Tanto che ancora oggi il nome del brand è ben presente nell’immaginario contemporaneo, come dimostra l’uscita nei cinema, grazie ad Anime Factory, di City Hunter the movie: Angel Dust il prossimo 19, 20 e 21 febbraio. Ma quali sono gli elementi che hanno reso City Hunter un fenomeno pop di massa?
Simbolo degli anni ’80
Come detto City Hunter è un progetto editoriale che prende ufficialmente il via, dopo alcune prove negli anni precedenti, nel 1985. La seconda metà degli anni ’80 in Giappone rappresentano un lustro molto particolare. Il paese arriva al picco massimo della sua crescita economica prima dello scoppio della bolla speculativa nel 1991, con l’inizio del cosiddetto “decennio perduto”. Un periodo in cui vengono messi da parte timori e pensieri oscuri visti in Akira o in Ken il guerriero, per sposare un approccio più positivo e ottimista. È il periodo in cui nascono Dragon Ball, le bizzarre avventure di Jojo e appunto City Hunter. Una spensieratezza generale che però nell’opera di Hōjō è accompagnata anche da una visione che ben racconta la situazione giapponese dell’epoca.
L’espansione nipponica ha portato Tokyo a diventare la metropoli sovrappopolata che conosciamo oggi e ovviamente con lei anche uno dei suoi quartieri più iconici: Shinjuku. Ed è proprio in quella zona che si muove Ryo. Il protagonista di City Hunter racchiude in sé un’anima da giustiziere a protezione del quartiere ma, allo stesso tempo, un background internazionale e la tendenza a ficcarsi in situazioni che vanno ben oltre le faccende locali e diventano questioni di importanza globale. Esattamente come il Giappone che, rialzatosi ormai dal disastro culminato con Hiroshima e Nagasaki, è tornato a essere una potenza internazionale alle prese tanto con questioni interne quanto con la Geopolitica mondiale.
Senza mezze misure
Ma il legame tra l’opera di Tsukasa Hōjō e gli anni ’80 non si limita al simbolismo che lega le vicende del suo protagonista e il Giappone. L’ottimismo e la spensieratezza menzionati sfociano in un approccio alla vita che non prevede in alcun modo le mezze misure. Perché se è vero che la comicità demenziale e lo slapstick erano presenti anche in altre opere del periodo (vedi il primo Dragon Ball), in City Hunter si va ben oltre. Ryo non è un buon detective, è il migliore al mondo. Non è un buon combattente, sia nel corpo a corpo che con le armi da fuoco, è infallibile. Lo stesso vale per la sfera comica e sessuale.
Le pulsioni erotiche sfociano nell’esasperazione del mokkori che portano Ryo a comportamenti non socialmente accettabili, tanto da costringere Kaori a intervenire ogni volta armata di un martello sempre più grosso (tornando alla slapstick) dando vita a uno dei tormentoni della saga. Ma non ci si limita a ridere. Hōjō affronta allo stesso modo, rifiutando i limiti, anche le componenti action o quella romantica. Le storie d’amore di City Hunter sono splendide e spesso struggenti nel loro accarezzare a più riprese il melodramma. D’altronde erano gli anni ’80, in cui l’unico errore possibile era quello di non vivere al massimo ogni emozione.
La forza di non cambiare
Come sottolineato, City Hunter arriva in Italia nel 1997. Con l’euforia da fine millennio che imperversava su tutti noi giovani che, tornati a casa, ci sintonizzavamo su MTV, approdata nel nostro paese nello stesso anno. Noi che da lì a poco avremmo scoperto anche Slam Dunk, il cui autore Inoue è di Hōjō il più famoso degli allievi. Noi che rifiutavamo con forza limiti e mezze misure. Noi che sentivamo la necessità di mostrare le nostre emozioni. E ancora oggi City Hunter mantiene quelle stesse caratteristiche.
Seguire da vicino le vicende di Ryo e Kaori, significa aprire una finestra su un periodo storico e della nostra vita dove l’unico modo possibile di esprimersi era farlo alla massima velocità e potenza. I colpi andavano sparati con la pistola più grossa a disposizione e le emozioni urlate a squarciagola. City Hunter è prezioso proprio per questo. Perché ci riporta a quei pomeriggi in cui eravamo ragazzi. Un periodo in cui la paura di esagerare non esisteva.
Proprio noi non possiamo perdere l’occasione di rivivere queste emozioni al cinema tuffandoci nell’ultima battaglia di Ryo e Kaori con City Hunter The Movie: Angel Dust, al cinema grazie ad Anime Factory solo per tre giorni, il 19-20 e 21 febbraio.
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