In una classe, un insegnante sta ascoltando i temi dei propri alunni, con soddisfazione. Non è semplice tenere a bada questi diavoletti, eppure il modo con cui raccontano come immaginano il loro funerale, come sono lieti del fatto che potrebbero sentire ricevere la chiamata per celebrare la propria morte la soddisfa. E’ stata una buona insegnante, deve ammetterlo, nessuno dei suoi alunni teme l’arrivo del suo compleanno, anzi si preparano a festeggiarlo in modi fantasiosi e sfarzosi.
Questa dissonanza è solo uno degli sconcertanti tratti della distopia ideata da Paola Barbato per 10 Ottobre, miniserie di Sergio Bonelli Editore uscita in quattro volumi sotto l’etichetta Audace, che ora arriva in edicola. Bonelli ha deciso di dare nuova forma a una delle migliori produzioni Audace, rendendola una lettura estiva perfetta.
Nuove frontiere bonelliane

Il tono greve e l’atmosfera tutt’altro che scontata di 10 Ottobre non potevano che prendere forma sotto Audace. La storicità della produzione bonelliana, rivolta a una serialità da edicola, ha giovato non poco dalla volontà sperimentale che ha portato alla nascita di Audace, sotto cui si è anche trovato il modo di espandere serie mensili, come dimostrato da Dragonero: Senzanima.
Il merito principale di questa linea editoriale dal taglio moderno è di agevolare gli artisti della casa editrice nel dare vita a storie dal respiro più libero. Con opere come Il Confine, Nero o K-11 questa collana ha mostrato una vitalità inequivocabile e promettente, capace di accogliere anche una storia dai tratti graffianti come 10 ottobre.
Pur accogliendo con entusiasmo la grammatica narrativa libera di Audace, non si può negare che 10 ottobre rappresenti la storia più intensa, dal punto di vista emotiva. Firmata da un duo artistico particolarmente felice, Paola Barbato (sceneggiatura) e Mattia Surroz (disegni e colori), questo arco narrativo in quattro volumi assume presto i toni di una vera sfida per i lettori, costretti a calarsi in una storia in cui il tema portante è la percezione della nostra mortalità.
La morte è mia amica

Persone in scadenza. Con questa frase, Paola Barbato identifica personaggi creati dalla sua fantasia ma non utilizzati, che spesso rischiano di non trovare mai una storia in cui prendere finalmente vita. Una definizione che ha ispirato l’idea che in, un futuro non precisato, la morte non sia più un mero evento imprevedibile, ma sia al contrario un dato oggettivo, fissato sin dalla nascita tramite una codifica genetica che imprima ad ogni individuo una data di scadenza.
A sostenere questa decisione, una società che ribalta il concetto di mortalità non vedendola più come evento luttuoso e temibile, ma come una manifestazione di accettazione sociale.
Il mondo immaginato dalla Barbato ribalta, quindi, il nostro rapporto con la mortalità. Ciò che nel quotidiano è un timore esistenziale, diventa una forza motrice di una società utopica, fondata sull’utilizzo gelido e matematico della morte:
“Fino a 3 anni serviamo tutti, perché tutti portiamo gioia. Fino a 11 anni stimoliamo chi ci circonda, fino a 26 abbiamo nuove idee. Fino a 38 le concretizziamo. Fino a 57 diamo il massimo come forza lavoro. Fino a 70 dispensiamo esperienza e saggezza”
Le ombre della perfezione

La società perfetta, all’apparenza, dove ogni momento dell’esistenza, dal concepimento controllato alle morti programmate, viene severamente controllato in questa distopia perfetta. La popolazione sembra felice e realizzata, ma scavando si evidenzia come questa artificiale felicità sia risultato di un indottrinamento che inizia sin in tenera età, tramite un’educazione che trasforma la morte in un’amica, in una componente normale della quotidianità. Un ribaltamento non solo emotivo ma anche etico, tale da rendere chi muore di morte naturale o accidentale un sovversivo, qualcuno che mina la stabilità di questa società immacolata, colpa che ovviamente ricade sui parenti ancora in vita.
L’aspetto più destabilizzante è la concretezza con cui questo mondo sia ideato, la sconcertante fattibilità di una società come quella concepita dalla Barbato. Gettati in medias res in questo mondo, riusciamo a muoverci in esso agilmente, assimilando i pochi ma sufficienti elementi di connotazione sociale, un’essenzialità che consente di apprezzare maggiormente la vicenda raccontata.
Siamo consci di come ci sia una stonatura nel modo in cui certi temi sono affrontati, soprattutto per la manifestazione di un culto della morte così discordante dal nostro vissuto, ma ne siamo al contempo incuriositi grazie a un’empatia narrativa che riesce a toccare le giuste corde emotive dei lettori, muovendosi con melliflua delicatezza tra la pacata rappresentazione visiva di una società idilliaca alla scostante anomalia rappresentata dai protagonisti di 10 Ottobre, che hanno uno scopo preciso: potere morire.
10 ottobre: vite in scadenza

Ogni aspetto dell’esistenza umana, dal concepimento controllato alle morti programmate, viene severamente controllato in questa distopia perfetta. Niente inquinamento, niente povertà, la gente sembra felice e realizzata, una volta accettata questa condizione. Una regola di vita che anche il giovane Richie deve affrontare, ora che il suo undicesimo compleanno si sta avvicinando.
Per la famiglia di Richie, questo evento è una memoria di dolori passati. Il fratello maggiore di Richie, Doug, è morto al compimento degli undici anni, come programmato nel suo codice genetico. Una ferita che ha sconvolto i genitori, in particolare la madre, che dopo avere lottato a lungo per poter concepire non ha saputo accettare le ferree regole di questa società. Richie cresce in un ambiente freddo, disperato, in cui la madre soggetta a depressione ricorda costantemente la perdita di Doug e vive con l’ossessione di perdere anche Richie, mentre il padre concepisce la propria esistenza come uno stanco ripetersi di giorni in attesa di un altro lutto. Il ragazzino è privo di un affetto sano, afflitto da sensi di colpa che vive come conseguenza del rapporto con i genitori.
La sua scadenza degli undici anni non fa che inasprire la difficile vita familiare di Richie, che trova una figura amicale nell’anziano vicino di casa, il signor Cole. Questa strana amicizia per il giovane diventa la scoperta di un gruppo di persone che vedono in questa presunta perfezione della società un male da lottare, cercando un modo per contrastare questo meccanismo, a loro avviso, disumano. Curiosamente, tutti coloro che aderiscono a questo gruppo di dissidenti hanno in comune una caratteristica: sono tutti nati il 10 ottobre.
Vita e morte: qual è il prezzo?

Senza fronzoli, sin dalle prime pagine ci viene mostrata la graffiante quotidianità di una società perfetta, tramite una perfetta sinergia tra freddo racconto didascalico e immagini strazianti. L’elemento di rottura è la consapevolezza che giovani vite, come quelle di Richie, possano interrompersi in modo repentino, una concezione di morte che suona incredibilmente ingiusta, sbagliata.
La Barbato sa come costruire dei contrasti nell’intreccio che sappiano colpire il lettore, e per 10 ottobre crea un sistema culturale che rielabora il concetto di morte in un’ottica di positività sociale, rendendo elementi solitamente associati al dolore come funerali e cortei funerari, in una sorta di celebrazione gioiosa.
Soprattutto, all’interno di questo meccanismo viene sviluppata una diversa percezione della morte. Laddove tutti sembrano tacitamente accogliere le scadenze come un aspetto normale dell’esistenza, ci sono ancora individui, come il signor Cole, che vivono costantemente nella paura della morte di persone vicine, un timore che spinge all’isolamento, in una sorta di protezione emotiva che allontana dal consesso civile per prevenire dolori futuri, che l’uomo racchiude in una semplice frase:
“Io ho avuto paura di morire dal giorno in cui sono nato”
In una persona che rappresenta la ribellione all’ordine costituito, troviamo la maggior empatia, un punto di contatto con la nostra sensibilità che viene ulteriormente sferzata.
Se Cole è il nostro primo riferimento familiare a una sensibilità nota e comprensibile, con efferata lucidità la Barbato intreccia la storia alla scoperta delle ragioni dei sovversivi cui si accompagna il giovane protagonista, Richie
La trama si muove abilmente unendo aspetti di vita quotidiana al nuovo trattamento della morte, dando vita a dialoghi di una profondità sorprendente, in cui l’ingenuità di Richie si scontra con la rassegnazione e la rabbia di adulti che hanno deciso di non accettare le scadenze. L’incedere della storia coincide con una progressiva presa di coscienza di Richie, maturata scoprendo il passato dei suoi compagni, ognuno profondamente segnato da questo mondo malsano, anche tramite dialoghi in cui sono evidenziati aspetti che per un bambino possono risultare incomprensibile:
“Ma la paura è necessaria, Richie. La paura di farsi male, la paura di fallire, la paura dell’ignoto. La paura di morire”
Ritratto di (im)perfezione

La dialettica narrativa di Paola Barbato riconferma la sua forza, la sua capacità di cogliere aspetti quotidiani e renderli parte integrante di un racconto fantastico. C’è una sensibilità palpabile, che emerge negli scambi tra i personaggi, una spontaneità anche istintiva nelle reazioni dei protagonisti che si adatta al meglio alla loro natura, mai forzata ma sempre protetta come elemento di valorizzazione della trama, soprattutto nel caso di Richie.
Leggendo 10 ottobre, sin dalle prime pagine si nota come il vero elemento di rottura con questa società sia proprio Richie. Mattia Surroz pone sempre il ragazzino in una posizione per cui le sue espressioni siano un elemento dissonante, scegliendo di ritrarlo, all’occorrenza, di spalle per illuderci di vedere questo mondo dal suo puto di vista, attraverso la sua sensibilità. Ad acuire questo squilibrio è lo stridere tra un’impostazione sociale fredda e meccanica e il ritratto visivo di un ideale urbano che ricorda l’american way idealizzato negli anni ’50.
Case perfette, famiglie perfette e sorridenti all’apparenza che nascondo momenti di tensione, di disperazione tra le mura domestiche. Surroz si muove agilmente tra questi due livelli, riesce nella stessa tavola a mostrare un paradossale scambio tra maestra e alunni, e contrapporre il sorriso della docente alla faccia imbronciata di Richie. Ed è lì che il lettore coglie la discrepanza, in questi giochi di contrapposizione vive l’anima autentica di 10 ottobre.
Surroz cura anche la colorazione della storia, posizione che gli consente di acuire la sensibilità della narrazione con una palette cromatica che echeggia le emozioni dei personaggi. Che si tratti di dare luminosità a un’aula di scuola, o di trasmettere la cupa consapevolezza del signore Cole utilizzando colori cupi e angoscianti, in cui l’unico elemento di vivacità è la maglietta di Richie.