Spesso quando si parla di cinema come luogo ci si limita a pensare alla parte “fisica” e tecnica. La sala cinematografica d’altronde è il luogo migliore in cui guardare un film: schermo più grande, un migliore impianto audio e la possibilità di estraniarsi davvero dal mondo esterno. Un discorso che tralascia e si disinteressa del cinema come arte popolare e come tale è un luogo in cui aggregarsi e condividere lo stesso evento per la prima volta. Uno spazio chiuso in cui ridere, meravigliarsi, crescere, emozionarsi e imparare all’unisono. In modi uguali o opposti. Oggi le occasioni per vedere grandi opere del passato al cinema non mancano e sono a tutti gli effetti opportunità preziose. Ma la vera disgrazia di non aver avuto un’età utile per vedere Star Wars (o meglio Guerre Stellari) in sala non è dovuta a motivi tecnici. È l’aver mancato l’evento. Non essere entrati in quella sala in modo spensierato insieme a centinaia di altri sprovveduti, ignari di essere in procinto di assistere a una rivoluzione. Lo sguardo stupito dal vedere per la prima volta quello schermo nero con scritte gialle che scorrono in verticale e la musica di John Williams nelle orecchie. Quello è il vero motivo per andare in sala, il vero significato di “andare al cinema”.
Ma oggi ha ancora senso parlare di film evento? Di opere in grado di creare aggregazione e condivisione, di portare al cinema un popolo e non degli spettatori? Non sempre, ma sì. Spesso sono grandi ritorni di blockbusters o franchise in grado di costruire l’occasione nel corso degli anni. Più raramente sono piccoli film, magari d’autore. Uno di quei casi, a prescindere dai pregi e dai difetti, è proprio Triangle of Sadness, in sala dal 27 ottobre.
I grandi film evento di questa generazione
Oggi quando si parla della crisi delle sale (le cui dimensioni sono molto più importanti in Italia) si fa sempre riferimento a motivi tecnici o di cambiamento dei metodi di fruizione. Il più delle volte si riduce a “È l’arrivo delle piattaforme streaming che ha cambiato tutto”. Ancora una volta si dimentica che il cinema nasce come arte popolare e si perde di vista uno dei motivi principali della natura della crisi: il non saper più comunicare la sala come un luogo di condivisione in cui assistere a un evento. Quel tipo di esperienza il cui ricordo rimane impresso e diventa memoria collettiva di una generazione, così come vi abbiamo raccontato nel nostro documentario su Il Signore degli Anelli. Non possiamo però negare che nell’ultimo decennio di veri e propri film evento ne abbiamo avuti, ognuno con un suo percorso unico e difficilmente imitabile.
Alcuni hanno scelto la strada della nostalgia e dell’eredità di un nome importante. Star Wars: Il risveglio della Forza approdava nelle sale di tutto il mondo nel 2015, con l’idea di diventare il primo film di una trilogia di Guerre Stellari del nuovo mondo. Un titolo i grado di unire tutte le generazioni di spettatori, progenie del film evento per eccellenza. Operazione non dissimile ha fatto Jurassic World nello stesso anno, giocando con la legacy del suo nome. La promessa di essere il “film di Jurassic di questa generazione” e l’opportunità di riportare sul grande schermo i dinosauri e tutto ciò che comporta. Una variante interessante sul tema è Bohemian Rhapsody che prendeva un’eredità extra-cinematografica portandola in sala e giocando sulla possibilità di creare una sorta di tour musicale dei Queen ricreati su schermo.
Differente è invece la strada scelta dalla Marvel guidata da Kevin Feige, che hanno creato un percorso costellato da film come micro-eventi parti di un tutto e con un grande disegno a lungo termine. Delle fasi che hanno assunto via via le sembianze di stagioni televisive, lasciando però la possibilità allo spettatore di entrare nella storia in ogni momento attraverso film auto-conclusivi. Tutto in preparazione del season finale, quell’Avengers Endgame atteso dagli spettatori per oltre dieci anni. Un sentiero che aveva come ultimo passo il vero film evento, in cui gli spettatori sono diventati un tutt’uno emozionandosi al “Avengers Uniti” di Captain America e commuovendosi davanti all’ultimo schiocco di dita di Iron Man.
Ma il film evento, come vedremo nel prossimo paragrafo, può essere qualcosa di totalmente diverso.
Triangle of Sadness: condividere risate, colpe e imbarazzo
Triangle of Sadness (a cui abbiamo dedicato un’approfondita recensione) è il film vincitore dell’ultima Palma d’Oro a Cannes. Non rappresenta il classico film evento. Non è un blockbuster importante. Non ha eccezionali nomi di richiamo o un’importante storia o effetto nostalgia a cui aggrapparsi. È un film svedese di Robert Östlund, un regista ancora oggi di nicchia nonostante le due Palme d’Oro conquistate (l’altra per The Square). Con sincerità possiamo dire già oggi con certezza che Triangle of Sadness non sarà un enorme successo al botteghino. Eppure siamo comunque qua a sostenere che si tratti a tutti gli effetti di un film evento. Un’opera da vedere in sala per assistere a un’esperienza collettiva. Perché il film di Östlund, a prescindere dai suoi pregi e difetti, si eleva dal momento che viene guardato come un’unica comunità. In particolare se ricca di diversità al suo interno. Grazie alla sua struttura a cerchi concentrici, in cui la narrazione parte dal più piccolo per poi allargarsi di volta in volta, Triangle of Sadness ci porta in una “storia-mondo” in cui ognuno è in grado di riconoscersi. Col suo fare beffardo Östlund ci prende all’amo e ci porta in un giro di giostra sfrontato, in cui tutti vengono messi in discussione e nessuno viene salvato. E proprio come nelle montagne russe ci troviamo a reagire all’unisono. Tutti gli spettatori a ridere, urlare, rimanere spiazzati (e disgustati), per poi renderci conto che quelli che stiamo guardando siamo noi. In quel momento, tra risate, prese in giro reciproche, esultanze al suon di “giustizia è fatta” e sorrisi amari il cinema torna luogo e condivisione.
La più evidente conseguenza di questo primo vero anno del post-pandemia è la voglia incessante di aggregazione. Ogni tipologia di evento ha raccolto adesioni impressionanti: dai concerti (estivi e nei palazzetti), agli eventi sportivi fino alle grandi fiere come Lucca Comics. Tutto tranne il cinema (sempre sottolineando la particolarità italiana). Non sono mancati i grandi risultati come Spider-Man: No Way Home o Top Gun: Maverick che hanno ripreso meccanismi simili a quelli evidenziati nel paragrafo precedente. Eppure sarebbe bello che, pur nel suo piccolo, Triangle of Sadness diventasse un nuovo film evento. Il consiglio è quindi di andare in sala e di goderselo con più persone possibili. Perché citando Jep Gambardella:
Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un pò in giro, o no?
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