Ci sono diversi elementi importanti in Top Gun: Maverick, il blockbuster vecchio stile che arriva a scompigliare le carte in un mondo cinematografico dove il virtuale la fa sempre più da padrone. E forse il più importante, quello che coniuga analogico e digitale, è il ruolo di Val Kilmer, l’unico attore a tornare per il sequel insieme a Tom Cruise. Un ruolo ridotto, per motivi che si possono facilmente intuire anche senza aver visto il film, ma potente, che incarna a suo modo l’anima filosofica dell’intero progetto. Proviamo a spiegare in questa sede il perché, rigorosamente senza spoiler.
I tempi cambiano
Che Top Gun: Maverick non sia esattamente come l’originale, al netto dei rimandi nostalgici come i titoli di testa che ricreano quelli del 1986 quasi alla lettera, lo si capisce già leggendo i nomi nei credits. Ai tempi, quello di Kilmer era il secondo nome citato, a sottolineare l’importanza di Iceman come rivale del Maverick interpretato da Cruise. A quasi quarant’anni di distanza, invece, lui è l’ultimo nell’elenco principale: “and Val Kilmer”. Il tipo di menzione che ritroviamo, ad esempio, per Samuel L. Jackson nei film Marvel. Una presenza speciale, quindi, un ponte tra il glorioso passato e il complicato presente, dove Maverick continua ad opporsi alle alte sfere della marina militare che vorrebbero sostituire i piloti umani con i droni. E l’unico a sostenerlo, per lo più a distanza, è Iceman, divenuto ammiraglio laddove Maverick rimane ostinatamente capitano. I due comunicano principalmente tramite SMS, non essendosi visti da anni, ma quando il gioco si fa duro si rende necessaria una vera e propria rimpatriata.
Una voce dal passato
Per anni Val Kilmer è stato uno dei grandi volti di Hollywood, tra blockbuster, produzioni più piccole e anche film d’animazione (in inglese è lui la voce di Mosè ne Il principe d’Egitto). Poi, nel 2015, gli è stato diagnosticato un tumore alla gola, il che ha reso necessario l’uso di due tracheotomie che hanno ridotto la sua voce a un sussurro affetto da raucedine (inoltre è costretto a nutrirsi con un tubo in seguito ai danni alla trachea). Un problema che si è manifestato sul set de L’uomo di neve, dove lui è inquadrato per lo più da dietro e palesemente ridoppiato – male – da un altro attore. Da lì è partito un progetto che ha portato alla creazione di un’intelligenza artificiale che riproduce la sua voce originale, avendola rielaborata sulla base di materiale d’archivio. Uno stratagemma che ora gli consente di comunicare più o meno normalmente sul set e nel privato, anche se per il documentario Val, presentato a Cannes nel 2021, è stata usata la tattica alternativa dell’affidare la voce narrante a suo figlio Jack.
Uomo di ghiaccio, anima di fuoco
Top Gun: Maverick, per forza di cose, tiene conto dello stato di salute di Kilmer, romanzando i motivi per cui Iceman ora è di poche parole e sfruttando i silenzi di cui l’attore è capace. Ma questo non ha sminuito la grinta del diretto interessato, il quale per primo ha espresso il desiderio di tornare nei panni dell’ex-rivale di Maverick. E forse ancora più di Cruise, che all’età di (quasi) sessant’anni sembra voler fare i conti con la propria immagine e congedarsi dal genere action (i prossimi due Mission: Impossible dovrebbero essere gli ultimi incentrati su Ethan Hunt), è Kilmer l’immagine che meglio incarna lo spirito del film: un blockbuster analogico che deve competere con quelli ad alto tasso di CGI in un mercato dove l’importante è il marchio, il franchise, e non più il volto del protagonista. Un film come non ne fanno più, e l’interprete di Iceman è in una situazione simile, essendosi ora reinventato come caratterista che con pochi minuti di presenza scenica impreziosisce un’operazione fintamente nostalgica ma sinceramente classica, servendosi del suo savoir faire per ricordarci che, al netto dei gusti del pubblico odierno, l’attore giusto può ancora fare la differenza.
“and Val Kilmer“, appunto.