Il talento di Mr. Ripley non è solo un thriller psicologico, è uno di quei romanzi che ti restano addosso per l’inquietudine sottile con cui esplora il tema dell’identità, del desiderio di essere qualcuno, o qualcosa, di diverso. Patricia Highsmith ha questo talento di farti stare dalla parte di un protagonista che, in fondo, è tutto tranne che “positivo”.

E Tom Ripley, protagonista della serie di romanzi, è uno di quei personaggi che ti mettono a disagio, ma a cui non riesci a smettere di guardare dentro, sprofondando nell’abisso della sua complessità.

Thomas Ripley: l’impostore perfetto

Alain Delon interpreta Tom Ripley in Delitto in pieno sole (1960)
Alain Delon interpreta Tom Ripley in Delitto in pieno sole (1960) – ©Miramax

Tom Ripley è un personaggio carico di ambiguità: è una figura che disturba, è un impostore, un camaleonte disposto a tutto, spinto dal desiderio di appartenere a un’altra classe sociale e ad altro ambiente che non sia il proprio. Un uomo che si distingue per la sua lungimiranza e che grazie a essa costruisce le strategie per entrare nelle vite altrui. Non è appariscente, non irrompe nella stanza. È silenzioso, osserva, studia e analizza per poi compiere dei passi impercettibili con i quali si insinua nella vita di Dickie, facendola propria.

Tutto questo lo ritroviamo nello stile narrativo della stessa Highsmith, madre letteraria dell’imbroglione per eccellenza. Una scrittura la sua che, in un certo senso, inganna anche lo stesso lettore, non presentando il personaggio ma catapultandoci nella sua vita. L’autrice semina tra le pagine dettagli e peculiarità di Tom, costruendo a nostra insaputa la struttura di una personalità disturbante ma con la quale è quasi impossibile non empatizzare.

Dal romanzo agli schermi: una metamorfosi continua

Andrew Scott è Tom Ripley nella nuova miniserie Netflix
Andrew Scott è Tom Ripley nella nuova miniserie Netflix – © Netflix

Tom Ripley, quindi, è un giovane americano alla ricerca di una scalata sociale. Un ragazzo i cui modi garbati e silenziosi che lo contraddistinguono si sposano con l’irruenza con cui ha varcato i confini letterari per approdare sul grande schermo. Ritroviamo, infatti, numerose opere che lo vedono protagonista dal 1960 in avanti: rappresentazioni diverse che fanno emergere diverse individualità. Ci concentriamo sulle tre opere tratte dal primo romanzo, Il talento di Mr. Ripley.

Tre differenti prospettive, tre interpretazioni che divergono pur provenendo dalle stesse pagine, facendoci comprendere come ogni opera sia rivestita dal velo della soggettività. Alain Delon, Matt Damon e, per ultimo, Andrew Scott hanno recitato il ruolo del giovane impostore, rivestendolo di fantasia, passione, lungimiranza e ambizione – ma regalandoci ogni volta ritratti unici e irripetibili.

Il Tom Ripley di Netflix (2024)

Andrew Scott in una scena di Ripley
Andrew Scott in una scena di Ripley -©Netflix

Il Ripley di Netflix è, tra tutti gli adattamenti, il più fedele al romanzo della Highsmith. La serialità del prodotto garantisce una maggiore durata rispetto a un film, e questo permette di sviluppare lentamente la tensione psicologica e, soprattutto, di costruire un universo visivo preciso e coerente. Un mondo che sembra staccarsi dal romanzo da cui è tratto solo per quanto riguarda l’atmosfera che circonda i suoi personaggi. Favorito dalla fotografia e dalla scelta di un meraviglioso bianco e nero, Steven Zaillian costruisce una dimensione più intima, potremmo definirla anche minimalistica.

La spiaggia di Mongibello (nella serie è Atrani), le piazze di Roma, il lungomare di Sanremo e le vie di Venezia si spogliano parzialmente delle folle, delle grida, dei colori, di tutto ciò a cui ci ha abituato l’iconografia italiana degli anni sessanta. Esclusa questa dimensione più essenzialista, la serie televisiva è estremamente fedele al romanzo. Attraverso la straordinaria interpretazione di Andrew Scott, viene dipinto un Thomas Ripley stratega lungimirante, un antieroe che calcola ogni minima mossa, riuscendo a introdursi nelle vite altrui con conseguenze esplosive.

Luci ed ombre del triangolo artistico

Andrew Scott è Tom Ripley nella serie Netflix
Andrew Scott è Tom Ripley nella serie Netflix – ©Netflix

Il bianco e nero, i chiaroscuri spinti e le inquadrature statiche vogliono raccogliere lo stile dei Noir anni ’40 ma, al tempo stesso, richiamano apertamente l’estetica di Caravaggio. Ogni inquadratura è un dipinto: i personaggi entrano ed escono, ma la macchina da presa resta ferma, come se aspettasse il momento in cui la luce rivela il vero volto di chi sta in scena.
L’arte è la passione di Richard Greenleaf, la pittura è la carriera a cui ambisce e il terreno su cui preme Tom per avvicinare il giovane rampollo. Da qui i molteplici richiami all’arte italiana, e a Caravaggio in particolare. Quest’ultimo si rivela essere l’anello di congiunzione tra i due protagonisti. La serie, infatti, ricrea un sottile gioco di specchi che lega Caravaggio, Dickie e Tom. Richard Greenleaf introduce Tom alla pittura caravaggesca, ne spiega lo stile, l’uso scenografico della luce, lo guida attraverso le sue opere.

Nell’episodio finale (“Narcissus”), quel filo rosso che ricrea il triangolo tra il pittore e i due giovani americani viene alla luce. Un breve flashback mostra il pittore subito dopo l’omicidio compiuto nel 1606, intento a bere un calice di vino davanti a un camino, una scena riproposta poi con lo stesso Tom, ormai con l’identità di Dickie. Entrambi fissano un dipinto. Entrambi guardano l’arma del delitto.
In quel momento la serie costruisce un’identità nuova: Tom è diventato un ibrido tra il giovane americano e il pittore maledetto. Per sua sfortuna ha ereditato il peggio di entrambi: il vuoto artistico di Dickie e l’istinto omicida di Caravaggio.

Passione e ossessione: Il talento di Mr. Ripley (1999)

Tom Ripley (Matt Damon) e Dickie Greenleaf (Jude Law) in Il talento di Mr. Ripley (1999)
Tom Ripley (Matt Damon) e Dickie Greenleaf (Jude Law) in Il talento di Mr. Ripley (1999) – ©Miramax

Con il film di Anthony Minghella, Tom Ripley, interpretato da Matt Damon, assume nuove sfumature. Si discosta leggermente dal freddo e cinico manipolatore del romanzo e di Andrew Scott, diventando più fragile e umano. Meno ombre, meno segreti, meno previdenza in favore di una maggiore passione, impulso e ossessione. Il regista priva lo spettatore del mistero che aleggia attorno alle intenzioni del protagonista, che si appropria del nome di Dickie sin dalle prime scene per sviluppare una vera e propria ossessione verso il giovane e ricco americano. Tom, in questa pellicola, mostra un attaccamento morboso verso Richard, si riferisce al loro rapporto quasi come fosse una storia d’amore, confessa in modo velato i suoi sentimenti.

Anche le dinamiche tra i personaggi subiscono un ribaltamento. Se nel romanzo e nella serie Netflix Tom viene percepito come un intruso da coloro che gravitano attorno a Dickie (Marge e Freddie), nel film non è sempre così: Marge non mostra alcun astio nei confronti di Tom inizialmente, è premurosa nei suoi confronti proprio perché entrambi subiscono la forte aura opportunista e autoritaria di Richard Greenleaf. Tom viene così parzialmente svestito dell’aria del carnefice, ponendosi quasi sullo stesso piano di Marge. Entrambi vittime di Dickie, entrambi desiderosi delle sue attenzioni.

Capire un personaggio

“È così con Dickie, è come quando il sole splende su di te, è magnifico, poi ti abbandona e senti solo un gran freddo” – Marge Sherwood

Tom Ripley: meno freddezza e più sentimenti

Matt Damon, Jude Law e Gwyneth Paltrow nel backstage di Il talento di Mr. Ripley (1999)
Matt Damon, Jude Law e Gwyneth Paltrow nel backstage di Il talento di Mr. Ripley (1999) © Miramax

Matt Damon porta in scena un Tom Ripley che esce parzialmente dai confini delineati dal romanzo. Nella prima parte si mostra previdente sulle sue strategie future, presentandosi sin dall’incontro con Meredith (Cate Blanchett) con il nome di Dickie Greenleaf e giocando a carte scoperte con noi spettatori. Romanzo e serie Netlifx, invece, ci offrono solo particolari disseminati qua e là, presentandoci questa sua missione con molta più suspense e tensione. La versione di Minghella, dal canto suo, svuota Ripley di quel cinico mistero in favore di una versione dominata dalla passione. Rubare l’identità di Richard è la missione dichiarata ma, apparentemente, subito accantonata. La vita italiana del rampollo americano crea scompiglio in Tom.

Egli vede in Dickie un amico, forse di più, si dedica a lui con un attaccamento maniacale, ricerca le sue attenzioni, il suo benvolere, il suo amore. Agisce con una certa franchezza sul piano emotivo, ma non potendo avere Dickie, sceglie di ritornare sui binari iniziali: non ottenere Dickie, ma la sua identità. Un cambio di rotta, quest’ultimo, improvviso ai nostri occhi – lo stesso omicidio non ha alcuna premeditazione nella pellicola, ma è figlio di un raptus, un’animata discussione terminata in tragedia. Nonostante le chiare intenzioni iniziali, viene meno la sua tipica pianificazione omicida.

Citazione

“Ho sempre creduto molto meglio essere un falso qualcuno, che un’autentica nullità” – Tom Ripley

Delitto in pieno sole (1960)

Una scena de Il delitto in pieno sole (Plein Soleil, 1960)
Una scena de Il delitto in pieno sole (Plein Soleil, 1960) – ©Miramax

Roma, piazza Navona. Ai tavoli di un locale, due giovani americani: Tom e Filippo (il Dickie della pellicola). Siamo nel pieno di una loro avventura nella capitale quando incontrano Freddie. La pellicola di Renè Clemènt si discosta dalle altre trasposizioni per tono e struttura. Ci proietta sin dalla prima scena al centro dell’avventura di Ripley. Il passato viene ricostruito attraverso brevi dialoghi, ma con qualche alterazione. Innanzitutto Filippo è originario di San Francisco e non di New York, ma soprattutto, cambia il patto iniziale tra Tom e il padre di Greenleaf: non c’è il finanziamento del viaggio ma la promessa di una ricompensa finale.

Una digressione che modifica le motivazioni dello stesso Tom: il suo reale interesse è riportare Filippo oltreoceano. mentre il cambio d’identità entrerà nei suoi piani solo in un secondo momento. Per uno scherzo di Filippo (assente nel romanzo e nelle altre versioni), Tom rimane per ore in mare aperto sotto il sole cocente, e ciò sembra agire da spartiacque: oltre a provocargli una scottatura, sembra accendere in lui la voglia di vendetta che lo guiderà al tragico evento.

Meno pianificazione, più improvvisazione

Alain Delon nei panni di Tom Ripley
Alain Delon nei panni di Tom Ripley – ©Miramax

Il Tom di Alain Delon ci restituisce una versione priva di lungimiranza e ambizione, il suo piano, difatti, prende forma nel corso della pellicola. Non è ancora delineato nella sua mente, non ha la previdenza che contraddistingue il Tom letterario, ma si dimostra comunque sicuro e temerario, abile nel destreggiarsi tra le due identità: “In fondo l’ha ucciso Filippo, io non c’entro per niente”, affermerà una volta ucciso Freddie.

Questa prima versione italo-francese non coglie né la complessità psicologica che la serie televisiva farà propria, né la componente melodrammatica che ritroviamo nel film del 1999. Si posiziona a metà strada tra un noir ed un thriller, senza la presunzione di indagare nelle ombre dell’animo umano di Tom Ripley.

Lo Sapevi?

Alain Delon era destinato al ruolo di Filippo, solo la sua insistenza con i produttori, e la richiesta della costumista, gli garantirono il ruolo di Tom, vera rampa di lancio per la sua carriera.

Un personaggio, mille identità

Jude Law e Matt Damon in una scena de Il talento di Mr. Ripley (1999)
Jude Law e Matt Damon in una scena de Il talento di Mr. Ripley (1999) © Miramax

Tom Ripley è un personaggio dai mille volti, e non solo per la sua abilità di imitare le voci o di rubare l’identità, ma per le sfumature che ogni interprete gli ha donato. Nella serie Netflix troviamo un Ripley estremamente fedele alla pagina scritta: freddo, calcolatore, ogni gesto, ogni abito, ogni sguardo di Dickie viene studiato e incorporato, fino all’atto estremo: ucciderlo per vivere al suo posto. Il Ripley di Matt Damon, invece, è più emotivo, sentimentale e impulsivo. Sin dalla partenza dagli Stati Uniti si appropria del nome di Dickie, ma conoscendolo sviluppa un’ossessione di natura quasi romantica.

Il piano di assumere l’identità dell’amico sembrava affievolito, ma in seguito al delitto, quando la vita al fianco di Dickie era ormai impossibile, si riaccende. Infine, Alain Delon nel Delitto in pieno sole (1960) offre un Tom Ripley vendicativo e capace di improvvisare. La sceneggiatura ritocca le sue ambizioni iniziali, e solo dopo essere stato lasciato per ore in mare aperto sembra ritornare sui passi del Tom letterario, arrivando alla memorabile sequenza sulla barca: durante una partita a carte, Tom dichiara apertamente a Filippo tutti i dettagli del suo piano, dando vita a una contrattazione che oscilla letteralmente tra la vita e la morte, evocando quasi la tensione di un’altra celebre partita (a scacchi in questo caso) di Bergmaniana memoria.

Luci ed ombre di chi osserva

Andrew Scott nei panni di Tom Ripley nella serie Netflix
Andrew Scott nei panni di Tom Ripley nella serie Netflix – ©Netflix

Pur non scostandosi troppo dal Ripley originale, ogni versione indossa abiti propri, sviluppa un’identità distinta, è spinta da motivazioni, ambizioni e pulsioni uniche. Così, lo stesso personaggio letto, studiato e osservato può cambiare nell’animo sulla base dello sguardo che vi si posa.

Ognuno di noi legge le stesse parole, vede le stesse scene, ma emergono ogni volta delle ombre diverse, provocate dalla luce unica degli occhi di chi osserva.

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Classe 1995, Luca ha conseguito un diploma in Ragioneria e una Laurea Triennale in Scienze Politiche, ma fin dall’adolescenza ha sentito crescere in lui una forte passione per il cinema. La svolta arriva con l’ingresso in una compagnia teatrale amatoriale e con la Laurea Magistrale in Scienze dello Spettacolo presso l’Università di Firenze. Partito da un iniziale e intenso legame con la coppia De Niro–Scorsese e i loro gangster movies, il suo percorso lo ha portato a innamorarsi della Settima Arte in tutte le sue sfumature.