Per chi, come colei che sta scrivendo, il wrestling è un mondo poco conosciuto il nome Von Erich potrebbe non far accendere alcuna lampadina. Ecco perché il film di Sean Durkin non solo ha il pregio di raccontare una pagina sportiva della storia americana ma anche il dolore provato dai campioni di quella che, ancora oggi, viene considerata una delle famiglie più importanti del wrestling.
Con il suo approccio da biopic classico The Warrior – The Iron Claw trova infatti un buon bilanciamento tra narrazione dei fatti e indagine psicologica dei personaggi; il tutto spingendosi anche oltre e inserendosi, pure se in punta di piedi, nel dibattito contemporaneo sulle rappresentazioni di genere con qualcosa di interessante da dire su quanto male provochino i retaggi del machismo tossico.
La storia di una famiglia maledetta
Siamo nel Texas degli anni Settanta e Fritz Von Erich, ex leggenda del wrestling, porta i suoi figli sul ring per far sì che almeno loro conquistino quei titoli che lui si era visto soffiare via durante la propria carriera. Duro quanto privo di empatia, il capo clan dei Von Erich non si fa problemi a cambiare il proprio figlio preferito a seconda delle prestazioni sportive di ogni ragazzo; eppure tutti loro, anche se costantemente messi alla prova – fisicamente e psicologicamente, sono felici di trascorrere del tempo insieme.
Il wrestling diventa quindi sinonimo di condivisione, di successo e, ovviamente, il solo modo per catturare l’attenzione di un padre che non contempla emotività, fragilità né tantomeno un futuro diverso per i propri figli. Come ad esempio Mike che sognava una carriera nella musica o David che abbandona il lancio del disco per dedicarsi a quella che, a tutti gli effetti, è l’attività di famiglia. Una prigione dorata che nessuno di fratelli Von Erich sceglie davvero e che, a poco a poco, stritola tutti loro con più forza della famosa presa “iron claw”. Qualcosa che, agli occhi di tutti, appare come una vera e propria maledizione a causa della lunga serie di lutti che, nel corso degli anni, hanno colpito la famiglia.
Liberazione
“Per me l’importante era stare con i miei fratelli”. La frase del personaggio di Kevin Von Erich, interpretato da Zach Efron, racchiude il senso ultimo di un film che non ha paura di decostruire l’ideale tossico del macho. Mostrandoci il declino psicologico dei suoi personaggi maschili il film pone infatti l’accento su quanto la vera maledizione della nostra società – e non solo della famiglia Von Erich, siano i retaggi di una cultura patriarcale che non permette all’uomo di mostrarsi debole né fisicamente né tantomeno mentalmente.
Non è un caso che la simbolica liberazione dalle aspettative paterne e da un mondo che lo voleva sempre prestante, coincida con la vendita della società di famiglia da parte di Kevin – unico Von Erich sopravvissuto alla catena di disgrazie, mentre i suoi fratelli si rincontrano idealmente in un altro luogo. Finalmente liberi.
Rispetto per lo sport
Nel film le mazzate psicologiche fanno più male di quelle sul ring – perché anche se si dice che nel wrestling sia “tutto finto” gli atleti, ebbene sì, si possono farsi anche molto male. Una scelta che abbiamo molto apprezzato ai fini della storia che The Warrior – The Iron Claw vuole raccontare scegliendo di avere grande rispetto per uno sport sicuramente controverso, il cui ambiente ha senz’altro contribuito al malessere dei protagonisti senza però esserne la reale causa.
La realtà è che, come ci siamo detti, quel dolore aveva radici ben più profonde che di certo hanno trovato terreno fertile in una disciplina in cui forza e prestanza fisica sono fondamentali ma che potevano – e possono ancora trovare spazio, in qualunque altro settore. Ecco perché accanto a film che parlano di come la società maschilista abbia danneggiato le donne, nella loro libertà e individualità, è giusto raccontare storie come questa. Storie di padri che hanno maledetto i propri figli instillando in loro il falso mito di una forza da ostentare a tutti costi senza potersi permettere di essere fragili.
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