«Immagino che pensassi di poter fare la differenza», commenta con disincanto Paul Hunham, docente di storia antica in un collegio del New England; «Pensavo di poterli preparare almeno un po’ ad affrontare il mondo. […] Ma il mondo non ha più senso; è come impazzito». Le parole cariche di scetticismo del professor Hunham riflettono l’attitudine del protagonista del film The Holdovers – Lezioni di vita: una crescente difficoltà a riconoscersi nella società attorno a sé, nello specifico l’America all’alba degli anni Settanta, e un endemico senso di sfiducia rispetto all’efficacia del proprio mestiere. Una sfiducia che però, nel ritratto offerto da Paul Giamatti, non sfocia mai nella mera autocommiserazione. Al contrario, il suo professor Hunham ci tiene a mantenere un’apparenza di rispettabilità ‘istituzionale’ e di orgogliosa autorevolezza: lo dimostra nella solennità fin troppo rigorosa con cui ottempera ai propri doveri e nell’ironia un po’ sprezzante riservata ai suoi studenti.
Paul Hunham: ritratto di un (falso) misantropo
Insomma, è un individuo complesso Paul Hunham, caratterizzato da elementi contraddittori, ma pure da un fondo di amarezza che costituisce una costante di diversi personaggi del cinema di Alexander Payne. A partire dal protagonista di Sideways, Miles Raymond: anche lui un insegnante, anche lui con l’ambizione insoddisfatta di pubblicare un libro, anche lui preda di un sommesso sentimento di inadeguatezza. E anche lui interpretato, ormai vent’anni fa, da un memorabile Paul Giamatti, che proprio grazie a The Holdovers può finalmente celebrare la seconda nomination all’Oscar della sua lunga e ricchissima carriera, a pochi giorni di distanza dalla vittoria del Golden Globe come miglior attore di commedia. Del resto, alla base del successo della pellicola di Payne (cinque candidature agli Oscar, tra cui miglior film) c’è proprio la figura di Paul Hunham, che la sceneggiatura di David Hemingson sembra aver cucito addosso all’attore cinquantaseienne originario del Connecticut.
Nel professor Hunham, infatti, si amalgamano due aspetti che è possibile ritrovare in molteplici occasioni nella sterminata filmografia di Paul Giamatti: l’indole di personaggi burberi e misantropi, la cui arroganza è declinata talvolta in chiave farsesca (e pure in The Holdovers non mancano certo gli spunti comici, alcuni dei quali irresistibili); e una sensibilità intima e profonda, in cui la propria insicurezza si accompagna al desiderio di spezzare le barriere della solitudine ed entrare in connessione con gli altri. È quanto accadrà anche a Paul Hunham, giorno dopo giorno, nel suo rapporto con il cosiddetto holdover del titolo, ovvero lo studente costretto a trascorrere le vacanze di Natale alla Barton Academy, lontano dalla propria famiglia: Angus Tally, ragazzo brillante, sfrontato e un po’ viziato, a cui presta il volto l’esordiente Dominic Sessa.
Professore e allievo
La forza di The Holdovers, e della sceneggiatura di David Hemingson, è imperniata appunto sulle dinamiche della convivenza coatta tra Hunham e Angus, che dalla reciproca antipatia iniziale li spingerà ad un progressivo avvicinamento. Si tratta di una struttura a prima vista paradigmatica, riconducibile a un ampio filone di opere analoghe (spesso di ambientazione scolastica), ma che Hemingson e Alexander Payne sviluppano con una fluidità, una verve e una capacità di coinvolgimento davvero ammirevoli. Ma se il film funziona così bene, al punto da evocare già alla prima visione il sapore di un moderno ‘classico’, gran parte del merito va attribuita senz’altro alla formidabile alchimia fra i due co-protagonisti, in perfetto equilibrio fra spontaneità e istrionismo, fra spavalderia e fragilità. Ad appena ventun anni, Dominic Sessa è una rivelazione; ma per Giamatti, veterano che più volte ha dato prova di un talento sopraffino, si tratta di uno di quei ruoli in grado di definire una carriera.
Se il prossimo 10 marzo, com’è sempre più probabile, Paul Giamatti sarà insignito dell’Oscar come miglior attore, non ci sarà da stupirsi: al di là del credito e della stima acquisiti in tre decenni di carriera, in The Holdovers l’attore americano tratteggia un personaggio che, pur fungendo da ingranaggio di un ‘sistema’ rigidamente classista, è a suo modo un outsider, e per il quale è pressoché impossibile non parteggiare. E lo disegna prestando un’infinita cura ai dettagli e alle sfumature, soprattutto laddove non può affidarsi all’umorismo pungente né all’intensità delle scene-madri, ma deve lavorare in sottrazione. È il caso della delusione prontamente repressa, tanto da non tradursi in puro struggimento, di chi coltivava la timorosa speranza di un amore in procinto di sbocciare; o della malcelata vergogna di un uomo che non osa pensare in grande neppure quando si tratta di sognare un futuro da scrittore. In fondo il segreto di Giamatti, e del suo indimenticabile Paul Hunham, è tutto lì: in quello sguardo sbilenco che, dietro un velo di malinconia, ci lascia intravedere un intero universo.
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