Il mondo di Wes Anderson è un’isola a sé stante. Anzi, un arcipelago lontano da tutto e da tutti. Irraggiungibile, inimitabile e affascinante proprio perché unico al mondo. È un microcosmo fatto di forme e tempi tutti suoi. Una realtà color pastello, ovattata, abitata da marionette tenere e malinconiche. Nell’arco di dieci film il regista texano ha creato un’estetica tutta sua. Talmente particolare da trasformarsi in puro stile distintivo. Una firma riconoscibile che lo ha reso uno stilista capace di confezionare film su misura. Su misura del suo talento eclettico. Su misura del suo pubblico innamorato delle sue simmetrie, delle sua maniacale cura scenografica, della sua sottile ironia pungente.
Senza dimenticare quella meravigliosa terra di mezzo tra teatro, pittura e cinema che è la poetica di Wes Anderson. Uno sguardo unico e per questo prezioso, che ha dato vita a tanti film amatissimi e a personaggi diventati subito cult. Da I Tenenbaum a Grand Budapest Hotel, Anderson ha costruito un vero e proprio brand affidabile. Ogni suo film è un catalogo da sfogliare. Basta un frame, un’inquadratura, un attimo e riconosci subito il suo tocco magico. Un tocco che con The French Dispatch sembra aver perso un po’ del suo fascino. Perché il suo decimo film ha diviso più del solito, spaccando in due critica e pubblico. Da una parte i convinti difensori del suo stile, che hanno trovato The French Dispatch pura avanguardia cinematografica. Dall’altra chi è rimasto perplesso davanti a un vuoto esercizio di stile. Proviamo a capire meglio perché il decimo film di Wes Anderson ha aperto questa crepa dentro il suo ovattato regno di carta pesta.
Guardarsi allo specchio
Pensiamoci un attimo. Ci sono registi che non nominiamo mai per cognome. Ogni volta che ne parliamo bisogna prendere tutto il pacchetto. Anzi, tutta la firma. Wes Anderson conferma la regola. Coerente con l’essere diventato un brand, il nostro lascia la sua impronta ben visibile in ogni film che gira. Ecco, con The French Dispatch questa firma è diventata più vistosa del solito. Forse questa volta vediamo troppo Wes Anderson e poco The French Dispatch. Sia chiaro, il film è girato con un’accuratezza quasi commovente. Il suo non-omaggio al giornalismo (detesta questa definizione) è un tripudio di ricercatezza estetica: l’atmosfera patinata da film francese anni Sessanta è perfetta, la scenografia è stracolma di dettagli, la messa in scena come sempre sontuosa.
Eppure, a fine proiezione, rimane la sensazione di aver fatto il giro su una giostra in cui a divertirsi è stato soprattutto il regista. Perché? Secondo noi The French Dispatch parte da intenzioni nobilissime, da puro cinema sperimentale. Wes Anderson ha sempre scardinato le differenze tra arti visive, e questa volta prova a rendere “sfogliabile un film”, traducendo su pellicola una rivista. Allora ecco tantissime parole (il film è verbosissimo) convivere con vere e proprie fotografie mobili. Allora ecco tanto bianco e nero, ovvero i colori fondamentali di qualsiasi pubblicazione cartacea. L’intento è straordinario, il risultato purtroppo molto meno. Purtroppo quell’orribile definizione meglio nota come “esercizio di stile” aleggia davvero nella redazione del French Dispatch. Wes Anderson questa volta si veste di tutto punto, sfoggia un bell’abito retrò, ma forse si guarda troppo allo specchio.
News o editoriale?
Un film su una rivista immaginaria, ma soprattutto un film che immagina di essere un rivista. Cosa c’è da leggere dentro The French Dispatch? E soprattutto: qual è il suo tempo di lettura? Uno dei problemi più evidenti del film è il ritmo. Tutto scorre via velocemente senza il tempo di soffermarsi su qualcosa o su qualcuno. Questa volta parole e immagini non vanno molto d’accordo. Quasi sembrano sgomitare per mettersi in mostra. Come se The French Dispatch fosse un lungo editoriale con i tempi ristretti di una news. Si va troppo di corsa, senza il tempo di dare respiro ai personaggi e forma al cuore del racconto. Qui manca la consistenza narrativa dei Tenenbaum, l’ironia arguta di Steve Zissou e la tenerezza di Moonrise Kingdom. Certo, l’alternanza di generi è un’ottima trovata, ma diventa quasi un gioco cinefilo a sé stesso, un divertissement in cui Anderson dimostra di conoscere a meraviglia la Settima Arte senza però appassionare davvero. Il buon Wes è sempre un vulcano di idee bizzarre e ricercate: cita il noir degli anni Trenta, rievoca i vecchi polizieschi e ci regala una splendida sequenza animata che sembra quasi un fumetto franco-belga in movimento. The French Dispatch si affanna tutto il tempo alla ricerca del colpo a effetto, però non si concede mai il tempo per rifiatare e farsi apprezzare al di là della sua bellissima confezione.
Nel teatrino di Wes Anderson
Ora veniamo al problema principale del film. Un problema che, lo ammettiamo (a costo di sembrare impopolari) veniva a galla già in Grand Budapest Hotel. The French Dispatch ha confermato una gestione del cast piuttosto complicata. Strabordante di star e volti celebri, l’ultimo film di Wes Anderson sfrutta ogni interprete soltanto come un corpo in scena. Sono quasi sagome, cartonati, icone che rappresentano la propria celebrità. Nulla di più. Perché nessuno tra Bill Murray, Frances McDormand, Tilda Swilton, Timothée Chalamet e Léa Seydoux aggiunge qualcosa al film al di là della propria notorietà. Questo cast affollato dà vita a un teatrino di marionette mosse da un abile burattinaio, con attori e attrici appiattiti sullo stesso piano. “Avanti, giochiamo tutti a fare un film di Wes Anderson“, sembrano dire, diventando tutti pupazzi nelle sue mani. Dispiace davvero dirlo, ma manca un’anima a questo film bellissimo che non riesce a essere un bellissimo film. Perché The French Dispatch rimane un album dalla grafica superba. Un album di figurine collezionate da un regista talentuoso, che purtroppo non si attaccano mai davvero.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!