The Flash è un lungometraggio strano, frutto di anni di ripensamenti dietro le quinte (alcuni dei quali evidenti nella struttura del film stesso, finale incluso): da un lato, nelle intenzioni della Warner Bros., il titolo che reinventa il franchise cinematografico della DC Comics in vista del rilancio che arriverà nel 2025 a opera di James Gunn e Peter Safran; dall’altro, e questo lo indica soprattutto il box office (non solo del film di Andy Muschietti, ma anche del precedente Shazam! Furia degli dèi), è tra gli ultimi rantoli di un universo audiovisivo ormai morto, che il pubblico generalista non ha mai amato al 100% e ora non ha più particolarmente voglia di seguire. E in tale ottica è specialmente simbolica la scena post-credits, i cui livelli di lettura sono aumentati dopo l’uscita. Attenzione, seguono spoiler!
Cosa accade nella scena post-credits di The Flash
Ufficialmente The Flash finisce con un piccolo, beffardo colpo di scena: avendo ripristinato la linea temporale originale, Barry Allen scopre che il suo minuscolo intervento per scagionare il padre ha comportato un’ultima modifica al presente, dove Bruce Wayne non ha più il volto di Ben Affleck, bensì quello di George Clooney. E nel post-credits è proprio questa situazione che Barry cerca di spiegare all’amico Arthur Curry mentre questi, ubriaco marcio, è per lo più ignaro di ciò che accade intorno a lui e preferisce schiacciare un pisolino in una pozzanghera. Una gag finale che non è andata giù a parte del fandom DC, in particolare a chi pensa che una scena simile snaturi la figura di Arthur e lo renda di nuovo un buffone dopo che Zack Snyder aveva riabilitato la sua immagine (ma va ricordato che anche nei film di Snyder si notava che Curry, quando non impegnato a difendere gli amici, non disdegna una bottiglia o due).
Il significato della scena post-credits
La scena dopo i titoli di coda ha il duplice scopo di riepilogare in modo spiritoso le complicazioni legate al Multiverso e ricordare agli spettatori che il DC Extended Universe, prossimamente solo DC Universe, non è ancora del tutto scomparso nella sua forma di matrice snyderiana: Aquaman ha ancora le fattezze di Jason Momoa, e la personalità che conosciamo (con il film che si avvale, seppur minimamente, dell’amicizia tra Arthur e Barry che abbiamo visto in Zack Snyder’s Justice League e Peacemaker). Ed è protagonista di quello che, a dicembre, chiuderà definitivamente il DCEU: il lungometraggio Aquaman e il regno perduto, sequel dell’originale che, nel 2018, è divenuto l’unico capitolo del franchise a incassare un miliardo di dollari nel mondo. Un sequel che, complice il Multiverso, è stato oggetto di diverse modifiche durante la lavorazione, come ha riconosciuto il regista James Wan in una recente intervista: dovendo a un certo punto uscire prima di The Flash, il film ha dovuto modificare almeno una scena (si vociferava di un cameo di Batman, interpretato o da Michael Keaton o da Ben Affleck, a seconda della fase di produzione, e poi completamente rimosso).
Quale futuro per The Flash e il DC Universe al cinema?
La Warner ha puntato tutto su The Flash, con l’amministratore delegato David Zaslav che si è addirittura sbilanciato definendolo “il miglior film di supereroi di sempre” (James Gunn, più misurato, l’ha solo descritto come uno dei migliori, ed è facile immaginare, conoscendo i suoi film, come sia stato sedotto dal lato emotivo della vicenda di Barry). Un hype che non ha saputo convincere il pubblico generalista: a oggi, chiuso il secondo weekend di programmazione mondiale, il film ha incassato poco più di 200 milioni di dollari, un autentico disastro soprattutto considerando che non c’è più l’attenuante dell’affluenza diminuita a causa della pandemia. Un esito che alimenta un certo pessimismo anche per i futuri incassi del secondo Aquaman (apparentemente non molto apprezzato finora in sede di proiezioni test per sondare le reazioni del pubblico), in particolare se si pensa al trionfo del primo episodio che all’epoca sembrava risollevare le sorti di un DCEU in crisi. E così quell’immagine di commiato nel post-credits, di Arthur Curry ubriaco che “dorme” in una pozzanghera, è un po’ il simbolo del franchise nelle sue condizioni attuali, barcollante verso un capolinea ineluttabile, al termine del quale rimangono solo i circa diciotto mesi di attesa – tolta l’uscita del sequel di Joker nel 2024, sconnesso dall’universo condiviso – prima del reset che, in teoria, consentirà a questi eroi di tornare a galla dopo un decennio di gestione caotica e indecisa.