Arriva al cinema il 19 giugno The Bikeriders, ultima fatica di Jeff Nichols che si ispira all’omonimo libro fotografico di Danny Lion, uscito nel 1968, che aveva come fulcro narrativo la quotidianità degli Outlaws DC, una banda di motociclisti attivi negli anni Sessanta. Per Nichols The Bikeriders rappresenta una sorta di realizzazione di un sogno. Il regista di Take Shelker e Mud, infatti, stava cercando di realizzare questo progetto da almeno dieci anni, prima che la pellicola riuscisse finalmente ad arrivare sul grande schermo. Ritratto di un’epoca d’oro che forse non è mai davvero esistita, epopea della cosiddetta bromance ma anche di un certo cinismo contro la romanticizzazione della vita da centauro, il film di Jeff Nichols è un titolo estremamente interrante. Nella recensione di The Bikeriders cercheremo di far luce sui principali motivi di pregio, spiegando perché è un film che va visto.
The Bikeriders
Genere: Drammatico
Durata: 116 minuti
Uscita: 19 giugno 2024 (cinema)
Cast: Austin Butler, Jodie Comer, Tom Hardy, Michael Shannon, Mike Faist, Boyd Holbrook, Norman Reedus
Una vita in motocicletta
Nell’immaginario collettivo ci sono poche cose che sanno dare immediatamente un senso di libertà e possibilità più dell’immagine di una strada dritta che si tuffa all’orizzonte e il vento che sferza il volto, con le sue promesse di novità e avventura. E questo è il sentimento che muove la vita di Benny (Austin Butler), un uomo dal temperamento caldo che sente di essere se stesso solo quando è a bordo della sua moto, circondato da persone che la pensano come lui, che provano e inseguono quello stesso mito. Un mito della frontiera rivisto e corretto, traslato negli anni Sessanta, dove i confini sono soprattutto quelli che la vita adulta impone, con le sue regole e le sue responsabilità. Benny è un personaggio che agogna la libertà, che pensa di poter essere in pace con se stesso solo a cavallo della sua moto.
Un sentimento che non riesce del tutto a comprendere la moglie Kathy (Jodie Comer), che sposa un ragazzo selvaggio forse con l’intento di cambiarlo, di domarlo, di trasformarlo in ciò che non è. Kathy, che “un tempo era rispettabile” si trova a vivere anche lei una vita in motocicletta senza però desiderarlo fino in fondo, senza comprenderlo. Nei Vandals – il gruppo di motociclisti a cui appartiene il marito – Kathy entra quasi per sbaglio, lasciando che il gruppo plasmi anche la sua vita, che la modifichi, che ne detti il ritmo. Eppure, nonostante questo, ne rimane in qualche modo estranea, distaccata, quel tanto che basta per farle capire che deve dividere Benny con Johnny (Tom Hardy), il leader e fondatore dei Vandals, che rappresenta quasi una figura paterna per Benny: non proprio un modello da emulare, ma qualcosa che somiglia alle radici necessarie per rimanere in piedi. Tuttavia la vita dei motociclisti ben presto perde la via del racconto aureo di amicizia e lealtà e si tinge di violenza, di sangue e di cambiamenti.
Gli eroi decadenti di The Bikeriders
Non è di certo un mistero il fatto che il cinema di Jeff Nichols abbia fatto degli antieroi il proprio marchio distintivo: al centro del suo cinema ci sono sempre stati personaggi che non seguono la strada già battuta, quella più comune e facile. Al contrario, Jeff Nichols ci ha abituato a personaggi che, in qualche modo, mentre affrontano una crisi identitaria riescono a crearsi il proprio mondo, la propria visione della realtà, al punto da trasformarla in una sorta di religione, un culto con regole ben precise. Tutto questo è ben sintetizzato dai due personaggi maschili principali. Da una parte c’è Johnny, interpretato da uno straordinario e appassionato Tom Hardy, un uomo che ha inventato un club per stare seduti e parlare di moto, ma anche per creare un altro nucleo familiare e, soprattutto, per rendere reale ciò che lo appassiona. Non a caso l’idea del motoclub gli viene dopo aver visto un classico con Marlon Brando.
Nella costruzione di Johnny Jeff Nichols sembra mettere in scena parte di se stesso: un uomo che cerca di creare un mito immaginifico che lo appassiona, come si nota anche dai vari rimandi a Easy Rider ma anche alla più recente serie tv Sons of Anarchy. Dall’altra parte c’è Benny, un uomo che appare senza freni e senza controllo, che viene all’inizio percepito come un personaggio che è solo alla ricerca di guai e che invece diventa a suo modo un eroe tragico: un uomo sconfitto, disilluso, che si rende conto di aver costruito tutta la sua identità forse su radici troppo fragili. The Bikeriders non è un film che esalta il mito della vita on the road, ma in qualche modo è un tableau vivant che ne distrugge gli schemi e gli archetipi, che affronta con cinismo un altro lato del fallimento di quell’American Dream che non può fare a meno di sfociare nella violenza gratuita, nella sopraffazione, nella ricerca della brutalità come mezzo per affermarsi. E sebbene la vita del motoclub sia naturalmente al centro del racconto, il motivi per cui The Bikeriders funziona è proprio per la lente posta su questi eroi falliti, su questi leader che si sentono sfuggire il controllo a ogni pie’ sospinto. Jeff Nichols racconta con un’eleganza intrisa di nostalgia un tempo che forse non è mai esistito, ma si concentra sui legami, sulla lealtà, su quel senso di protezione che può venire solo quando hai la più completa fiducia del fatto che i tuoi amici ti guarderanno le spalle. Finché anche questo mito finirà con il crollare contro l’avanzata del progresso che richiede violenza.
La voce al femminile
C’è un altro mito che Jeff Nichols scardina con The Bikeriders ed è il ruolo delle donne in un contesto altrimenti prevalentemente al maschile. Se, tradizionalmente, siamo abituati al cinema a vedere le donne dei motociclisti come tali – donne dei motociclisti -, con The Bikeriders la voce femminile è quella che si fa racconto, è quella che plasma la realtà con la sua voce. Non si parla più solo della donna trofeo, della moglie amata e difesa da tutti gli altri: la Kathy di Jodie Comer è una donna consapevole di se stessa e del suo ruolo, è una donna che cerca di far valere il suo ruolo e che riesce ad avere la meglio con l’arma più inaspettata di tutte: la sua voce. È di Kathy la voce che racconta la storia, è la sua visione quella che viene offerta dal pubblico, in un racconto che si fa ancora più complesso proprio perché sono complessi i sentimenti che prova Kathy per la società che ha intorno: per l’incapacità di Benny di lasciare la strada, per la consapevolezza di essere sempre la numero due nella lista delle priorità dopo Johnny, per la paura di trovarsi da sola nella casa di un club che sta degenerando e si sta sfaldando. Questo offre un ulteriore livello di lettura e un approfondimento al quadro genere che rende The Bikeriders un film nostalgico e doloroso, appassionato e cinico al tempo stesso, dove cinismo e leggenda si prendono per mano.
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La recensione in breve
Un viaggio negli Stati Uniti degli anni Sessanta e Settanta, con una voce fuori campo che trasforma in fiaba oscura il mito dei motociclisti e della loro lealtà. Un film complesso e appassionante che rimane nella mente dello spettatore anche quando lo schermo torna al nero
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Voto Screenworld