Una luce nella tenebra. Così inizia un film, con il proiettore che illumina la sala cinematografica.
Così inizia una storia, all’occorrenza nuova, vecchia o rinnovata. Una storia che inizia nelle ombre più cupe e si conclude con la luce. Il Batman di Matt Reeves è questo: la storia di un’alba. L’alba di un eroe.
Le storie intorno a noi, ora più che mai, sono talmente numerose che forse abbiamo iniziato a sottovalutarle, interpretandone la superficie e perdendo di vista quell’aspetto fondamentale che le rende davvero uniche: alla fine della storia, l’eroe non è mai lo stesso dell’inizio.
Non fa eccezione The Batman, il film di Matt Reeves (qui la nostra recensione senza spoiler) che racconta una nuova versione dell’Uomo Pipistrello, stavolta decisamente più cupa di quanto eravamo abituati.
Sì, il Batman interpretato da Robert Pattinson incarna, per più di due ore e mezza, un supereroe dark e rabbioso, lontano dall’immagine eroica classica. Ma, negli ultimi trenta minuti di film, inizia il suo mutamento. O, per usare le parole del film, il suo rinnovamento.
Andiamo ad analizzare il significato del finale di The Batman, riepilogando gli elementi importanti che hanno caratterizzato questo nuovo capitolo e il messaggio della storia.
Piove sul nostro umore
È sempre la notte di Halloween a Gotham City. Una notte in cui le maschere e i costumi, gli alter-ego e le identità nascoste hanno il sopravvento. Dove i criminali agiscono (quasi) del tutto indisturbati e dove le persone si trasformano in simboli. Come quelli che illuminano il cielo con un faro.
Così Edward, un ragazzo orfano ricolmo di rabbia per essere stato messo ai margini della società, si trasforma nell’Enigmista (The Riddler), serial killer che intende smascherare la verità sulla città. E così Bruce Wayne può smettere di essere un orfano privilegiato e indossare i panni del Batman, per dare sfogo a un lutto mai del tutto elaborato. Vendetta: ecco il simbolo che incarna quello che dovrebbe essere il nostro supereroe. Un sentimento di odio, di rabbia, di disagio esistenziale.
Durante la notte di Halloween a Gotham City piove. Una pioggia torrenziale che sembra non preoccupare i cittadini pronti a festeggiare, ognuno a loro modo. Anni di mitologia legata al personaggio dovrebbero averci preparato a dovere: la città e il suo eroe sono connessi.
Di conseguenza, la scelta di un film così oscuro, di una storia che sembra non aprirsi mai alle emozioni (e, quindi, anche abbastanza fredda e calcolata) corrisponde esattamente all’umore del protagonista. Questo Batman non è il Batman che conosciamo da sempre: è ancora inesperto (arriva troppo tardi alla soluzione corretta), imperfetto (ha paura di lanciarsi nel vuoto), adolescenziale (estremo nelle emozioni che tiene inespresse e dentro di sé). È un involucro solitario, divorato dalla propria tenebra e a suo agio nell’oscura città, che non porta e trasmette calore, ma solo pioggia e lacrime.
Figli di una città di nome Gotham
Non c’è eroe senza la sua nemesi. Non c’è figlio senza una madre. Non c’è Batman senza Gotham City.
Dalle architetture gotiche, illuminate dai neon, Gotham City è una vera e propria culla di freaks. Lo è perché da anni, come viene spiegato nel film, un programma di rinnovamento, voluto dal padre di Bruce, Thomas Wayne, non sembra migliorare la vita dei cittadini. Colpa di una politica incapace, di una società criminale e mafiosa che ha il controllo dei soldi stanziati, di sguardi volti altrove, orecchie tappate e bocche cucite. Dove sta il miglioramento di una città che sembra avere abbandonato i propri figli rimasti orfani? Dove sono i cambiamenti promessi da un’intera classe dirigente?
Bruce Wayne ha ereditato la volontà del padre di cambiare dal profondo l’essenza della città. Lo fa con la paura, lo fa con la forza delle tenebre, attraverso la rabbia e un sentimento di impotenza. Forse Gotham City non si può cambiare davvero. Sono passati due anni da quando ha iniziato a vestire i panni di un vigilante chiamato Vendetta, eppure sembra che non sia passato un giorno (lo stesso Bruce sembra confondere il trascorrere delle giornate, tenute a mente solo attraverso un diario personale).
Continua a piovere a Gotham City. Una pioggia che non riesce a pulire le strade della città. Una pioggia che bagna, ma rimane stagnante, come l’acqua che non scorre in un lavandino otturato. Gotham City è diventata una madre putativa che partorisce mostri, incapace di cambiare la propria essenza.
Battesimo e purificazione
L’ha capito perfettamente l’Enigmista, che cerca di smascherare lo sporco che ha incrostato Gotham City. Lo fa attraverso gli enigmi prima, dimostrazione di una generazione più in gamba e intelligente rispetto a quella che governa la città (nonostante le elezioni facciano presagire un sindaco più attento a questi aspetti), e con una vera e propria distruzione della stessa, attraverso l’acqua, poi. Se la pioggia non riesce a pulire la città, ci penserà direttamente l’onda dell’oceano. Distruggendo la diga di Gotham City, l’Enigmista dà il via a una purificazione totale e catastrofica, simile a quella del Diluvio Universale del Vecchio Testamento. Se è impossibile il rinnovamento, meglio ricostruire tutto da capo, dalle macerie. Simbolicamente, la Gotham City distrutta (e finalmente illuminata dai raggi del sole) è simbolo di una nuova città.
L’acqua ha un ruolo fondamentale anche nel percorso di crescita di Batman. Sarà proprio durante l’inondazione di Gotham che il nostro protagonista deciderà di compiere una sorta di sacrificio, tuffandosi nelle acque torbide all’interno dell’edificio dove i cittadini della città cercano riparo. Un sacrificio che sembra simboleggiare la morte di Vendetta, l’oscuro eroe che fa della rabbia il suo motore, e un nuovo battesimo dell’eroe. Sommergendosi e riemergendo dalle acque di Gotham City, il Bruce Wayne sotto la maschera diventa finalmente Batman. Si rinnova in Speranza.
È il punto d’arrivo di un percorso di crescita che inizia con la paura di vedere morire il proprio maggiordomo e amico Alfred, per colpa di un pacco bomba spedito all’indirizzo di Bruce Wayne. Con un dialogo in cui finalmente il protagonista si apre ed esprime a parole le proprie emozioni e le proprie paure, slegandosi brevemente dal suo passato e trovando una mano di conforto, si avvia una presa di coscienza necessaria per la costruzione dell’eroe. Da qui la differenza tra Batman e Selina e l’Enigmista nell’ultima parte della storia. Nonostante le somiglianze caratteriali (ognuno di loro incarna lo spirito di vendetta) solo il nostro eroe riesce a porsi un passo indietro, realizzando che la rabbia non porterà mai una pace interiore a lui necessaria. È solo a quel punto che Batman può diventare finalmente una luce di speranza per tutta la città. Dopo questo nuovo battesimo che lo consacrerà a eroe, riceverà la fiducia della generazione più giovane di Gotham, diventano una luce da seguire.
L’uomo che Riddler
Come tutte le madri, Gotham fatica a tagliare il cordone ombelicale alle sue creature. A Gotham piacciono i ritorni. Lo dice un misterioso, sorridente, prigioniero rinchiuso nella cella di Arkham all’Enigmista, che non è troppo difficile da riconoscere. Il dialogo conclusivo tra Riddler e Joker (visto solo parzialmente) lascia presagire un’alleanza tra i due nemici di Batman che potrebbe dare filo da torcere al supereroe. O, per meglio dire, potrebbe sottolineare, ancora una volta la difficoltà di vedere cambiate davvero le cose. D’altronde, una celebre storia a fumetti di Alan Moore, intitolata The Killing Joke, lo esplicitava: la presenza stessa di Batman è allo stesso tempo causa e conseguenza dei suoi nemici.
Si arriva alla fine del film in cui, più che a un “Anno Due”, ovvero l’anno di operatività di Batman in cui si svolge la storia, si assiste a un vero e proprio “Anno Zero”, per Gotham e per Batman stesso. Proprio il protagonista, attraverso un discorso off screen meno disilluso e più solare, rispetto a quello iniziale con cui si apriva il film, narra allo spettatore cosa sta provando. E per un ragazzo così introverso e rimasto troppo tempo divorato dalla sua oscurità, questa fiducia nei confronti dell’ascoltatore è un barlume di luce che finalmente lo fa sorridere.
L’eroe allo specchio
Ci sono luci e ombre nel finale di The Batman. Perché se è vero che il protagonista e la città stessa compiono degli innegabili passi in avanti nella loro costruzione e nella loro crescita, è altrettanto vero che Bruce Wayne non appende il mantello al chiodo e la città non rimane esente dai criminali (il Pinguino è pronto a prendere il posto di Carmine Falcone). In poche parole, il cambiamento e il rinnovamento non sono qualcosa di immediato. La presenza della luce presuppone la presenza della tenebra. È di questo parere la stessa Selina Kyle, che abbandonerà Gotham City, in solitaria, incapace di andare oltre la propria disillusione, conscia del fatto che la città non cambierà mai davvero.
Un ultimo dialogo con Batman per solidificare l’importanza del loro rapporto (è grazie alla loro relazione che i due personaggi, così simili e inespressi, sono riusciti ad aprirsi lentamente) a cui segue una corsa in motocicletta che ha il sapore di una danza d’addio. Una strada basata sull’empatia, che hanno percorso insieme, e che poi li costringe a dividersi.
È nell’ultima bellissima scena, guardando attraverso lo specchietto retrovisore che dissolve la figura di Selina, sempre più distante, che The Batman diventa specchio di un’intera generazione (abbiamo già approfondito i motivi per cui questo Batman è il supereroe di cui abbiamo bisogno) e del pubblico stesso. D’altronde l’essenza delle storie è questa: guardarci attraverso le emozioni, in uno specchio chiamato schermo.