Suonano le campane a Gotham City. Campane che ricordano quelle di un funerale e che, tuttavia, sembrano annunciare l’arrivo di un cambiamento.
Perché gli eroi non muoiono. Cadono, si rialzano e si rinnovano. Come dovrebbe fare la città.
E come dovrebbe fare il cinema di supereroi, monumento roccioso che si erge nello skyline della settima arte. Così solido che si staglia lì, come fosse irraggiungibile.
È quello che è successo con il Batman di Christopher Nolan, che ha rivoluzionato il modo di concepire un cinecomic rendendolo adulto e maturo, abbandonando il lato più fantasy, spensierato e colorato, rimanendo coi piedi per terra, ancorandolo al realismo. Ecco il primo grande monumento ritenuto irreplicabile, ecco la pietra di paragone a cui volgere lo sguardo continuamente.
Ci voleva la pioggia battente e instancabile di The Batman di Matt Reeves per erodere quella roccia e cambiarne la forma, forgiando un nuovo monumento, sintesi di quelli che l’hanno preceduto e nuovo punto di riferimento, soprattutto per il personaggio.
Ed è così che il nostro nuovo Bruce Wayne, stavolta interpretato da Robert Pattinson, riesce a diventare un nuovo simbolo contemporaneo, che trasforma in storia passata il precedente. Forse, quel Cavaliere Oscuro non è più l’eroe di cui abbiamo bisogno. Non oggi.
Un Batman che contiene tutti gli altri
Questo nuovo Batman è la sintesi delle precedenti incarnazioni cinematografiche moderne del personaggio. Accoglie il lato gotico e legato a una dimensione da freak della versione di Tim Burton, sfuma la città con i neon colorati di Joel Schumacher (specialmente quello di Batman Forever), si lega all’approccio realistico e tangibile di Christopher Nolan, definisce il personaggio di Bruce Wayne sofferente e a tratti cinico come il vecchio Batman di Zack Snyder. L’unione dei vari elementi ha dato vita a una nuova versione che racchiude l’essenza del personaggio creato da Bob Kane e Bill Finger nel lontano 1939.
Personaggio che appartiene alle ombre, plagiato dalla stessa città, vera e propria fucina di mostri, questo nuovo Batman si riappropria delle caratteristiche originali del personaggio finora sin troppo dimenticate: Batman è un detective, un investigatore maledetto che annusa la puzza di marcio dei vicoli malfamati della città e prova a risanarla, senza rendersi conto di far parte della stessa malattia che cerca di guarire.
Nel film di Reeves si pone l’accento su questa caratteristica, non solo attraverso i primi minuti dell’opera, un vero e proprio cortometraggio che descrive perfettamente tutto ciò che ci interessa sapere sulla città e sull’eroe, ma anche nella scelta di evitare quanto più possibile il personaggio di Bruce Wayne.
Verrebbe da chiedersi quale sia la vera maschera del protagonista del film. È Bruce Wayne che si maschera da Batman o il contrario? Considerando l’esiguo minutaggio dedicato al ragazzo senza maschera, propenderemo per la seconda (e come abbiamo detto nella nostra recensione del film si ha la sensazione di assistere al Batman cinematografico definitivo, dando significato a quell’articolo, “The”, presente nel titolo).
Elemento preponderante nel film, quello della maschera, che si ripercuote nei tre protagonisti dell’opera: Batman, Selina Kyle e l’Enigmista.
Mascherare il dolore
La maschera diventa l’unico modo per nascondere il dolore dei tre personaggi principali ed esprimere il loro vero io. É solo indossando le loro maschere che diventano personaggi sicuri di sé stessi, capaci di gettare nell’ombra le proprie debolezze emotive e trasformarsi in qualcosa di più affascinante e spaventoso. Se è vero che Bruce Wayne, una volta indossati maschera e mantello, diventa Vendetta, lo stesso si può dire di Selina ed Edward. Perché tutti e tre condividono un sentimento e una condizione umana che corrisponde perfettamente alla contemporaneità e alla generazione dei Millennials.
Sono orfani. Non solo da un punto di vista biologico e affettivo (tutti e tre hanno perso un legame emotivo e d’amore), ma anche da quello culturale e sociale. Vivono in un mondo che non riescono a riconoscere, ereditato dai padri ma dove non riescono ad emergere. Sono vittime del silenzio, ombre invisibili lasciate ai margini dell’oscurità. L’unico modo per farsi notare e declamare la loro presenza e il loro valore al mondo è quello di dimettere i panni della persona “normale” e mascherarsi. La maschera non nasconde il volto, ma l’identità, voluta da quella società che ha abbandonato i propri figli e, di conseguenza, il proprio futuro. È questa la maledizione di Gotham City ed è questo il motivo per cui non può essere guarita.
Influencer e altri modelli
L’Enigmista è l’orfano privato dell’attenzione e dell’affetto. Il bambino lasciato ai margini di tutto che non trova un modello da seguire e si chiude in se stesso. Il dimenticato, il non necessario, il superfluo. Vittima di un sistema che predilige solo un certo ceto sociale, il giovane Edward, dalla vita reale misteriosa, ma apparentemente simile a quella degli hikikomori, trova sfogo solo attraverso i social network, costruendosi una bolla che distorce la realtà. In quella dimensione virtuale, acquisisce potere, fama, gloria. Bastano pochi video e un gruppo di utenti per dare avvio a una tentata rivoluzione, con volontari che decidono di coprirsi il volto con la replica della sua maschera (un discorso simile era stato affrontato in Joker di Todd Phillips). Eppure, senza maschera, senza essere l’Enigmista, Edward sembra un ragazzo ingenuo e fragile, anche innocuo. Ma la sua rabbia interiore lo porta a imbastire un piano tragico. Lo stesso linguaggio cifrato che utilizza per gli indovinelli non riesce a essere comunicato alla polizia di Gotham City, sintomo di un’incomunicabilità tra vecchia e nuova generazione.
Selina, invece, racchiude in sé il desiderio della giovane ragazza che cerca l’emancipazione in un mondo in cui gli occhi vengono puntati su di lei solo a causa della sua bellezza esteriore. Il risultato è la costruzione di una corazza emotiva che la rende fredda e allo stesso tempo solitaria. Anche lei abbandonata dal padre e orfana di madre, crescendo ha dovuto fare i conti con la mancanza di una comunicazione, anche e soprattutto empatica nei confronti del prossimo. Da qui la rabbia di ritrovarsi di nuovo sola, sintomo di una stanchezza esistenziale che non trova pace. Dotata di una sensibilità maggiore (“Ho un debole per i randagi” dirà a Batman), è il punto intermedio tra l’estremismo rabbioso dell’Enigmista e il desiderio di vendetta di Batman.
L’eroe di oggi
Cosa rende un eroe degno di essere tale? Il film di Matt Reeves compie un vero e proprio miracolo con il personaggio di Batman. Sofferente, sentendosi il peso del mondo sulle spalle (altro legame con i Millennials), questa versione di Batman parla direttamente alla nuova generazione di spettatori, in maniera opposta rispetto a quanto fanno gli eroi del Marvel Cinematic Universe. E in misura molto più schietta rispetto al precedente Batman interpretato da Christian Bale. Si può ritenere questo The Batman un film sin troppo oscuro e cupo per i tempi che stiamo vivendo, ma la verità è che la sua forza sta proprio in questo: non nascondersi nell’ombra, ma mettersi sotto la luce mostrando il buio presente.
Convivere col desiderio di vendetta e di rabbia, senza sentirsi più soli. Non nascondersi ma far sentire la propria voce.
The Batman parla (e quindi comunica) con la sua generazione, l’unica che ancora con un certo piacere si presenta nelle sale cinematografiche per i film-evento, quella che ha bisogno di ritrovare un’empatia. Per non fare la fine dell’Enigmista. Per non rimanere chiusi in una bolla social, virtuale, dove la soddisfazione esistenziale appare flebile. Una lieve fiamma che si spegne in fretta.
The Batman, invece, invita i Millennials, orfani di un mondo che sembra non prenderli in considerazione, di essere la luce che la pioggia non può spegnere. Roccia che l’acqua non può erodere. Un monumento generazionale che si erge, costruito a piccoli passi. Dove la prima pietra posata nel fango gridava “Noi siamo vendetta” e l’ultima si poggia alla luce del sole urlando “Noi siamo Batman“.
Sarebbe sbagliato considerare il film di Matt Reeves come un semplice pop corn-movie d’intrattenimento. È anche quello, sia chiaro, ma è anche una visione d’autore cristallina che dimostra ancora una volta come il cinema possa e debba essere inserito nella propria contemporaneità per superare vecchi modelli e creare nuovi punti di riferimento.
The Batman è questo: contemporaneo, presente, vivo. Rinnovato.