Ogni tanto, parlando di Steven Spielberg, si ha quasi la sensazione che venga dato per scontato. Difficilmente troverete il nativo di Cincinnati nominato come “regista preferito” di qualcuno. Probabilmente evitiamo di farlo per paura di essere prevedibili. D’altronde chi non conosce Spielberg? Un nome talmente legato al cinema che spesso lo si usa come sinonimo di regista. In molti condividiamo un percorso simile di approccio alla sua filmografia e figura. Durante l’infanzia abbiamo la fase della scoperta, dove ci avviciniamo e innamoriamo delle sue opere. Poi nell’adolescenza, in preda al vortice di ribellione contro ogni tipo di autorità, subentra la fase del rifiuto. In questo periodo Spielberg ci piace ma è troppo facile e commerciale. Infine arriva la maturità e con essa la consapevolezza, tutto ci appare nuovamente chiaro. Subentra la gratitudine per un autore che, attraverso le sue opere, ha definito il nostro immaginario collettivo.
E come noi così milioni e milioni di persone. A cinquant’anni dall’esordio con Duel (1971) e dopo 33 lungometraggi di generi costantemente differenti, lui è ancora qua con il suo sguardo raffinato e la sua incessante necessità di raccontare storie. In questo articolo vi parleremo dei migliori film di Steven Spielberg con l’intento di analizzare le varie fasi della sua carriera. Per questo motivo l’ordine delle opere è puramente cronologico.
1. Lo Squalo (1975)
Con il suo terzo lungometraggio Steven Spielberg decide di adattare l’omonimo romanzo di Benchley, dando vita a una rivisitazione del Moby Dick di Melville. Dopo un primo approccio di ricostruzione meticolosa, dove il regista decide di girare realmente nell’oceano e non in una piscina e sceglie personalità del luogo per interpretare alcuni personaggi (scelta questa quasi neorealista), arrivano le prime difficoltà. Gli squali meccanici, soprannominati Bruce, hanno curiosamente dei problemi con l’acqua e, dopo poco, dei tre iniziali ne rimane uno funzionante. Spielberg reagisce di conseguenza: l’animale si dovrà vedere il meno possibile. D’altronde lo squalo è un simbolo primordiale della paura, presente in tutte le culture e le leggende, non c’è bisogno di mostrarlo eccessivamente.
La scelta è delle più felici e si ricollega immediatamente a quel nemico ignoto già presente nel meraviglioso lungometraggio d’esordio Duel. Il lavoro sulla suspense viene basato su un montaggio complesso ma perfetto e sulla colonna sonora immediatamente iconica di John Williams, qui alla seconda collaborazione con Spielberg dopo Sugarland Express. Da notare il gioco magistrale fatto con il giallo: gli elementi di questo colore durante tutta l’opera ci andranno a segnalare e a raccontare la presenza dello squalo, come le boe. Il resto lo fanno tre protagonisti perfetti e complementari, su tutti il Quint di Robert Shaw.
Lo Squalo esce nel 1975 e l’impatto è immediato. Lo è sia sul botteghino, diventando rapidamente il maggior incasso della storia del cinema all’epoca e creando il moderno concetto (a livello distributivo e di promozione) di blockbuster. Infine lo è anche a livello di impatto culturale sia sul momento, causando un crollo delle presenze balneari in quell’estate, sia sui decenni successivi.
Un film semplicemente perfetto.
2. Incontri ravvicinati del Terzo Tipo (1977)
Tra le opere cardine dell’intera filmografia spielberghiana, Incontri ravvicinati del Terzo Tipo, che arriva un anno dopo Guerre Stellari. Se Lucas aveva dato una rivisitazione del fantasy, così Spielberg affronta la fantascienza dandogli una connotazione umanistica. Il presupposto iniziale non è lontano da quello di Duel e Lo Squalo, con un’entità/nemico non definito che arriva a infrangere l’apparente tranquillità dei protagonisti. Lo fa di notte, volando, emettendo luci, svegliando l’America dormiente, affascinando bambini e adulti non ancora cresciuti come Roy e spaventando gli altri. In questa fascinazione e nel suo sviluppo si distingue dai titoli precedenti.
Incontri ravvicinati del Terzo Tipo è un film di frontiera più vicino alle opere di John Ford di quanto possa sembrare. Il confine in questo caso viene posto con lo spazio extra-terrestre e con i rapporti con il diverso, in quella zona dove il reale e l’ordinario si scontrano con la meraviglia, cercando un linguaggio con cui comunicare. È proprio con questo film che arriva il tipico sense of wonder spielberghiano e con esso la Spielberg Face, qua presente in un numero nettamente superiore che in ogni altra opera. L’ inquadratura della reazione di un personaggio a un avvenimento fuori campo era già stata utilizzata sia in Duel che ne Lo Squalo con declinazioni differenti, soprattutto legate a motivi di suspence. In Incontri ravvicinati del Terzo Tipo abbiamo invece le classiche espressioni meravigliate davanti all’ignoto, riprese spesso attraverso delicati dolly shots. Altro spunto è legato al personaggio di Claude Lacombe simbolicamente interpretato da François Truffaut: il fatto che Spielberg lo abbia voluto per rappresentare l’artefice del contatto tra umani e alieni è un vero atto d’amore cinefilo.
Infine è interessante mettere a paragone Incontri ravvicinati del Terzo Tipo con La Guerra dei Mondi, successivo di quasi trent’anni.
Il film del ’77 arriva nel periodo immediatamente successivo alla fine della Guerra in Vietnam, dopo l’elezione del democratico e sognatore Jimmy Carter e in piena Distensione dei rapporti tra USA e URSS e il risultato è un’opera molto aperta e positiva. La Guerra dei Mondi esce invece nel 2005, è successivo agli attentati dell’11 settembre e il risultato è un’opera quasi opposta a Incontri ravvicinati del Terzo Tipo. La stessa Spielberg Face ne subisce le conseguenze, con il volto della piccola Dakota Fanning inquadrato costantemente in situazioni di terrore e angoscia.
3. 1941 – Allarme a Hollywood (1979)
Una delle anime proprie di Spielberg è quella legata alla commedia, un genere che ha più volte esplorato nel corso della sua filmografia e che trova la sua espressione migliore a nostro avviso in 1941 – Allarme a Hollywood. Il film è ambientato circa una settimana dopo dall’attacco subito dagli USA a Pearl Harbor, quando un sottomarino giapponese è pronto a fare fuoco di nuovo, questa volta però direttamente sulla California. La popolazione colta da una forte isteria collettiva si abbandonerà a un intenso vortice di follia. Il film all’epoca fu accolto in modo fortemente negativo sia dalla critica, che tacciò apertamente Spielberg di anti-patriottismo, che dal pubblico rendendolo il primo passo falso della carriera del regista. Spielberg veniva da due successi enormi come Lo Squalo e Incontri ravvicinati del Terzo tipo, un thriller tesissimo e un film di fantascienza. Probabilmente il suo nome non era associato e associabile a una commedia come 1941 – Allarme a Hollywood.
Molti ci potrebbero vedere una somiglianza con il cinema di John Landis e non solo per la presenza di John Belushi e Dan Aykroyd (un anno prima di Blues Brothers). La similitudine è però ancor più netta con il Dottor Stranamore, con il quale condivide la natura fortemente anarchica e il forte antimilitarismo. Spielberg organizza e filma tutto come un perfetto meccanismo comico, regolando e gestendo ogni movimento di camera e ogni ingresso in scena come fosse un’enorme coreografia musicale. Il risultato a nostro avviso è un capolavoro delirante che, tra le altre cose, segna anche l’inizio dell’amicizia e della collaborazione tra Spielberg e Robert Zemeckis, sceneggiatore del film insieme al fidato Bob Gale. Il passo successivo di questo rapporto coinciderà con la prima produzione targata Spielberg e il primo successo di Zemeckis da regista: Ritorno al Futuro.
4. I predatori dell’Arca Perduta (1981)
Nel 1981 dalla collaborazione tra Spielberg e Lucas nasce il primo lungometraggio dedicato a Indiana Jones, un personaggio fondamentale all’interno della filmografia spielberghiana. Creando di fatto il suo James Bond (grande passione del regista) in Indy racchiude due lati complementari e inscindibili del suo cinema. Da una parte il professore e dall’altra l’avventuriero, condividono le stesse passioni e gli stessi dubbi con approcci differenti. Bastano poco più di dieci minuti a I Predatori dell’Arca Perduta per entrare nella storia del cinema con un prologo perfetto nel presentarci tutte le peculiarità del protagonista. Dal presentarci la sua quotidianità fatta di avventure e dell’attività come professore fino alla sconfitta di Indiana Jones e dal suo essere di base un perdente, caratteristica che tornerà per tutto il lungometraggio.
Visto oggi, in un momento storico in cui il cinema è costantemente accusato (non del tutto a torto) di basarsi troppo sull’effetto nostalgia, I Predatori dell’Arca Perduta desta se possibile ancora più interesse. Perché l’operazione messa in piedi da Lucas e Spielberg è a tutti gli effetti nostalgica. Lo è però in modo molto differente da come la potremmo intendere noi oggi. Il film si basa sui ricordi non tanto del pubblico quanto dei suoi creatori, affascinati dai film d’avventura degli anni ’40 e ’50, che compiono una operazione filologica minuziosa e che porrà nuove basi. La New Hollywood, di cui i due erano stati interpreti e promotori, aveva rotto i ponti con il passato e con i Predatori dell’Arca Perduta quello stesso passato viene ricostruito e omaggiato, in modo nuovo così da poter essere raccontato al pubblico e segnando la nascita di una Hollywood consapevole di ciò che è stato ma proiettata comunque verso il futuro.
5. E.T. L’extra-terrestre (1982)
Nel 1982 escono tre film di fantascienza molto diversi l’uno dall’altro sia a livello filmico che per quanto riguarda il destino al botteghino. Stiamo parlando del Blade Runner di Ridley Scott, de La Cosa di John Carpenter e appunto di E.T. L’extra-terrestre. Se i primi due si rivelano nella sostanza degli insuccessi commerciali, l’ultimo diventerà il più grande incasso della storia del cinema sino a quel momento. Spielberg si rivelò ancora una volta il più bravo a cogliere il sentimento del pubblico che stava cambiando. Volge ancora gli occhi al cielo e così come in Incontri ravvicinati del Terzo Tipo non coglie una minaccia ma l’opportunità di una nuova esperienza formativa.
Lo straordinario e il sense of wonder si trovano in scenari domestici e in ambienti familiari, lontano dalle grandi metropoli della New Hollywood, in quei paesi dove l’innocenza è ancora possibile. E.T racconta i bambini e i ragazzini degli anni ’80, li porta al centro della narrativa del cinema americano non facendo un film per loro ma su di loro. Un esempio che poi sarà seguito innumerevoli volte come con I Goonies, Gremlins (questi due prodotti dalla Amblin dello stesso Spielberg), Stand By Me o il cinema di John Hughes. Talmente forte dal diventare il paradigma riferimento anche per le narrazioni moderne come nel caso evidente di Stranger Things. Molto lo si deve alla perfetta creatura di Rambaldi e ancora una volta alla colonna sonora di John Williams. Però ciò che appare più evidente è la capacità di un autore in grado di interpretare la sensibilità comune e trasformarla in immagini in movimento.
6. Jurassic Park (1993)
Facciamo un salto in avanti e arriviamo al 1993. Spielberg viene da alcuni risultati altalenanti: gli anni ’80 li ha conclusi dirigendo il deludente Always e lo splendido terzo capitolo della saga di Indiana Jones. Con l’inizio del nuovo decennio ecco arrivare Hook – Capitano Uncino, mal accolto dalla critica e poco apprezzato dallo stesso regista, si rivela invece amato dal pubblico. Nello stesso periodo (1990) esce anche il romanzo Jurassic Park di Michael Crichton, di cui Spielberg acquista i diritti ancor prima della pubblicazione per dirigerne l’adattamento. I toni più cupi e i tecnicismi del libro vengono smussati per ottenere un materiale più accessibile per lo spettatore.
Nonostante questo è facile riscontrare in Jurassic Park tutto un discorso legato all’etica e alla natura nel mondo occidentale, senza mai perdere di vista la struttura da giro di giostra propria del parco di divertimento spielberghiano. Ma non possiamo parlare del film senza soffermarci sull’aspetto visivo e sull’esperienza che il lungometraggio regala allo spettatore. Il titolo è pensato e studiato per essere tecnicamente innovativo, uno step forward degli effetti digitali. Insieme a James Cameron con il precedente The Abyss e il successivo Terminator 2, setteranno negli anni ’90 un nuovo standard visivo per quanto riguarda il blockbuster americano.
Ma Jurassic Park è ancora di più un film sul metacinema, forse il più grande. Lo è senza urlare, senza rottura della quarta parete e senza particolari ammiccamenti. Guardandolo lo spettatore entra nel parco insieme ad Alan, Ian ed Ellie. Si spaventa, si diverte e si stupisce con loro. Nel primo incontro in pianura la Spielberg Face anticipa la reazione di ogni spettatore a quel momento, divenendo per un attimo un film totalmente in soggettiva. In quell’istante i dinosauri di Jurassic Park sfondarono l’immaginario collettivo e ancora oggi a trent’anni di distanza li immaginiamo così.
7. Schindler’s List (1993)
Schindler’s List arriva soli cinque mesi dopo Jurassic Park, con una parte della lavorazione che è stata in sostanza contemporanea. È il terzo approccio di Spielberg alla Storia e al racconto dell’umano attraverso essa (i primi due erano stati Il Colore Viola e L’impero del Sole). Questo è anche il film con cui il regista fa definitivamente pace con quell’Academy che fino a quel momento lo aveva snobbato, aggiudicandosi 7 statuette tra cui quella come Miglior Regista.
Parlare di Schindler’s List è particolarmente difficile. Oggi rappresenta il classico titolo intoccabile della storia del cinema, un’opera fatta vedere nelle scuole e mandata in onda ogni 27 gennaio. Quando uscì all’epoca le cose però erano molto diverse. Per dare l’idea di quanto nel 1993 non fosse scontato dirigere un film del genere, basti pensare che l’istituzione del Giorno della Memoria risale al 2005, ben dodici anni dopo. Spielberg arriva e affronta un tema che il cinema aveva toccato, come nel caso dell’italiano Kapò, ma a cui Hollywood cercava di stare lontano. Lo fa con un’opera filmicamente impeccabile, dove tutto il peso della responsabilità viene adagiato sul potere narrativo delle immagini. Schindler’s List è insieme a Munich il film più ricco di virtuosismi del regista e non è un caso che proprio con questo titolo inizia la collaborazione con il direttore della fotografia Janus Kaminski, con il quale realizzerà ogni opera successiva.
Un punto di svolta per la sua carriera sia per quanto riguarda il suo rapporto con l’Academy che per quello che concerne il suo modo di narrare. Dal 1993 in poi le definizioni classiche dello Spielberg legato all’intrattenimento e alla messa in scena e dello Spielberg autore non saranno praticamente più scindibili. Ma Schindler’s List rappresenta anche un punto di svolta nel rapporto tra Hollywood e con essa il cinema per le masse con la Shoah. È da qua che il tema viene, più o meno giustamente in base alle interpretazioni, sdoganato. È stato ancora una volta lui a dettare il passo.
8. Salvate il Soldato Ryan (1998)
Nel lasso di tempo che separa questo film da Schindler’s List, Spielberg ha lavorato ad Amistad ed al sequel di Jurassic Park, in entrambi i casi ottenendo risultati non esaltanti. Con Salvate il Soldato Ryan torna per l’ultima volta nel periodo della Seconda Guerra Mondiale e realizza così il suo primo film bellico che gli varrà il secondo Oscar come Miglior Regista. Sin dalla sua uscita la critica ha sottolineato con curiosa costanza una spaccatura netta all’interno del titolo: da una parte la sequenza dello sbarco in Normandia e dall’altra il resto del lungometraggio. Ciò che però è stato poco esaltato è il legame che esiste tra queste due elementi dello stesso insieme e cioè il tema anti-militarista della brutalità della guerra.
Perché se è vero che con lo scorrere dei minuti traspare un’eccessiva ridondanza retorica dalla narrazione, è altrettanto vero che a non mancare mai è lo sguardo verso la distruzione e la morte come conseguenze del conflitto. Ed è proprio questo tema centrale a dare ancora più risalto alla sequenza iniziale, dove ogni artificio narrativo è sospeso a favore della messa in scena. I primi 25 minuti di Salvate il Soldato Ryan sono un termine di paragone mai superato, né prima né dopo, per ogni sequenza bellica della storia del cinema e rappresentano anche l’esaltazione massima e il punto di accesso al tema che Spielberg vuole sviluppare in tutta l’opera. Risulta poi naturale il parallelismo con il precedente Schindler’s List. Perché se nel film sulla Shoah il concetto verteva sull’importanza di salvare anche solo una vita, nella missione guidata dal Capitano Miller Spielberg porta lo spettatore a ribaltare la prospettiva e a domandarsi l’esatto contrario: una sola vita vale il sacrificio di altri esseri umani?
9. Munich (2005)
Munich è tratto dal libro-inchiesta Vendetta di George Jonas che narra della clandestina “Operazione Ira di Dio” messa in piedi dal Mossad e dal Governo israeliano a seguito dell’attentato palestinese alle Olimpiadi di Monaco 1972. Ad adattare la sceneggiatura c’è il premio Pulitzer Tony Kushner che collaborerà nuovamente con il regista in Lincoln (2012) e in West Side Story (2021). Munich rappresenta ancora oggi, a distanza di 16 anni dall’uscita, il film più controverso dell’intera filmografia spielberghiana. Citando la recensione che Roger Ebert scrisse all’epoca “Spielberg non doveva realizzare Munich ma ne aveva bisogno”.
Per avere più chiaro il contesto occorre rendersi conto che all’epoca (e probabilmente tutt’oggi) il regista rappresentava la figura di origine ebraiche più di spicco nel mondo del cinema: non solo aveva realizzato Schindler’s List ma successivamente aveva dato vita alla prima e più importante Shoah Foundation al mondo. E con un film come Munich, uscito nel 2005 e quindi dopo l’attacco dell’11 settembre, si poneva esattamente nel mezzo al conflitto israelo-palestinese, senza una presa di posizione definita e anzi puntando non velatamente il dito verso tutta l’Operazione Ira di Dio. Ovviamente le reazioni furono le più disparate, alcune recensioni criticarono aspramente il film per aver messo sullo stesso piano il terrorismo palestinese con il contro-terrorismo israeliano. Mettendolo a confronto con i precedenti Schindler’s List e Salvate il Soldato Ryan è però intuibile come Munich rappresenti un proseguo e un’ulteriore elaborazione e mutazione delle tematiche precedentemente affrontate. Se come visto nel primo era presente la massima “chi salva una vita salva il mondo” e nel secondo la stessa era messa in dubbio, nel terzo sono definitivamente la morte e l’omicidio a prendere il sopravvento in una sorta di “togliere la vita è uccidere il mondo”. Il tutto in un’opera che indaga a profondo anche sull’incontro/scontro tra individuo, collettività e Stato. Anche filmicamente siamo davanti a una delle opere più audaci della filmografia di Spielberg.
A partire dalla impressionate scena d’apertura dove l’attentato di Monaco viene rappresentato con una alternanza tra immagini di repertorio e scene girate, in una ulteriore dimostrazione di come il cinema possa penetrare la Storia. Tutto il proseguo è un thriller ricco di suspence e di un’inedita violenza, con ovvie componenti da spy story anni ’70, a cui però l’impressionante fotografia del sodale Kaminski dona delle tinte noir impeccabili. Infine due parole su quell’ultima inquadratura. L’attentato di Monaco fu il primo vero evento di questo tipo ad avere una copertura mediatica mondiale e non è un caso che l’ultima inquadratura di Munich vada a indugiare su quelle Torri Gemelle simbolo di una storia che si ripete (nelle sue azioni e reazioni). Una scelta che solo Steven Spielberg poteva permettersi.
10. Le Avventure di Tin Tin – Il segreto dell’Unicorno (2011)
La passione di Spielberg per il lavoro di Hergé nasce dopo l’uscita de I Predatori dell’Arca Perduta quando lesse una recensione che andava a paragonare i due protagonisti. Dopo la morte dell’autore, con la Amblin decise di acquistare i diritti per una trasposizione ma la lavorazione si fece lunga e incerta. Almeno finché non venne l’idea di realizzare il film in motion capture, con il successivo ingresso nello sviluppo della Weta Digital di Peter Jackson, con il regista de Il Signore degli Anelli anche in veste di co-produttore e regista del sequel (i progetti iniziali prevedevano una trilogia) annunciato all’epoca ma ancora non realizzato.
In Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno Spielberg si appoggia al suo protagonista esattamente come se fosse Indiana Jones (ovvero il suo personaggio preferito) mettendo in piedi quello che a tutti gli effetti potrebbe essere considerato un capitolo della saga dell’archeologo. Guardandolo sembra proprio che il regista trovi nel protagonista animato il sostituto perfetto del personaggio di Ford in un’ideale passaggio di consegne che non si era compiuto in Indiana Jones e il regno del Teschio di Cristallo. L’avere a disposizione un “nuovo Indiana” e le possibilità offerte dal mondo animato permettono a Spielberg di andare totalmente a briglia sciolta. Il plausibile è ben presto abbandonato a favore di una messa in scena impressionante che a tratti pare come un’unica lunga sequenza action.
Ancora una volta Spielberg dimostra, cambiando genere e approcciandosi a tecniche e tecnologie nuove per lui, che il suo sguardo e il suo modo di sfruttare spazio e tempo ai fini narrativi sono un tratto distintivo e inimitabile.
Perché se il cinema è il racconto di una storia attraverso le immagini, allora semplicemente Steven Spielberg non ha eguali.