Il jazz e il sud. Un cast foltissimo in cui troneggia Pupi Avati. La cultura oltre il degrado. Stolen Moments è una produzione davvero curiosa: una docu-fiction, per gli amanti del genere. Veri attori, finte interviste sulla scia del mockumentary, tutto a seguire Sabino e la sua passione – un giovane pugliese che decide di cambiare vita insieme agli affetti di sempre, trasferendosi a Torino per aprire un jazz club in un ex capannone abbandonato e destinato anni prima alle famiglie di emigrati del Sud.

Un passato da riscattare, la determinazione e le idee che aprono le strade a nuovi mondi. Appartenenza è una parola (uno spirito) fondamentale per Stefano Landini, il regista e la mente dietro l’opera prodotta da LCN in collaborazione con Rio Film, Bronx Film e l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico. Stolen Moments è sperimentazione vera e al contempo sfida sentita; un’opera che l’autore ha voluto presentare ai microfoni di ScreenWorld.

Da dove nasce l’idea di raccontare questa storia scegliendo un linguaggio tra doc e fiction?

L’ho sempre considerato un genere nuovo e territorio di sperimentazione molto efficace, i titoli ormai sono tanti. Per quanto riguarda Stolen Moments, nello specifico, stavo realizzando Cocktail Bar insieme al compianto Toni Lama: la storia del Music Inn, storico club di jazz degli anni settanta. Ho pensato che trasportando la vicenda, che si svolgeva negli stessi anni, in un contesto diverso come il Mezzogiorno d’Italia, come si sarebbe detto all‘epoca, sarebbero venute fuori molte cose inaspettate. E così è stato.

Sabino rappresenta una realtà sottile e delicata: perché la musica e perché gli anni ’70?

Il jazz, spesso costruito su degli standard precostituiti dove le sue componenti (armonia, ritmo, melodia) lasciano spazio a un’improvvisazione basata su regole ferree ma che allo stesso tempo permette alla creatività di dominare, mi ha sempre affascinato. Costruire storie su cui realizzare dei film diversi tra loro (documentari, finzione) su questo universo aderiva evidentemente a questa mia esigenza. Ho scoperto che purtroppo, negli anni 70, a Torino venivano utilizzati dei capannoni per “alloggiare” gli operai del sud italia, in condizioni igieniche e sanitarie impossibili. Il nostro protagonista, senza volerlo, si ritrova a salvare da questo destino una famiglia.

Stolen Moments è soprattutto un esperimento comunicativo. Come è nata la scelta del suo narratore?

Pupi Avati, grande appassionato di jazz, era la persona più indicata per fare da testimonial e narratore: il ruolo perfetto per confondere le acque e far sì che ci si chiedesse se Sabino sia esistito o meno.

Viste le scelte di regia, credete ci sia più verità o finzione da raccontare nel mondo di oggi?

Credo personalmente che si debba guardare più alla realtà che alla finzione – e il momento d’oro che sta vivendo il Cinema del Reale lo dimostra. Non c’è bisogno di grandi budget, ma di guardare il mondo con onestà e umiltà.

Condividi.

Classe '94. Critico e copywriter di professione, creator per passione. Ha scritto e collaborato per diverse realtà di settore (FilmPost.it, Everyeye) con la speranza di raccontare il Cinema e la cultura pop per il resto della sua vita.