Basato sul racconto di Stephen King The Body (sottotitolato Fall from Innocence) dalla raccolta Different Seasons, Stand By Me è giustamente considerato dalla maggior parte delle persone (e dallo stesso King) uno dei migliori adattamenti della sua opera. È un classico consacrato dal tempo, un film che celebra l’infanzia, ne piange la caducità e riconosce l’oscurità che si nasconde ai margini. Rob Reiner affronta il materiale con grande affetto e fascino, trasformando senza paura il testo di King quando necessario, ma senza mai perdere la caratterizzazione o la risonanza della storia. Stand By Me non è un film horror in senso stretto, ma piuttosto un dramma di formazione, ma una delle emozioni che definiscono la storia resta comunque quella della paura.

Il film inizia con un narratore che racconta una storia, ricordando un evento passato: si tratta di quella fase della vita in cui ci si sente alla fine della propria infanzia, pronti/e a diventare giovani adulti/e. Il film narra l’ultima avventura vissuta senza fermarsi a pensare ai rischi e ai pericoli, con il solo desiderio ardente di viverla.

I veri mostri

Una scena di Stand by Me – © Columbia Pictures

Per Gordie si tratta della paura di vivere senza suo fratello, di non sentirsi mai all’altezza dei suoi successi agli occhi dei suoi genitori ormai lontani. Per Chris è quella di non avere mai l’opportunità di scrollarsi di dosso la reputazione della sua famiglia. Vern ha paura di non adattarsi, di essere il bersaglio degli scherzi di tutti, mentre Teddy è rovinato dalle cicatrici emotive di suo padre e dalla prospettiva di ereditare la sua follia. L’orrore non deriva dai mostri, ma dai demoni della vita reale che minacciano di far deragliare i ragazzi a ogni svolta.

Il successo del film poggia sul fatto che Reiner tratta questi personaggi e le loro rispettive ansie con il massimo rispetto. Non c’è condiscendenza, ma compassione mentre osserviamo questi ragazzi lottare con idee che sono forse ancora troppo grandi per essere pienamente comprese da loro. Gordie, in particolare, deve fare i conti con il fatto che i suoi genitori sono troppo consumati dal dolore; Chris riconosce che tutti intorno a lui lo sottovalutano ed è combattuto tra la lotta per dimostrare che si sbagliano o semplicemente accettare quello che sembra essere il suo destino. I quattro giovani attori avrebbero ciascuno raggiunto diversi livelli di successo, ma qui ognuno di loro brilla grazie a una chimica così forte da farli sembrare veri amici cresciuti insieme.

È fondamentale anche che ci sia una tensione silenziosa nella loro amicizia, la sensazione che essa si basi sulla vicinanza piuttosto che sull’affinità. Quando Gordie da grande (Richard Dreyfuss) racconta il destino dei suoi tre amici alla fine del film, scopriamo che il gruppo si è sfaldato: Gordie continua a scrivere e a sfuggire all’ombra del fratello, mentre Chris diventa avvocato e si lascia alle spalle la famiglia.

Tra mito e realtà

Una scena di Stand by Me – © Columbia Pictures

Reiner inserisce una differenza cruciale rispetto alla storia di King – dove Vern, Teddy e Chris muoiono tutti giovani. Nel film, ciò accade solamente a Chris. È un finale reso ancora più toccante dalla tragedia della morte prematura di River Phoenix e serve come duro promemoria che la vita può essere crudele. Questo è il meraviglioso scontro al centro di Stand By Me: il mito dell’infanzia idilliaca che i ragazzi desiderano e la dura realtà che continua a comprometterla. Il senso di perdita oscura la storia, che si tratti della prospettiva di perdere la loro giovinezza a favore dell’età adulta, le loro famiglie a causa del dolore o dell’alcolismo – persino il semplice trionfo di aver trovato per primi il corpo.

Il corpo stesso diventa il luogo di questa tensione tra mito e realtà. Man mano che si avvicinano al ritrovamento, il peso di ciò che stanno facendo si fa sentire. Non è difficile cogliere l’allegoria del film e capire che il cammino che i quattro protagonisti devono intraprendere, con tutti i suoi ostacoli, non è altro che un passaggio dalla fanciullezza all’età adulta. Il laghetto pieno di sanguisughe o il rischio di finire schiacciati sotto un treno, evitato solo per un pelo, rappresentano gli ostacoli della crescita e del raggiungimento di quella consapevolezza che dovrebbe essere tipica dell’età adulta.

Stand By Me è ambientato negli anni ’50, perciò gli/le adolescenti della storia e quelli/e contemporanei/e sono evidentemente differenti. Tuttavia, in entrambi i casi si sperimentano la confusione tipica della pubertà e l’importanza delle amicizie nelle nostre vite, che Stand By Me presenta come qualcosa di universale e senza tempo. Questo è un film molto diverso dalla maggior parte delle trasposizioni dei romanzi di Stephen King: la commedia dark, il mistero, il gore e l’atmosfera cupa vengono sostituiti dai ricordi nostalgici dell’infanzia del romanziere, raccontati attraverso la regia esperta di Reiner.

I protagonisti e i loro demoni

Una scena di Stand by Me – © Columbia Pictures

Tutti e quattro i ragazzi vivono i loro conflitti: il fratello di Gordie è morto in un incidente d’auto qualche mese prima, Chris e Teddy hanno entrambi vite precarie a casa, Vern ha perso i suoi penny e il suo pettine. Impariamo a conoscerli intimamente, proprio come loro fanno l’uno con l’altro. Li vediamo anche trovare conforto reciproco. La loro amicizia è una via di fuga dalla loro infanzia altrimenti profondamente difficile: diventa un posto sicuro, protetto dall’accettazione e dall’empatia, in cui approdare.

Alla fine del film non sappiamo ancora molto di Gordie adulto, a parte che è uno scrittore, che ha un figlio e che si rammarica di aver perso le tracce di quegli amici. Ma è tutto ciò che dobbiamo sapere: Stand By Me rimarrà per sempre un promemoria di quanto siano essenziali gli amici a quell’età. Forse da adulti non si ha più tempo per escursioni lunghe un fine settimana alla ricerca di un cadavere, ma c’è sempre tempo per rimanere in contatto.

Il ragazzo era morto

Una scena di Stand by Me – © Columbia Pictures

In tutte le sitcom più popolari, le amicizie raggiungono una fase di allontanamento: Marshall e Lily in How I Met Your Mother hanno avuto un bambino e la loro amicizia con Ted e Barney è finita; in Friends Chandler sposa Monica e viene trasferito a Tulsa. Se gli incontri regolari in quel bar o caffè in fondo all’appartamento non sono realistici, questa parte della sitcom lo è profondamente. Il tema che emerge è proprio quello del senso di perdita.

Dal film

“Il treno aveva fatto cadere Ray Brower dalle sue Keds proprio come aveva fatto cadere la vita dal suo corpo. Il ragazzo non era malato. Non stava dormendo. Il ragazzo era morto”.

Ray Brower, sebbene non sia un personaggio importante della storia, è un punto di riferimento per il mistero della morte. Per Gordon, questa è la sua possibilità di venire a patti con la morte del fratello; per gli altri ragazzi è un modo per dimostrare il loro valore alla città. Trovare Ray Brower significa dimostrare che hanno uno scopo, che contano. Questa è la loro possibilità di essere gli eroi della, invece che i “perdenti” della città, ed è proprio ciò che succederà – anche se non nel modo previsto.

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Ilaria Franciotti ha conseguito la laurea triennale in DAMS, la laurea magistrale in Cinema, televisione, produzione multimediale e il master in Studi e politiche di genere all’Università degli Studi Roma Tre. Si occupa di narratologia e drammaturgia del film, gender studies, horror studies, cinema e serie TV delle donne. Insegna analisi e storia del cinema e teoria e pratica della sceneggiatura. Ha collaborato con Segnocinema, è redattrice di Leggendaria e collaboratrice di The Post Internazionale, e ha scritto per diverse riviste di cinema (tra cui Marla e Nocturno). È autrice di Maleficent’s Journey (Il Glifo, Roma 2016), A Brave Journey. Il viaggio dell’Eroina nella narrazione cinematografica (Ledizioni, Milano 2021), ed è curatrice e coautrice di La voce liberata. Nove ritratti di femminilità negata (Chipiùneart, Roma 2021). Dal 2023 è curatrice del podcast Ilaria in Wonderland, interamente dedicato al cinema horror.