Gli Avengers seduti al tavolo di un fast food non hanno bisogno di parlare, mentre divorano il loro shawarma dopo la lunga ed estenuante battaglia di New York.
Ognuno perso nei suoi pensieri, lo sguardo nel vuoto, i respiri pesanti e i sospiri.
Sono stanchi.
Era il 2012 e quell’immagine torna a mostrarsi nella nostra testa dieci anni dopo, con una piccola differenza. Oggi siamo noi che sentiamo di aver preso il posto degli Avengers.
Perché – siamo onesti – al di là di tutto, di film e serie con supereroi come protagonisti ne abbiamo visti tanti in questi anni, forse persino troppi. Una cascata di titoli che per lungo tempo ci hanno fatto appassionare, ci hanno fatto divertire e, alla fine, ci hanno anche fatto strappare parecchi applausi. Ma si sa, dopo il più rumoroso degli applausi ci si aspetterebbe la calata del sipario.
Eppure, siamo ancora qui, ad applaudire sempre più stancamente, con sempre meno lucidità e sempre più fatica addosso, uno spettacolo che non accenna a diminuire, ma anzi, raddoppia, perdendo sempre più quella sensazione di evento speciale che ci accompagnava da tempo.
Già, il tempo: sono passati dieci anni dalla rivelazione di Avengers (il film che ha consacrato il progetto Marvel Cinematic Universe), dieci anni che adesso si sentono tutti. Forse perché siamo invecchiati noi, forse è cambiato il cinema, sicuramente è cambiato il mondo. Come dopo una lunga battaglia, come dopo aver corso troppo a lungo, come dopo esserci abbuffati senza sosta nel migliore dei ristoranti, ora vogliamo solamente riposarci.
Perché, forse sì, come gli Avengers dopo la battaglia di New York, siamo un po’ stanchi.
Il tempo per i supereroi
Il divertimento era preciso, cadenzato, ritmico. Due o tre film all’anno, nuovi capitoli di una saga che aveva una visione d’insieme e che uscivano con una chiarezza d’intenti precisa: arrivare a uno scontro finale tra gli Avengers e Thanos. Il cast era numeroso, ma ogni personaggio aveva il suo focus principale, la sua cifra stilistica (il thriller per Captain America, il fantasy spaziale per i Guardiani della Galassia, la commedia per Ant-Man, il fantastico psichedelico per Doctor Strange, il film adolescenziale per Spider-Man…) e persino la sua ragion d’essere all’interno di un macro-cosmo che avrebbe trovato la propria conclusione. E così è stato: gli anni Dieci del Duemila verranno ricordati come gli anni dell’Universo Condiviso della Marvel. Perché, ci piaccia o no, i Marvel Studios hanno inventato un modello produttivo senza precedenti e persino riuscito. Lo dimostrano gli incassi di ogni film, via via sempre più alti (sino ad arrivare a cifre incredibili, più di un miliardo di dollari per Captain Marvel, quasi tre per il gran finale di Avengers: Endgame), lo dimostra la critica che sembra apprezzare sempre più questo particolare progetto, lo dimostra l’attenzione dei vari talent, che non vedono l’ora di entrare a far parte dell’MCU. In maniera anche un po’ cinica, lo dimostrano i vari tentativi (mal riusciti) da parte di altri studios di emulare il successo dei Marvel Studios.
Negli ultimi due anni, però, con l’arrivo della Fase 4, qualcosa è cambiato, complice la piattaforma streaming Disney+. L’Universo Marvel ha abbracciato anche il mondo seriale televisivo, dando vita a diverse serie che dovevano, in qualche modo, sfruttare i personaggi secondari, espandere ancora di più la narrazione e sperimentare diversi linguaggi sia da un punto di vista narrativo (con l’arrivo del Multiverso) sia da un punto di vista stilistico (ovvero, osare qualcosa di diverso rispetto alle regole imposte dai film cinematografici). Forti del successo incredibile del finale della Saga dell’Infinito, i Marvel Studios hanno regalato ore e ore di contenuti, sempre più connessi tra loro, perdendo di vista quel ritmo preciso e cadenzato che rendeva ogni uscita speciale.
Nel 2021, a partire da gennaio, non c’è stato mese, tra film e serie, senza un prodotto Marvel da dover seguire (per un totale di 9 titoli e circa 40 ore di contenuti – le stesse che servono per vedere tutta la saga da Iron Man ad Avengers: Infinity War). La stessa cosa si è replicata da marzo a novembre 2022 (8 titoli per quasi 30 ore).
Se è vero che il tempo dei supereroi sembra ben lontano dal ritenersi concluso, diventa più difficile capire quanto sia ancora disponibile il nostro tempo per i supereroi.
I numeri che parlano
Poi ci sono i numeri, matematici, insindacabili, il nero su bianco da cui non si può fuggire. Gli incassi di questa Fase 4 sono stati sì alti, ma senza raggiungere i livelli della Fase precedente. Persino l’accoglienza critica è parsa talvolta più severa rispetto al passato. Un esempio lo possiamo trovare proprio nell’ultimo Black Panther: Wakanda Forever, film da cui ci si aspettava decisamente di più e che le premesse annunciavano come uno dei titoli più forti della stagione, tanto da poter replicare il successo del primo capitolo, soprattutto in ottica Oscar.
Invece, il film di Ryan Coogler accusa dal primo al secondo weekend un calo del 63% sugli incassi nel mercato americano (fonte: Boxofficemojo.com), ben lontano dal successo del predecessore e molto in linea con l’andamento degli ultimi film dei supereroi targati Marvel (stesso drop di Eternals, e comunque migliore rispetto al -67% di Doctor Strange nel Multiverso della Follia e Thor: Love and Thunder).
Certo, in mezzo c’è stata la pandemia che ha in qualche modo rotto un meccanismo funzionante, spezzando l’abitudine del pubblico a uscire di casa per andare al cinema e favorendo l’attesa dell’uscita del film sulle piattaforme streaming (in questo la finestra di circa 45-60 giorni per la distribuzione in digitale non ha aiutato per niente e, anzi, ha peggiorato la situazione) e pure l’assenza di mercati importanti come la Cina e la Russia. Rimane da chiedersi se queste performance un po’ deludenti siano conseguenze di fattori esterni o se, invece, la colpa non sia da imputare a una formula che, dopo dieci anni, inizia a risultare un po’ stantia. Anche perché altri (pochi, va detto) film hanno dimostrato che l’interesse di chiudersi in sala per vivere l’esperienza cinematografica in realtà c’è. Spider-Man: No Way Home è stato un incredibile successo tra il 2021 e il 2022, forse l’ultimo colpo di coda di un franchise che ha bisogno di rinnovarsi davvero.
La vera sorpresa dell’anno è che Top Gun: Maverick sia il film che ha incassato di più rispetto agli altri (e di gran lunga), un’opera che sembra appartenere a un cinema del passato, ma che, dopo dieci anni di egemonia targata cinecomics, appare una fresca novità.
Essere come i fumetti è un pregio?
I lettori di fumetti Marvel lo sanno bene: seguire tutto è questione di passione, ma soprattutto è impegnativo. Con un numerosissimo parco di testate in uscita ogni mese, la maggior parte dei lettori seleziona i personaggi preferiti o le serie del cuore, limitandosi a qualche acquisto in più solamente nel momento del crossover annuale, quello che è il grande evento che coinvolge tutti i supereroi. Sulla carta, la produzione Marvel Studios dovrebbe essere così: potremmo limitarci a guardare solo la macrotrama proveniente dai film, rivolgendoci alle serie solo per passione e completismo. Il concetto stesso del Multiverso dovrebbe essere un espediente narrativo per lasciare libertà maggiore allo spettatore, contento di poter seguire il tutto senza rischiare di perdersi qualcosa di eccessivamente importante ai fini della saga.
Invece, come ha dimostrato il collegamento tra WandaVision e Doctor Strange nel Multiverso della Follia, che rendeva il film parecchio incomprensibile senza aver visto la serie e senza essere a conoscenza dello sviluppo del personaggio di Wanda, questa libertà non avviene. Si è in qualche modo fortemente invitati a seguire tutto, rischiando quindi una saturazione generale (come ha rilevato un sondaggio a cura di Fandom, riportato da molte testate).
Il pubblico rischia di perdere l’entusiasmo e abbandonare la saga, già di per sé costretta ad affrontare un punto di non ritorno legato alla conclusione della Saga dell’Infinito. Nuovi personaggi, passaggi di testimone, un’apertura di un mondo che, però, al netto di alcuni fil rouge tematici, appare parecchio confuso e sin troppo continuamente introduttivo. Ecco dove i Marvel Studios sembrano arrancare: in due densissimi anni non hanno saputo far percepire una vera direzione, chiara e limpida, agli spettatori. Hanno sperimentato nei toni, in maniera limitata, e dato voce a diversi registi (Chloé Zhao, Sam Raimi, Taika Waititi, Ryan Coogler), ma senza costruire una vera tensione verso qualcosa. Un difetto che passa in secondo piano nell’ambito dei fumetti, ma che risulta dominante nelle opere audiovisive, dove si è abituati ad avere una visione precisa di quello che s’intende raccontare e di quello a cui si sta assistendo.
Lasciateci riposare
In quella scena post-credits del primo Avengers si respirava proprio quel desiderio da parte degli eroi di prendersi un momento di pausa. La stessa pausa che forse servirebbe anche a noi, eroi a nostra volta, per aver avuto fede in un progetto per tutto questo tempo. Se non fosse che in ballo, di questi tempi, c’è molto di più del semplice successo di un brand. Se i Marvel Studios dovessero limitarsi a produzioni sulla piattaforma di casa Disney quali film aiuterebbero davvero gli esercenti? Le sale si riempirebbero lo stesso o, salvo rarissimi casi, sarebbero destinate a staccare pochi biglietti a titolo? Il panorama sembra contraddittorio: c’è una grande voglia di cinema, dovuta a una fame che, però, si esaurisce in fretta (e non è un caso che tutti i blockbuster subiscano un calo notevole negli incassi dopo il primo weekend, quando gli interessati hanno già riempito le sale e sembra mancare un pubblico più generalista).
Una fame che ci rende dei Marvel Zombies, mangiatori per istinto e abitudine, conseguenza di una pandemia che sì, un po’ il gusto ce l’ha fatto perdere davvero. O forse non l’abbiamo mai perso, ed è il ristorante a non offrire più la stessa qualità di una volta (e i Marvel Studios farebbero bene a sistemare l’ingrediente principale degli effetti visivi se vogliono tornare a dare più sapore alle loro prelibatezze). Oppure, dopo un decennio passato a sederci al solito tavolo, abbiamo semplicemente voglia di cambiare menù.
A patto di rallentare un po’, distanti dalla frenesia che sembra essere padrona della nostra routine quotidiana. Perché si sa, non è tanto la bontà della pietanza, quanto il rischio di mangiare veloce e fare indigestione.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!