Non vola, ma per alcune persone è sempre lì: in alto. Irraggiungibile, fiero ed esemplare come un grande supereroe. Il primo che ogni figlio o figlia incontra sul suo cammino. È strano il destino dei padri: se rimangono in cielo fanno troppa ombra, ma se cadono o deludono faticano a rialzarsi. Lo sa bene Florian Zeller che torna ancora una volta a esplorare l’intricato regno degli affetti domestici appena due anni dopo lo splendido The Father.
Apriamo la nostra recensione di The Son rievocando subito la sorprendente opera prima di un drammaturgo diventato regista. Un precedente illustre e allo stesso tempo scomodo, proprio come i padri supereroi. Perché The Father aveva raccontato la malattia e la senilità fondendo dramma e thriller psicologico con una maestria invidiabile, e questo The Son (legato al suo predecessore fin dal titolo) accoglie la sua eredità con un grande peso sulle spalle. Una responsabilità che Zeller gestisce con grande naturalezza, attraverso un’opera più canonica e classica, ma non per questo meno dirompente dal punto di vista emotivo.
The Son
Genere: Drammatico
Durata: 124 minuti
Uscita: N.D.
Cast: Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby, Zen McGrath, Anthony Hopkins
La trama: tornare insieme
Rimaniamo nell’ombra dei padri e partiamo con un confronto. The Father era una storia in cui i ricordi scomparivano, si confondevano ed evaporavano poca per volta. Questa volta The Son, da buon figlio ribelle, fa l’esatto opposto: chiede al passato di tornare a galla. Succede a Peter, stimato manager fagocitato dal lavoro, alle prese con un secondo matrimonio e un secondo figlio. Una seconda chance interrotta dall’improvvisa richiesta d’aiuto del suo primo figlio, Nicholas, problematico e difficile da gestire. Peter è così costretto a togliersi la giacca dell’uomo di successo e a rimboccarsi le maniche come padre, dovendo così affrontare una serie di errori commessi in passato e a cui, forse, si può ancora porre rimedio. The Son è un lento sintonizzarsi su vecchie frequenze, una graduale e delicata ricomposizione di un rapporto padre-figlio in cui, però confluiscono troppe variabili. Perché Peter ha una nuova famiglia a cui badare, perché il tempo passato lontano da Nicholas lascia cicatrici, e soprattutto perché Peter, forse, ha ancora qualche fantasma nell’armadio.
Di padre in figlio
Un gomitolo difficile da sbrogliare. Così è il cuore familiare che batte nel petto di The Son. Un cuore malconcio, in cui gli affetti familiari camminano in un labile equilibrio tra speranza e sconforto, voglia di ricominciare e rancori troppo grandi da superare. Un film che assomiglia davvero una lunga sessione di psicoterapia in cui un padre e un figlio (e magari anche qualche spettatore) guardano in faccia le proprie fragilità. A livello drammaturgico Zeller è abilissimo nel tessere una tela in cui i rapporti sono sfumati, e le presunte gerarchie familiari sono pronte a cadere. Lo capiamo fin dal titolo, che si apre a una duplice chiave di lettura.
Perché il The Son al centro del film non è solo Nicholas, anima in pena da decifrare, ma anche Peter stesso. Un uomo che rivede nel rapporto con suo figlio il figlio che è stato, il padre che non ha avuto e (soprattutto) quello che non riesce a essere. Un gioco di proiezioni perenne che coinvolge, avvolge e soprattutto mantiene un livello di tensione costante che angoscia. Un gioco pericoloso in cui Peter (un riflessivo e imploso Hugh Jackman) e Nicholas (un sorprendente Zen McGrath) camminano tutto il tempo mano nella mano, provando a riconciliare l’inconciliabile, scrutando in due abissi diversi. Col padre alle prese con un passato pieno di rimpianti, e figlio spaventato da un futuro difficile da immaginare.
Il dolore che unisce
Si sente l’odore del palcoscenico nelle case di The Son. Meno claustrofobico e sofisticato nella messa in scena di The Father (maledetti confronti!), ma sempre molto teatrale nella ricorrenza degli spazi domestici e nella rinuncia degli spazi aperti (che non a caso vengono confinati nei ricordi). È ancora una volta questione di divani su cui parlare, di soggiorni dove fare i conti, di stanze in cui chiudersi per confrontarsi davvero. Zeller si conferma un regista bravissimo nel far parlare gli ambienti attraverso l’arredamento, ma è anche un autore attento ai corpi in scena, ai loro movimenti, ai gesti e al non detto. In questo senso la scelta di un ispirato Hugh Jackman nel ruolo del protagonista è molto intelligente e significativa. Perché il corpo di Jackman, possente e carismatico nel rubare sempre la scena, è accentratore proprio come Peter. Un uomo sempre al centro del suo mondo. Un mondo razionale, fatto di risposte semplici a problemi complessi. Un corpo che è, in passato, supereroico lo è stato per davvero, e come tale viene visto da un figlio schiacciato dalla sua ombra.
Nonostante qualche passaggio troppo didascalico, in cui i personaggi sottolineano a parole cose che si capiscono benissimo anche senza parlare, The Son emoziona e scuote con un film drammatico dall’inizio alla fine. Un’opera in cui è facile rispecchiarsi e spaventarsi. Un’opera sicuramente meno esaltante di The Father, ma che (proprio come The Father) prende atto di una scomoda verità. Perché laddove l’amore finisce e si spegne, a volte non c’è collante migliore del dolore per tornare a sentirsi una famiglia.
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La recensione in breve
Dopo The Father Florian Zeller si inserisce di nuovo nelle ferite aperte di un dramma familiare pieno di angoscia. The Son ci fa vivere un complesso rapporto padre-figlio in cui passato e futuro sono posti scomodi da immaginare.
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Voto ScreenWorld