La gioventù di Steven Spielberg è sempre stata una delle grandi chiavi di lettura del suo cinema, in particolare per quanto riguarda il nucleo famigliare fatto a pezzi: abbondano, nei suoi film, le coppie divorziate, spesso con la figura paterna rappresentata in termini più negativi, ma non troppo (basti pensare che fu lo stesso regista a insistere perché, in Prova a prendermi, Frank Abagnale Jr. continuasse a interagire con Frank Sr. laddove nella realtà avevano già tagliato i ponti).
Per Spielberg la settima arte è, da sempre, una questione profondamente personale, e lo esibisce esplicitamente nel suo trentaquattresimo lungometraggio, presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival (la prima volta in assoluto per il cineasta, che in passato ha frequentato kermesse come Cannes e Venezia). In questa recensione di The Fabelmans vi parleremo di quest’opera monumentale ed estremamente autobiografica.
The Fabelmans
Genere: Drammatico
Durata: 152 minuti
Uscita: 15 dicembre 2022 (Cinema)
Cast: Paul Dano, Michelle Williams, Mateo Zoryna Francis-Deford, Gabriel LaBelle
La trama: volle, sempre volle et fortissimamente volle fare il cineasta
The Fabelmans è la storia di Sammy Fabelman (interpretato da Mateo Zoryna Francis-Deford da bambino e Gabriel LaBelle da adolescente), un ragazzo ebreo del New Jersey. Una sera, nel 1952, i genitori (Michelle Williams e Paul Dano) lo portano al cinema per la prima volta, a vedere Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille. Il giovane Sammy rimane impressionato, e con la sua prima cinepresa decide di ricreare la sequenza che lo ha colpito di più.
Da lì nasce una passione inscalfibile per le immagini in movimento, messa a dura prova dai continui traslochi legati al lavoro del padre, tecnico informatico che non ha parole particolarmente lusinghiere per le ambizioni artistiche del figlio (mentre la madre, pianista, lo sostiene senza esitazione). Nel corso degli anni continua a girare con le sorelle e gli amici, nella speranza di arrivare, un giorno, al tanto agognato traguardo di Hollywood.
La sceneggiatura: incontri ravvicinati dell’autobiografico tipo
È la terza volta, dopo Incontri ravvicinati del terzo tipo e A.I. – Intelligenza artificiale che Steven Spielberg firma la sceneggiatura di uno dei suoi film (insieme a Tony Kushner, che per lui ha scritto i copioni di Munich e West Side Story). Un trittico ideale sulla famiglia secondo il regista, ma anche l’evoluzione massima della sua poetica: nel 1977, al terzo lungometraggio, dimostrava già di sapere combinare in modo magistrale lo spettacolare e l’intimo (memorabile la sua partecipazione, anni dopo, al programma televisivo Inside the Actors Studio, dove si rese conto durante l’intervista che il finale del film era il perfetto duplice omaggio alle professioni dei suoi genitori); nel 2001, complice il fantasma di Stanley Kubrick, quella visione veniva rielaborata in chiave un po’ più cupa; e nel 2022, dopo cinque decenni dietro la macchina da presa, si torna indietro, per esplorare l’origine di quel rapporto duraturo con il potere suggestivo della settima arte e del connubio tra epico e personale.
La carriera di Steven Spielberg in 152 minuti
The Fabelmans è un film che guarda al passato, al presente e al futuro, fin dai titoli di testa dove il logo della Universal si fonde con quello della Amblin, con E.T. e l’amico Elliott in bicicletta. È l’omaggio più esplicito alla filmografia di Steven Spielberg, che altrove inserisce piccoli rimandi senza pigiare troppo sul tasto della nostalgia (una spiaggia fa pensare a Lo squalo, una sequenza con i boy-scout al prologo di Indiana Jones e l’ultima crociata), concedendosi anche una piccola strizzatina d’occhio alla sua eredità cinematografica regalando un delizioso cameo a Greg Grunberg, migliore amico e attore-feticcio di un certo J.J. Abrams.
Una raccolta indelebile di immagini, a firma del direttore della fotografia Janusz Kaminski, che ricordano come, in un modo o nell’altro, la vita privata di Spielberg sia sempre stata uno degli ingredienti fondamentali della sua opera per il grande schermo, anche se il film stesso ironizza sulla questione in uno dei suoi momenti più belli, facendo dire a un personaggio “La vita non è come il cinema” proprio mentre le due cose si incontrano/scontrano al massimo.
Emozione al massimo
In ambito critico, soprattutto negli Stati Uniti, c’è inizialmente stato un atteggiamento abbastanza ostile nei confronti di Spielberg quando decise di darsi a opere più “serie”, a cominciare da Il colore viola, come se il suo talento fosse da relegare al cinema di puro intrattenimento. Una linea di pensiero che dimostrava di non aver capito un ingrediente fondamentale della poetica del cineasta, che anche – anzi, soprattutto – nei suoi blockbuster metteva in evidenza una grande maturità emotiva, che sicuramente contribuì alle nomination agli Oscar nelle categorie maggiori per film come I predatori dell’arca perduta e Lo squalo.
In tal senso, The Fabelmans è il connubio perfetto delle due anime di Spielberg, che firma a quattro mani il copione con l’autore del suo film più adulto e disperato, Munich, unendo quindi l’innocenza dell’infanzia e l’amara consapevolezza dell’età matura. Un’immagine speculare di Ready Player One, uscito nel 2018: lì si rifletteva sull’impatto che il cinema spielberghiano ha avuto sull’immaginario collettivo, in un ambito distopico basato sulla nostalgia, mentre qui si tratta della nascita artistica di un grande cineasta. Un autore dal talento tecnico sopraffino, ma che non ha mai dimenticato di essere anche un entertainer, e forse anche per questo al suo alter ego ha dato il cognome Fabelman, l’uomo delle favole.
Musica, maestro
Alla prima a Toronto il regista ha sottolineato che non bisogna leggere questo suo trentaquattresimo lungometraggio come un film-testamento, perché lui non ha alcuna intenzione di ritirarsi dal cinema. Eppure, c’è un che di malinconico e quasi crepuscolare in alcuni dettagli tecnici, dal montatore Michael Kahn che, come per West Side Story, si fa affiancare dalla collega Sarah Broshar (lasciando intendere che un passaggio di consegne per sopraggiunti limiti d’età sia dietro l’angolo), all’indispensabile contributo musicale di John Williams che ha recentemente dichiarato di volersi lasciare alle spalle il cinema a partire dal 2023 (quando uscirà il quinto Indiana Jones). Da quel punto di vista, ogni volta che le note del grande compositore arricchiscono la carica emotiva delle sequenze del film, si ha veramente l’impressione di assistere alla fine di un’era, la conclusione di uno dei sodalizi più importanti della storia di Hollywood. Una conclusione particolarmente azzeccata, poiché i due amici tornano alle origini, all’inizio di un percorso riassunto nei primi minuti della pellicola dalla signora Fabelman: “I film sono sogni che non dimentichi mai.” E se questa sarà veramente l’ultima volta che Spielberg e Williams ci faranno sognare insieme, non poteva esserci un’occasione migliore.
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La recensione in breve
Steven Spielberg colpisce al cuore con The Fabelmans: un film che è una riflessione, di ispirazione autobiografica, sulla famiglia e sul cinema. Un'epopea spettacolare e struggente che consigliamo di vedere.
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Voto ScreenWorld