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    Home » Cinema » Ultime recensioni cinema » The Beast, recensione: Bonello si fa in tre

    The Beast, recensione: Bonello si fa in tre

    La recensione di The Beast (La bête), nuovo film di Bertrand Bonello presentato in concorso all'Ottantesima Mostra del Cinema di Venezia.
    Claudio GarganoDi Claudio Gargano7 Settembre 2023Aggiornato:8 Settembre 2023
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    La bète 1
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    Gabrielle sta recitando una parte in un thriller davanti ad un green screen. L’ambiente, così come tutto ciò che le accade, viene descritto dalla voce del regista: la cucina, il tavolo, il coltello di cui si appropria e, soprattutto, la Bestia, qualcuno o qualcosa che la minaccia da vicino. L’attrice reagisce a tono alla scena, finché all’improvviso tutta l’immagine ‘glitcha’, ovvero si scompone in miriadi di pixel infinitesimali che ne rivelano la composizione totalmente artificiale. Su questo nulla pixeloso, rimasto dalla disgregazione dell’immagine precedente, compare il titolo del nuovo film di Betrand Bonello, in concorso all’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia. Commistione di generi (dramma in costume, thriller e fantascienza), sottotesto esoterico sulla vita e la morte, nonché riflessione sullo statuto ontologico delle immagini, sono i numerosi e impegnativi temi sul piatto dell’ultima fatica del poliedrico autore di Nocturama e Zombi Child, di cui parleremo in questa nostra recensione di The Beast.

    The Beast

    Genere: Drammatico/Fantascienza/Thriller
    Durata: 146 minuti
    Uscita: 3 Settembre 2023 (Festival di Venezia)

    Regia: Bertrand Bonello
    Cast: Lèa Seydoux, George MacKay, Poupèe Kelly

    Fuga nel tempo

    La bète

    In un 2044 dominato dalle Intelligenze Artificiali è impossibile trovare un lavoro di responsabilità se non si rinuncia alle emozioni, maggiore fonte di errori quando si è sotto stress. Per raggiungere quest’obiettivo è necessario sottoporsi ad un processo artificiale che permette di rivivere le vite passate e “ripulire” così il proprio DNA, distaccandosi dunque dalle emozioni che ci legano, facendoci soffrire, alle persone e alle cose, casualmente in conformità ai concetti della filosofia buddista. Gabrielle (Léa Seydoux che riempie lo schermo ad ogni fotogramma), giovane donna impelagata in un lavoro di ruotine che odia, si sottopone suo malgrado al processo e rivive due esistenze passate, in particolare una ambientata nel 1910 e un’altra nel 2014. In ognuna di queste incontra Louis (George MacKay), grande amore karmico della sua anima, che si trascina di vita in vita con esiti spesso drammatici. Fino al presente in cui pure lo incontrerà. Ci sarà finalmente un lieto fine?

    L’assunto esoterico

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    La regressione alle vite passate a scopo ripulitura del DNA, per chi ci crede, è una pratica esoterica antichissima, praticata da sciamani e uomini-medicina di diverse culture. Per ripulitura del DNA si può intendere una sorta di reset karmico dei debiti che si sono accumulati nelle vite passate, concetto quest’ultimo molto vicino al buddismo, che vede nel distacco dalle emozioni la fine della sofferenza umana. Mentre però nel buddismo tale distacco non vuol dire fine dell’empatia nei confronti dei propri simili, bensì una consapevolezza maggiore che porta a comprendere meglio il comportamento irrazionale ed eventualmente malvagio dei propri simili, arrivando ad una maggior compassione nei loro confronti, invece il processo indotto dalle IA del film di Bonello porta le persone ad una vera e propria insensibilità e mancanza di empatia nei confronti del prossimo. La distopia più completa si realizza dunque nel futuro immaginato da Bonello, dove i nostri più oscuri incubi riguardo le Intelligenze Artificiali di cui tanto si parla oggi, diventano reali. Il 2044 immaginato da Bonello è esteriormente simile al nostro ma le strade delle città sono vuote e desolate e i pochi individui circolano con una sorta di maschera anti-gas sul volto. Ci si incontra tra l’altro solo nei locali notturni.

    Commistione di generi

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    Bonello non è nuovo all’utilizzo del genere per esprimere la propria visione del mondo e in The Beast assistiamo ad una originale e spiazzante mistura di generi eterogenei. Il dramma in costume che si svolge in una Parigi del 1910 minacciata dall’esondazione della Senna sembra uno di quei film calligrafici in cui gli autori tormentano giovani fanciulle di famiglie agiate, strette nei loro oppressivi corsetti, con l’eterno dilemma che vede la coscienza borghese dell’epoca dibattersi tra la ragione e il sentimento, giusto per fare una citazione. Poi abbiamo il thriller di ambientazione contemporanea in cui Gabrielle è una giovane attrice di commercial e film a basso costo: da questo frammento temporale proviene l’incipit di The Beast.

    In questo contesto si aggira un personaggio inquietante, un ragazzo costantemente rifiutato dal gentil sesso, che sfoga la sua frustrazione nei video in rete, pronto a commettere atti violenti, ispirato all’autore del massacro di Isla Vista, avvenuto nel 2014. Scottante attualità dunque per il frammento contemporaneo. Per il presente della storia, ovvero il 2044, come accennato, ci troviamo invece in piena distopia fantascientifica, ispirata, tanto per cambiare, alla narrativa di Philip K. Dick.

    Riflessione sulle immagini

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    Ciò che da un senso a quello che potrebbe sembrare un eterogeneo calderone di temi e generi differenti, è la riflessione che The Beast suggerisce riguardo lo statuto di realtà delle immagini in cui siamo costantemente immersi. L’incipit che abbiamo descritto all’inizio della recensione è infatti un vero e proprio manifesto programmatico del sottotesto del film. È nel frammento contemporaneo che questo aspetto si esplicita maggiormente, non solo con la scena del green screen, che ci suggerisce la volatilità oltre che l’artificiosità delle immagini, delle quali dunque non ci si può fidare. Ma anche nella scena di massima tensione, in cui Gabrielle viene braccata in casa sua dal ‘frustrato’ di internet: il tempo del film viene qui riavvolto più e più volte (come succedeva nell’inquietante Funny Games di Haneke), come se fossimo davanti a un nastro, o meglio davanti ad una clip digitale che viene ripetutamente portata avanti e indietro, alla ricerca di una verità che evidentemente non è più riconoscibile in questo mondo di immagini inaffidabili.

    Nel 2044 avvengono tra l’altro delle ripetizioni karmiche, ovvero riproposizioni di eventi già avvenuti in modo analogo nelle vite precedenti. Anche qui abbiamo una ripetizione che riporta alla manipolazione del tempo e dello spazio, che è poi la modalità con cui ci si esprime cinematograficamente. Riflessioni vertiginose dunque, che potrebbero essere mal digerite da chi in questa pellicola vede solo una accozzaglia di generi male assortiti, ma che alla luce dei nostri ragionamenti potrebbero acquistare un senso. Tra l’altro tutte le epoche attraversate dal film sono segnate da presagi inquietanti profetizzati da una indovina cui Gabrielle si rivolge in tutti i frammenti temporali, e che dona alla vicenda una atmosfera di mistero esoterico che si sposa bene al tutto.


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    La recensione in breve

    7.5 Esoterico

    The Beast è un triplice film che si dipana in più epoche, declinandosi nel dramma in costume, nel thriller contemporaneo e nella fantascienza distopica. Il tutto viene attraversato da riflessioni sulle immagini e sul senso della vita. Forse un po' troppo per alcuni, ma districarne il senso potrebbe essere una bella sfida per altri. Per noi lo è stata. Da maneggiare con cura.

    • Voto ScreenWorld 7.5
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