Il tempo come ossessione. Il tempo che non ricordi, il tempo che hai perso, il tempo che va al contrario. Il cinema di Nolan ha sempre avuto lancette nella sua bussola. Adesso, però, il tempo è scaduto. Adesso siamo dentro un conto alla rovescia che porta dritto verso un orrore inevitabile. Non è più tempo di giocare con le ore, di ammaliare il pubblico con prestigi di trama e architetture labirintiche. Ora Christopher Nolan ha una coscienza sporca da esplorare. Un viaggio interstellare dentro buchi neri personali in cui fa male sbirciare. E così, per riuscirci al meglio, torna rigoroso e asciutto come ai tempi di Dunkirk. Servono equilibrio, piedi per terra e mani sporche per raccontare Oppenheimer.
Lo fa con un dramma esistenziale in cui l’orrore umano si manifesta in tanti modi. Non solo nello sguardo vitreo dell’inventore della bomba atomica. In questa recensione di Oppenheimer (al cinema dal prossimo 23 agosto) vi racconteremo uno dei film meno complicati di Nolan, ma non per questo il meno complesso. Anzi. Un film denso, doloroso, a tratti crudele, che scruta nell’abisso di un’umanità capace di tutto. Come proteggere il presente distruggendo il futuro. Tutto il contrario di Nolan, che con questo film impregnato di atroce meraviglia si allontana dal suo passato e abbraccia un cinema nuovo e bellissimo.
Il distruttore di mondi
“I pensieri umani sono peggiori di noi stessi”, perché “solo quelli che rischiano di spingersi troppo lontano possono scoprire quanto lontano si possa andare”. Così scrive Thomas Eliot nella sua La terra desolata, un libro che Nolan mette tra le mani di Oppenheimer. Parole lucide, glaciali, perentorie, che scavano nell’animo umano proprio come fa questo film, che fin da subito si immerge impietoso dentro i pensieri nebulosi di Robert Oppenheimer. Un uomo che l’orrore l’ha concepito nella sua mente, l’ha covato, coccolato e poi alimentato. Come se quella bomba atomica l’avesse macchiato di una colpa indelebile non quando è esplosa, ma quando è stata immaginata per la prima volta. Una dimensione intima che Nolan evidenzia lungo tutto un film diviso in due: un prima e un dopo. La diga è facile immaginarla.
Prima di Hiroshima, Oppenheimer racconta la genesi della bomba atomica, che appare e scompare sullo schermo come un fantasma che infesta l’uomo che l’ha generata. Parte dalla giovinezza del fisico americano per poi raccontare le tappe fondamentali del progetto Manhattan, la lunga, faticosa e dispendiosa ricerca segreta che portò alla costruzione della prima bomba atomica. Dopo, invece, il film si sofferma sulla scrupolosa indagine ai danni della reputazione di Oppenheimer, accusato di simpatie comuniste e spionaggio a favore della Russia. Insomma: psicologia, politica e dramma come particelle dello stesso atomo. Oppenheimer è composto da questo, ed è fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i dilemmi: carnefice visionario o povero martire? Manipolatore o manipolato? Domande che rimangono sospese, perché Nolan non cade mai nella tentazione di risposte facili a problemi complessi.
Nuovo cinema inferno
Qualche giorno fa è emerso che Oppenheimer è stato girato in poco meno di due mesi. Un tempo quasi irrisorio per lo spettacolo cinematografico a cui abbiamo assistito. Questo significa solo una cosa: che Nolan aveva le idee chiare. Che proprio come Oppenheimer aveva tutto in testa prima di dare forma alla sua creatura. Una preparazione sostenuta da una sceneggiatura solida, senza orpelli come in passato. Infatti Oppenheimer è un film di scrittura, a tratti molto teatrale, pieno di parole, fatti, nomi e personaggi. E in questo può risultare ostico (e a tratti pesante) soprattutto nella prima ora. Ma non è solo questo a renderlo il film meno commerciale e più autoriale della carriera di Nolan.
Un regista a tratti irriconoscibile, perché finalmente si mette alle spalle quella gelida razionalità che ha sempre segnato la sua filmografia per abbracciare un cinema più viscerale, sporco, a tratti persino lirico. Ed è proprio in quei momenti in cui Nolan smette di essere il solito Nolan che il film scuote, sorprende, si eleva verso un’esperienza grandiosa. Succede con almeno tre sequenze da antologia, in cui Oppenheimer si trasforma in un horror psicologico davvero raccapricciante. Lo fa attraverso immagini imperiose che ti sovrastano e un sonoro che ti fa rabbrividire. Scene talmente potenti da farti sentire quasi in colpa nel trovare bello l’orrore che stai guardando. Perché no, Oppenheimer non è un film facile o gradevole da guardare. Ma è un film coraggioso, libero, fiero. Diretto da un regista finalmente fuori dalla sua zona di comfort, che si è lanciato nello stesso abisso in cui sta guardando Robert Oppenheimer.
L’uomo bombardato
Sguardi allucinati, occhiaie profonde, incubi a occhi aperti. Se Oppenheimer è voce del verbo scrutare è tutto merito del volto criptico di uno straordinario Cillian Murphy. Nolan lo mette sempre al centro dell’inquadratura, gli sta addosso quasi per cercare di capirlo, di entrarci dentro, di svelarne il mistero. Non ci riuscirà. No, perché Nolan guarda Oppenheimer dalla giusta distanza. Mai troppo vicino per entrarci in empatia, mai troppo lontano per fermarsi alla condanna. Grazie al senso della misura di Murphy, l’inventore della bomba atomica implode nel suo senso di colpa dilaniante, ma resta mistero indecifrabile e sfuggente. Inquietante proprio perché inspiegabile.
Nolan lo bombarda di dilemmi (sull’amore, sullo stare al mondo, sulla responsabilità, sulla consapevolezza), ma le risposte non sono concepite. Attorno a lui orbitano un Robert Downey Jr. irriconoscibile, mellifluo, emblema di un’America sempre bisognosa di nuovi nemici per sentirsi davvero unita, e due donne abbozzate (una moglie forte e un’amante fragile) solo per delineare meglio l’uomo. Sì, Nolan non è un regista capace di raccontare bene le donne, ma questa volta non è questione di maschi e femmine. È questione di umanità. Una parola a cui spesso associamo il meglio di noi.
Non è questo il caso. Perché quello che fa male davvero di Oppenheimer è che in quello sguardo vitreo di Robert Oppenheimer ci siamo tutti. Noi e il peggio di cui siamo capaci.
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La recensione in breve
Doloroso, atroce e quasi scomodo da vedere, Oppenheimer è un profondo dramma che riflette sulle colpe di un uomo e del genere umano. Nolan si sgancia dal suo passato e ci regala un'esperienza cinematografica a tratti memorabile.
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Voto ScreenWorld