C’è una storia invisibile e segreta che si svolge dietro le quinte della Storia ufficiale ed è proprio di questa che parleremo in questa nostra recensione di L’arma dell’inganno – Operazione Mincemeat, spy-story bellica di impronta british che si svolge durante la seconda guerra mondiale. Il film vede al timone di regia il John Madden di Shakespeare in Love, supportato da un ottimo cast, capitanato dalla classe di Colin Firth nei panni di Ewen Montagu, ufficiale del reparto speciale dei servizi segreti britannici, la cosiddetta sezione Venti (XX).
L’arma dell’inganno – Operation Mincemeat
Genere: storico, drammatico, guerra
Durata: 128 minuti
Uscita: 12 maggio 2022 (Cinema)
Cast: Colin Firth, Matthew Macfadyen, Kelly Macdonald
Una storia vera che è più incredibile di un film
L’incredibile vicenda di cui parla il film di Madden è stata scoperta solo nel 1997, anno in cui il governo britannico ha reso pubblici i dettagli dell’Operazione Mincemeat (carne macinata), vero e proprio depistaggio con cui l’intelligence inglese riuscì a sviare i tedeschi dallo sbarco in Sicilia, svoltosi il 10 Luglio 1943 e fondamentale per le sorti del conflitto mondiale, facendo credere ai servizi segreti di Hitler che invece gli alleati avrebbero invaso la Grecia. L’idea fantasiosa e, ammettiamolo, alquanto strampalata, era di far trovare un cadavere inglese (a questo si riferisce la carne macinata) con dei documenti segreti addosso, che dimostrassero l’effettiva intenzione degli alleati di attaccare la Grecia e non la Sicilia. La speranza era che i documenti ‘segreti’ del cadavere, fatto ritrovare sulle coste della Spagna, paese ufficialmente neutrale ma sotterraneamente favorevole ai regimi fascisti, finissero nelle mani delle spie naziste di cui all’epoca il paese di Cervantes pullulava.
Le variabili in un’operazione del genere erano infinite: non era detto che il cadavere, una volta lasciato in mare, arrivasse su una spiaggia e fosse ritrovato, né che le spie tedesche riuscissero ad appropriarsi dei documenti e, infine, nemmeno che l’intelligence nazista abboccasse all’amo. Eppure, sorprendentemente, l’operazione riuscì: nessuno spoiler, basta leggere un libro di storia e osservare che, per fortuna, nessuna bandiera nazista sventola sui parlamenti europei. Il pugno di uomini e donne dietro tale miracolo spionistico furono principalmente, oltre il già citato Montagu, Charles Cholmondeley (interpretato da Matthew MacFadyen), Jean Leslie (incarnata da Kelly Macdonald) e Hester Leggett (ovvero Penelope Wilton).
C’era anche un giovane ufficiale a supportare e, soprattutto, a osservare tutto e cioè un certo Ian Fleming. Se il nome vi fa scattare qualcosa non siete in errore. Si tratta in effetti del creatore del più famoso agente al servizio di sua maestà, ovvero James Bond, il cui profilo, sembra suggerire il film, pare essere nato proprio in questo contesto nella mente di Fleming. Gustosissimo in questo senso il momento in cui Fleming rimane affascinato da un orologio da polso che funge anche da seghetto, prefigurazione degli ingegnosi marchingegni creati dalla sezione Q per il mitico 007.
Rendere credibile un personaggio
Ciò su cui si concentra la prima parte del film è la costruzione dell’identità del cadavere che i tedeschi dovranno ritrovare. Ovvero, in altre parole, rendere credibile un personaggio. Poiché le spie naziste certamente avrebbero indagato sull’identità dell’ufficiale inglese trovato morto, era vitale costruirgli attorno una vita reale e, dunque, renderlo verosimile. I quattro personaggi principali si daranno un gran bel da fare, regalando al fittizio ufficiale della marina inglese William Martin una storia familiare e professionale credibile, comprendente Pam, la moglie lasciata a casa, arricchendo il personaggio di infiniti dettagli e particolari, fino addirittura a redigere una falsa lettera d’amore della moglie fittizia, con tanto di foto.
Tutto questo non ci ricorda forse qualcosa? Le riunioni dei quattro personaggi principali impegnati nella creazione del caporale Martin, non sembrano soprattutto brainstorming di sceneggiatori impegnati a dare credibilità al protagonista di una storia da raccontare? È in questo infatti che consiste molto del fascino di Operazione Mincemeat. In una sorta di messa in abisso del lavoro dello sceneggiatore assistiamo, sullo schermo, a quattro personaggi che, a loro volta, ne creano un altro fittizio, sulla base delle esigenze della storia, cercando di mantenersi quanto più verosimili possibile. Il bello è che i quattro personaggi, per quanto romanzati nell’adattamento di Michelle Ashford dal libro di Ben Macintyre, sono comunque ispirati a persone realmente vissute, impegnate però nella costruzione di una finzione narrativa a uso e consumo delle spie tedesche. Un vertiginoso meccanismo metanarrativo che affascina e coinvolge per tutto il film. Viene in mente tra l’altro l’indimenticabile costruzione narrativa della barzelletta nel cult tarantiniano Le Iene, sui cui dettagli e conseguente credibilità si soffermava il mentore di Mr. Orange (Tim Roth).
Tocco British per una spy-story raffinata
Proprio questo gioco della costruzione di un personaggio di finzione costituisce il gancio avvincente di una spy story basata per lo più su dialoghi ben congegnati e approfondimenti psicologici dei personaggi. Non ci sono scene action da war movie ma tutta la tensione è efficacemente costruita sulla eventuale credibilità del finto ufficiale Martin e sull’esito di un’operazione che sancirà le sorti del secondo conflitto mondiale. Sembra poco ma, dopo aver gettato le basi e costruito una storia credibile attorno all’identità del cadavere, le fasi concitate, successive al ritrovamento del corpo sulle spiagge di Cadice, saranno fonte di notevole suspence per gli spettatori: ad ogni passo tutto può andare storto. Anche noi che abbiamo seguito la costruzione di William Martin ci ritroviamo a palpitare affinché i tedeschi trovino credibile la sua identità, proprio come gli sceneggiatori pregano che gli spettatori sospendano l’incredulità di fronte alle loro storie. Solo che in questo caso la posta in gioco era molto più alta.
Il ritmo pacato e l’attenzione ai personaggi costituiscono la cifra di un film in cui la costruzione dell’identità fittizia del cadavere, nonché di sua moglie Pam, procede di pari passo anche con l’approfondimento del rapporto tra Montagu e Jean, che ha prestato la sua foto al personaggio di Pam, in un’osmosi tra storia fittizia e storia reale che finirà per influire su entrambi. La storia spionistica inoltre si infittisce grazie anche a sottotrame portate abilmente avanti e che complicano ulteriormente la vicenda e i problemi che i personaggi dovranno affrontare per portare a termine l’operazione. Questo tutto a vantaggio del coinvolgimento degli spettatori. Si tratta di una pellicola che, nella migliore tradizione delle spy stories britanniche (da La talpa a La cruna dell’ago, da Le Carré a Ken Follett), rinfocola il genere con una solida storia, supportata da un cast perfetto e congruo ai personaggi, la cui verità stupisce e avvince come e più di una storia inventata.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
Conclusioni
Come visto nella nostra recensione de L'arma dell'inganno, il film con Colin Firth è una solida spy-story bellica di carattere tipicamente british, costruita su approfondimenti psicologici e dialoghi ben congegnati, sorretta da un ottimo cast, e soprattutto basata su una sorprendente storia vera, cruciale per le sorti della Seconda Guerra Mondiale.
-
Voto ScreenWorld