È una Napoli viscerale ma mai oleografica o banale, vero e proprio personaggio del film, quella in cui ci immergeremo in Nostalgia, ultima fatica cinematografica di Mario Martone, presentata in concorso al Festival di Cannes 2022 e uscita in contemporanea nelle sale italiane. Dopo i costumi d’epoca e i guizzi dello Scarpetta di Qui rido io, il cineasta napoletano, traendo ispirazione dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea, coadiuvato nella scrittura da Ippolita Di Maio (in realtà fautrice dell’adattamento fin dall’inizio), si cala nel Rione Sanità del capoluogo partenopeo per, come vedremo nella nostra recensione di Nostalgia, un noir dell’anima che ha le cadenze di un western urbano.
Nostalgia
Genere: Drammatico
Durata: 117 minuti
Uscita: 25 maggio 2022 (Cinema)
Cast: Pierfrancesco Favino, Aurora Quattrocchi, Tommaso Ragno
La trama: ritorno alle radici
Felice Lasco, interpretato da un Pierfrancesco Favino dall’accento arabo che si tramuta in napoletano, è un figlio del difficile Rione Sanità, che se ne è andato quando era ancora ragazzo e ha fatto fortuna all’estero: vive infatti al Cairo dove ha un’impresa edilizia ed è sposato e innamorato di una bella moglie egiziana. La nostalgia del titolo si fa però strada nel suo cuore e così Felice torna a trovare l’anziana madre. Nei vicoli del quartiere in cui è cresciuto non ci sono però soltanto le petites madeleines della giovinezza che fu, ma anche un confronto in sospeso con un losco personaggio del suo passato.
La vicenda rievoca, per analogia, il bellissimo L’amore molesto, film di Martone del 1995 tratto dal romanzo omonimo di Elena Ferrante, in cui una Anna Bonaiuto fasciata in rosso, tornava anche lei in una Napoli altrettanto viscerale e, apparentemente, rimossa.
Un bagaglio pesante
Quando si parla di film ambientati a Napoli è difficile che la presenza ingombrante dell’immaginario legato alla città di Totò, De Filippo, Troisi e Maradona, ma anche di Gomorra, non si affacci alla finestra della storia di turno, come una sorta di convitato di pietra. Martone si cala in un quartiere che è un vero e proprio microcosmo, all’interno della città, roccaforte di una certa criminalità nonché avamposto di parroci e persone perbene che cercano di riscattare la zona sensibilizzando i giovani verso l’arte e la cultura. Date queste premesse era dunque facile scadere in gomorrismi o in banalizzazioni da fiction di Stato, ma chi conosce la sensibilità del regista napoletano si aspettava un film capace di smarcarsi abilmente da tutto ciò. E infatti così è stato.
Una geografia precisa, ricca di senso.
Appena arrivato a Napoli, Felice cammina per la centrale via Foria e, arrivato davanti all’arco di Porta San Gennaro, attraversa la strada e si immerge nei Vergini, che sono l’Anticamera della Sanità. L’arco sotto il quale viene inquadrato, prima di rientrare nel suo quartiere e nel suo passato, funge dunque da soglia, da limite geografico che va oltrepassato. Il frastuono delle bancarelle e delle auto viene poi soppiantato dal silenzio incombente della sera mentre musiche strumentali sincopate danno al girovagare di Felice/Favino un andamento jazz.
Questo il felice incipit di una pellicola che, della geografia della città partenopea rende conto in maniera precisa. Spesso nei film, le geografie cittadine, per legittime esigenze narrative, non rispecchiano il reale susseguirsi di strade e paesaggi, creando cortocircuiti spaziali anomali e scorciatoie inesistenti tra vari luoghi delle città e Napoli non è mai stata esente da tutto questo negli innumerevoli film che l’hanno abitata. Martone invece ci tiene a mantenere un rigore quasi filologico nell’esplorazione della città da parte di Felice e della macchina da presa. La continuità visiva delle vie e dei quartieri è infatti rispettata in modo preciso e non crediamo che ciò avvenga solo per acribia geografica. In una scena vediamo Felice che appende una mappa della Sanità e della Stella (rione adiacente) alla parete della sua camera d’albergo e, in cerca di un luogo ideale dove trovare una nuova casa per la madre, col dito segue la tortuosa Salita del Moiarello, che si inerpica dalla Sanità su fino alla collina di Capodimonte. Non si tratta più soltanto di strade e vicoli, bensì delle arterie del cuore di Felice, intimamente e profondamente connesso al cuore pulsante della sua città, di cui avverte l’irresistibile e ferale richiamo.
Napoli Grande Madre
La città accoglie dunque Felice come una madre amorevole, cosa che fa anche l’anziana madre, commossa dal ritorno del figlio che non vedeva da 40 anni. È proprio l’incontro con la genitrice (interpretata da una strepitosa Aurora Quattrocchi) uno dei fulcri del film, per il peso che tale fardello emotivo avrà sulle sue scelte. Le scene in cui Felice accudisce amorevolmente la madre e, vincendo la sua riluttanza, le fa anche il bagno, sono davvero toccanti e, soprattutto, vestono il rapporto di una sacralità rituale d’altri tempi. È davvero difficile rimanere indifferenti di fronte a Favino che alza il corpo nudo della madre per immergerlo delicatamente nella vasca, mentre la donna si commuove perché era da tempo che nessuno si occupava di lei.
Così come la vegliarda madre, anche la città sembra accogliere Felice in un abbraccio caldo e affettuoso che però si rivela a doppia faccia. L’archetipo della Grande Madre, rappresentato da Napoli, si può volgere facilmente in quello della Madre Terrificante, castratrice nei confronti di un figlio che non si è mai emancipato da quell’immagine interiore. Allo stesso modo la città si svelerà piena di insidie per il figliol prodigo tornato a casa, celando però segreti che infestano la sua coscienza.
Catabasi
Durante un dialogo tra la madre e Felice avviene un misunderstanding significativo. Intendendo che un bagno le farà bene alla salute, il figlio ha un lapsus, dovuto alla poca consuetudine con l’italiano, e dice Sanità invece di salute. Non è un caso, visto l’etimo del Rione che si rifà ad un’aria salubre che impregnava positivamente la zona, provocando tra l’altro guarigioni miracolose dovute, secondo le leggende, alla presenza delle catacombe cristiane presenti nel sottosuolo. E infatti proprio in queste ultime scenderà Felice, in una sorta di catabasi, ovvero di discesa nell’Ade o, se vogliamo, nel proprio inconscio rimosso, nel passato più doloroso. Lì il ritratto di una Madonna, basato sulle fattezze di una donna orientale, gli ricorda quello della bellissima moglie rimasta al Cairo. Il femminile ritorna dunque in un luogo viscerale e uterino che accoglie ancora Felice e lo fa sprofondare ulteriormente dentro sé stesso. Recentemente un altro film ambientato a Napoli contiene una simbolica discesa agli inferi, o dentro sé stessi: parliamo ovviamente di È stata la mano di Dio e dell’ormai iconica scena del dialogo sotterraneo con Capuano.
Noir e western alla Sanità
L’accumularsi di simboli densi di significato non snatura però l’andamento noir del film di Martone che procede per spinte narrative improvvise e per situazioni a volte paradossali, soprattutto in presenza di Don Luigi, indomito parroco di quartiere interpretato da un intenso e bravissimo Francesco Di Leva, attore che richiama l’altro film di Martone ambientato negli stessi luoghi e cioè Il sindaco del Rione Sanità (2019), tratto da De Filippo.
Lo sblocco dei ricordi nella memoria di Felice, visualizzati con la classica grana del Super 8, corrisponde anche al progressivo palesarsi di un altro personaggio (interpretato da un grande Tommaso Ragno), proveniente dall’oscuro passato di Felice e che funge da vero e proprio specchio per il protagonista, mostrandogli il destino a cui sarebbe andato incontro se fosse rimasto a Napoli. I due si “corteggeranno” da lontano, sempre di più, avvicinandosi come in una spirale che porterà inevitabilmente ad un confronto, proprio come nei vecchi western, o gangster-movie, in cui il bandito redento si trova a confronto con un passato da dimenticare e, soprattutto, con le persone che lo conoscevano all’epoca.
Con Nostalgia Martone si conferma voce potente e ancora originale di quell’avanguardia di registi napoletani che, negli anni Novanta, sgomitarono sulla scena cinematografica nazionale e di cui Sorrentino costituisce la punta di diamante, ma che con autori come Antonio Capuano, Antonietta De Lillo, Pappi Corsicato e Stefano Incerti costituirono una new-wave partenopea importante per lo svecchiamento dell’immaginario legato alla città sotto il Vesuvio.
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La recensione in breve
Nostalgia, il nuovo film di Mario Martone con Pierfrancesco Favino, è un noir dell'anima dalle cadenze western che è anche una discesa nell'inconscio e nel passato del protagonista. Ambientato in una Napoli che non funge da semplice scenario oleografico, ma diventa vero e proprio personaggio portante della vicenda, Madre benigna e Terrificante al tempo stesso.
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Voto ScreenWorld