Il cult del cinema horror degli anni Settanta, Non aprite quella porta, era il perfetto figlio del suo tempo, nato in seno alla fobia dell’epoca per i serial killer ed infatti direttamente ispirato alla figura di Ed Gein e al suo macabro operato. Il suo protagonista Leatherface è stato riportato su schermo più e più volte (otto dopo la sua prima apparizione e contando quest’ultimo sequel) con sempre meno successo: che il killer portatore di una maschera di pelle umana – Faccia di Cuoio, appunto – abbia fatto il suo tempo, e non sia più capace di portare brividi – oltre che sangue e budella – nelle case degli appassionati?
Un operazione di revival del franchise però può essere sempre appetibile, soprattutto dopo il risultato positivo ottenuto da David Gordon Green con i suoi Halloween e Halloween Kills, e Netflix ha colto l’occasione partendo proprio da solco tracciato da questi due film: fare tabula rasa di tutto ciò che è stato fatto dopo la pellicola del 1974 e riprendere alcuni personaggi dell’originale (in questo caso solo la final girl Sally Hardesty, non più però interpretata da Marilyn Burns perché scomparsa nel 2014).
Come vedremo in questa recensione di Non aprite quella porta, l’operato del regista David Blue Garcia (su un soggetto di Fede Álvarez e Rodo Sayaguese, gli stessi che hanno scritto il remake de La casa) delude su più fronti: la trama è fin troppo esile per coinvolgere gli spettatori, che non trovano nei personaggi il giusto approfondimento per creare con loro un minimo di empatia.
Quello che dovrebbe essere l’indiscusso protagonista, Leatherface, sembra poi essere stato snaturato di quel che lo rendeva realmente originale – nel panorama dei killer del cinema horror – e al contempo terrificante: non più manovrato dalla propria famiglia di psicopatici, che sfruttavano la sua enorme forza ed il suo evidente ritardo mentale, Faccia di Cuoio si trasforma in un villain qualunque, un Michael Meyers che uccide per il gusto di farlo. E lo fa particolarmente bene, intendiamoci, il lato gore di questo film farà infatti la gioia degli amanti degli sbudellamenti e del sangue versato a fiumi: peccato, però, che superato il voluto disgusto e l’adrenalina iniziale, ci si accorga che di apprezzabile in questo sequel rimane ben poco altro.
Non aprite quella porta
Genere: Horror, thriller
Durata: 82 minuti
Uscita: 18 febbraio 2022 (Netflix)
Cast: Sarah Yarkin, Elsie Fisher, Mark Burnham, Jacob Latimore, Olwen Fouere
Una trappola nel cuore del Texas
Un gruppo di giovani adulti composto dalle sorelle Melody (Sarah Yarkin), un’aspirante influencer, e Lila (Elsie Fisher), che sta ancora cercando di superare un evento traumatico del suo passato, e dalla coppia di fidanzati Dante (Jacob Latimore), uno Chef famoso sul web, e Ruth (Nell Hudson), ha intrapreso un viaggio in una parte del Texas disabitata e polverosa. I quattro ragazzi vorrebbero ripopolare una cittadina abbandonata, Harlow, trasformandola in una mecca per i loro coetanei stanchi dello stress metropolitano. Ad attenderli, però, una sgradita sorpresa: nello sparuto gruppo di case che si immaginavano deserte, una donna anziana non vuole abbandonare l’orfanotrofio di cui si occupava e in cui ha vissuto per decenni. Tra lei e gli imprenditori in erba scoppia uno scontro, e nella concitazione la donna si sente male: viene caricata sull’auto della polizia per arrivare il più presto possibile in ospedale e ad accompagnarla c’è un enorme figuro, che lei presenta come l’ultimo degli orfani di cui si è presa cura e che non l’ha mai abbandonata.
Durante il tragitto, però, la donna esala il suo ultimo respiro e, a questo punto, non è difficile immaginare come si evolveranno le cose: l’energumeno è proprio Leatherface, che in cinquant’anni non ha perso la sua forza bruta e ora è assetato di vendetta nei confronti di chi ritiene i responsabili della morte dell’anziana che si prendeva cura di lui. Fatto ritorno a Harlow, Leatherface porterà morte e distruzione nel gruppo di ragazzi rimasti, che sono stati raggiunti da amici e coetanei che vorrebbero partecipare al loro progetto. Una carneficina annunciata, che porterà le sorelle Melody e Lila a trovare in se stesse una forza inaspettata per sopravvivere: la più giovane, soprattutto, sarà costretta a superare un trauma che si porta dentro, mettendo da parte la propria avversione per la violenza e per le armi da fuoco.
Gore, gore e solo gore
A colpire in negativo questo nuovo capitolo del franchise – che come dicevano è il sequel diretto del film del ’74 – è la mancanza di una trama ben sviluppata e costruita e di personaggi approfonditi come meriterebbero, anche in un film di questo genere in cui ci si aspetta che la maggior parte non arrivi fino alla fine. Per quanto riguarda la trama ci troviamo davanti ad una serie di scelte narrative venute in essere esclusivamente per far muovere i protagonisti in un certo modo, spingendoli il più delle volte verso la motosega di Leatherface, anche se si sarebbero potuti facilmente salvare. A mancare è quella cura in più sulla sceneggiatura per renderla coinvolgente oltre che sconvolgente, arricchendo il percorso dei personaggi tra uno sbudellamento e l’altro e avvicinandoli così allo spettatore. I protagonisti, infatti, restano fino alla fine poco più che abbozzati, sagome che si muovono in un racconto in cui ad importare veramente è solo la quantità di sangue versato.
Un timido tentativo viene fatto con Lila, che scopriamo avere alle spalle un doloroso passato: è infatti l’unica sopravvissuta ad una sparatoria scolastica, trauma che l’ha portata al rifiuto di qualsiasi arma da fuoco. A differenza di quel che si potrebbe immaginare il discorso non viene mai particolarmente approfondito, e il suo percorso di crescita si riduce in un momento di rapida trasformazione. Sarà lei infatti che, imbracciato il fucile, darà maggiormente filo da torcere a Faccia di Cuoio. Che il messaggio di fondo sia sull’importanza delle armi da fuoco e di farsi giustizia da soli? D’altronde il ritratto che questo film fa delle generazioni più giovani, aperte e liberali non è mai particolarmente lusinghiero: lo si deduce dalla lunga sequenza nel pullman in cui, in seguito all’arrivo di Leatherface, una decina di rappresentanti della Gen Z altra soluzione non trova all’imminente massacro che una diretta streaming (“Prova a fare qualcosa e verrai cancellato“).
Addio Sally Hardesty
Anche l’ingresso in scena di una delle final girl per eccellenza, Sally Hardesty (qui interpretata da Olwen Fouere), rimane un po’ fine a se stesso, lontano insomma dai fasti raggiunti dalla Laurie Straude di Jamie Lee Curtis in Halloween del 2018 e Halloween Kills, tanto per complessità del personaggio quanto per effettivo impatto sullo sviluppo narrativo. Sarebbe cambiato qualcosa avessero deciso di non riportarla in scena? Assolutamente nulla.
Detto questo, comunque, pur trattandosi di un film a basso budget è evidente il tentativo del regista di sfruttare al meglio le proprie scenografie e ambientazioni per ottenere un’atmosfera malata e soffocante, la fotografia di Ricardo Diaz in certi momenti risulta anche particolarmente convincente, trasmettendo allo spettatore il senso di sporco, di disgusto e l’opprimente isolamento vissuto dai personaggi.
Non possiamo che concludere questa recensione ribadendo ancora una volta come questo sequel non ci abbia particolarmente soddisfatti né colpiti, soprattutto per il poco onore che a nostro parere rende ad uno dei villain più iconici di sempre, banalizzandolo e travisando quello che lo rendeva unico e che, nel 1974, lo ha impresso a fuoco nell’immaginario degli amanti dell’horror. Che sia possibile rifare con successo Non aprite quella porta, e rendere Leatherface convincente a cinquant’anni dalla sua prima apparizione, è una domanda a cui non sappiamo dare una risposta. Il film di David Blue Garcia, però, si allontana molto dal prodotto che ci aspetteremmo di vedere al cinema (o sul piccolo schermo) oggi, in un periodo cioè che sta vedendo una grande rinascita del genere horror e in cui anche sequel e remake sono capaci di rendere onore ai propri predecessori.
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Conclusioni
Non aprite quella porta, sequel dell'horror cult del 1974, è film che non colpisce i fan dell'opera originale: una trama debole, i personaggi non approfonditi e, soprattutto, l'incapacità di rendere onore al villain iconico Leatherface ne fanno un seguito poco interessante e coinvolgente. La fotografia e le buone scenografie, pur trattandosi di un film a basso budget, non salvano da una cocente delusione.
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Voto ScreenWorld