Il nostro sguardo che si perde verso l’alto, incontro alle vastità del cielo, è una delle cose che, quando siamo bambini o ragazzi, fa parte integrante del nostro orizzonte visivo ed emotivo. Un perdersi nel cielo, nelle infinite forme delle nuvole, o nelle stelle che punteggiano il manto notturno, che costituisce anche uno step esistenziale attraverso cui, da ragazzini, era inevitabile passare, un’occasione per sperimentare la fantasia e a briglia sciolta. Così fa anche Adriana, dodicenne nella Roma degli anni’70 che si sente figlia di alieni, o comunque non appartenente a questo pianeta, volgendo così gli occhi al cielo in cerca delle sue fantomatiche origini. Alle sue origini si è infatti rivolto Emanuele Crialese con questa vicenda ispirata in parte alla sua storia e alla sua vita familiare, di cui vi parleremo in questa nostra recensione de L’immensità.
L’Immensità
Genere: Drammatico
Durata: 97 minuti
Uscita: 4 settembre 2022 (Festival di Venezia 2022)
Cast:Luana Giuliani, Penelope Cruz, Vincenzo Amato, Aurora Quattrocchi
La trama: Identità insorgenti.
Nella Roma altoborghese degli anni Settanta, la famiglia composta da Clara, Felice e i loro tre figli, Adriana la più grande, Gino (di 10 anni più o meno) e Patrizia (di 5-6) si barcamenano tra eventi sociali, vacanze e ricorrenze in famiglia. Peccato però che i due coniugi non si amino più e che Felice sia un traditore sistematico. Inoltre Adriana non accetta la sua identità biologica femminile, facendosi dunque chiamare Andrea, tagliandosi i capelli corti e assumendo atteggiamenti maschili. Clara è l’unica in famiglia, e nel contesto sociale di riferimento, ad accettare la condizione di Adriana e, per sfuggire all’infelicità, diventa complice e compagna di giochi dei figli.
Santa famiglia sacrario dei buoni cittadini
Le parole con cui Marlon Brando ironicamente si riferiva alla famiglia in Ultimo tango a Parigi, ovvero come luogo in cui i bambini vengono torturati, la volontà spezzata dalla repressione e la libertà assassinata dall’egoismo, ci sembrano appropriate al nucleo familiare descritto ne L’immensità. Felice non solo tradisce Clara ma la incolpa delle stranezze identitarie di Adriana, per le quali vengono derisi e additati dal contesto di amici e parenti che frequentano. Secondo il coniuge, la complicità di Clara con i figli e soprattutto con Adriana è deleteria e diseducativa, e sarebbe dunque alla base delle storture psicologiche della ragazzina, nonché del suo vivere perennemente tra le nuvole.
Tra l’altro, a sentir parlare di divorzio, l’uomo sobbalza e minaccia la moglie: la cosa più importante è l’apparenza sociale. Clara, una intensa e viscerale Penelope Cruz, sfoga dunque la sua frustrazione e la sua tristezza ritrovando la bimba che è in sé e lasciandola dunque sfogare con i suoi figli, come si vede nella ormai già iconica scena dell’apparecchiamento della tavola sulle note di Rumore di Raffaella Carrà.
Ma che musica maestro!
E le canzoni della Carrà, nonché le musiche della televisione italiana degli anni ’70 (Celentano, Patty Pravo e altri) diventano la cifra stilistica del film, nonché il modo per la giovane Adriana/Andrea di sfuggire ad una realtà familiare e sociale opprimente e volare sulle ali dell’immaginazione. Ecco che si ritrova dunque protagonista di numeri musicali in bianco e nero (come le trasmissioni RAI dell’epoca), impersonando insieme alla madre i beniamini televisivi dell’epoca in fantasie coreografiche sempre più complesse ed elaborate che fanno respirare il film e gli danno una marcia in più, soprattutto nella prima parte. Nella seconda, con la reiterazione di questi momenti visionario-musicali, il meccanismo diventa però stucchevole. Se questi fossero stati diluiti maggiormente, o anche accorciati, il tutto avrebbe funzionato meglio.
Il mondo dei bimbi
Ciò che funziona alla grande ne L’immensità è l’immersione nei giochi dei bimbi e dei ragazzini, ovvero l’assunzione del loro punto di vista e la totale immedesimazione in quell’incanto che era l’età tra i 10 e i 13 anni, dove tutto era scoperta e gioco e ci si staccava totalmente dal mondo degli adulti per creare mondi immaginari e nuove identità. Proprio su queste ultime si basa infatti un gioco che il gruppo di amichetti e cugini fa a Natale, mentre gli adulti chiacchierano a tavola: si bendano gli occhi e, sulla base delle sole sensazioni tattili, si devono riconoscere tra loro. Scovare dunque l’identità di chi ti è vicino, non sulla base di pregiudizi e luoghi comuni, ma sulla semplice sensazione del contatto, dell’epidermide. È proprio Adriana a proporre questo gioco, quasi come se, bendata, la sua reale identità possa finalmente sbocciare fuori, senza timore di essere giudicata. Un po’ come quando, da piccoli, se chiudevamo gli occhi e non vedevamo il mondo, neanche il mondo poteva scorgerci.
E in questo mondo Clara ci entra perfettamente, come rifugio dal triste e squallido menage familiare, ma anche perché, evidentemente, la fanciulla dentro di lei non si è mai veramente sopita. È proprio nelle scene di gioco e intimità tra la Cruz e i giovani attori che interpretano i figli, su cui spicca Luana Giuliani nel ruolo di Adriana, che L’immensità trova i suoi momenti più felici, nonché il suo grimaldello emotivo più forte per coinvolgere lo spettatore e farlo empatizzare con Clara, Adriana e la loro famiglia. Dopo Cuarón, Sorrentino e Branagh, anche Crialese dunque trova ispirazione nel suo vissuto familiare, ovviamente trasfigurato, per confezionare un’opera personale e al tempo stesso universale, che affronta molti temi cruciali e attuali ancora oggi. Su tutti svetta Penelope Cruz con la sua vitalità e spontaneità che donano al film quella verità emotiva indispensabile alla sua riuscita.
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La recensione in breve
Con L'Immensità, Emanuele Crialese trova la cifra del musical visionario per esprimere efficacemente il disagio di una ragazza in cerca della sua identità, anche se, alla lunga il meccanismo stanca. La famiglia come istituzione repressiva e la fantasia e il gioco come possibili valvole di sfogo ed espressione trovano un efficace declinazione narrativa nella vicenda ispirata alla vita dello stesso regista. Penelope Cruz aggiunge, con la sua interpretazione vitale e solare, una marcia in più ad un film emozionante che racconta di problematiche terribilmente attuali.
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Voto ScreenWorld