Tratto dal romanzo omonimo di Elena Ferrante e debutto alla regia di Maggie Gyllenhaal, La figlia oscura – dopo essere stato presentato all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia – arriva finalmente al cinema. Vederlo dopo l’uscita della terza stagione de L’amica geniale aiuta lo spettatore a digiuno della bibliografia della Ferrante a inquadrare uno dei temi centrali delle sue opere (permettendogli così di “leggere” meglio il film): l’indagine della maternità, e di come questa possa essere vissuta in modi diversi.
Come scopriremo in questa recensione de La figlia oscura, la storia ruota attorno a due madri molto diverse: una di cui scopriamo lentamente passato e presente – la protagonista, Leda -, ed una che osserviamo prima da lontano e poi più da vicino, ma sempre attraverso la prospettiva della prima. La scrittura in prima persona nel romanzo di Elena Ferrante si trasforma, nell’opera di Maggie Gyllenhaal, in una regia che cerca di trasmettere l’interiorità della sua protagonista con lunghi primi piani e una ricercata insistenza sugli sguardi e sulla gestualità.
Gyllenhaal si affida inoltre alla bravura delle sue interpreti, Olivia Colman e Jessie Buckley (rispettivamente Leda oggi e Leda da giovane), capaci di esprimere in maniera estremamente efficace il complesso groviglio di emozioni vissuto dalla donna (in due periodi diversi della sua esistenza). Passare dalla carta stampata al grande schermo però non è sempre facile, ed in certi momenti il film fatica a mettere a fuoco le motivazioni che guidano i personaggi, lasciando lo spettatore a chiedersi se l’oscurità di certe scelte ed azioni sia voluta – sempre per sottolineare il tormento interiore dei protagonisti – o invece dipenda da una difficoltà di traduzione e adattamento.
La figlia oscura
Genere: drammatico
Durata: 121 minuti
Uscita: 7 aprile 2022 (Cinema)
Cast: Olivia Colman, Jessie Buckley, Dakota Johnson, Peter Sarsgaard, Ed Harris
Passato e presente
Il film si apre con l’arrivo di Leda (Olivia Colman), una professoressa universitaria molto conosciuta anche come traduttrice, in una località balneare greca, dove ha affittato un piccolo appartamento ed è pronta a passare qualche giorno di vacanza in completa solitudine. Il luogo scelto per la villeggiatura sembra perfetto per trascorrere il tempo nella pace dello studio e della lettura, ma l’idillio viene presto interrotto dall’ingresso in scena di una famiglia molto numerosa (e rumorosa), che “invade” la spiaggia dove la donna ha preso un ombrellone. Tra i nuovi arrivati Leda resta fin da subito molto colpita da una giovane madre, Nina (Dakota Johnson), che sembra legata da un rapporto quasi simbiotico con sua figlia.
Mentre la quotidianità di Leda, e dei suoi nuovi vicini, procede, veniamo trasportati nel passato della protagonista, a quando la donna era una brillante ricercatrice incapace di far coincidere le sue aspirazioni lavorative con la realtà familiare. Schiacciata dalla responsabilità di crescere due bambine piccole, con un marito meno presente di quanto avrebbe voluto e con la mente sempre proiettata a una carriera universitaria che non andava di pari passo con il suo essere madre, Leda ha sempre desiderato qualcosa di diverso, qualcosa di più per se stessa. Il cambiamento per lei arriva insieme a un affascinante professore universitario (Peter Sarsgaard), che ne riconosce il talento e la mette nella posizione di compiere una scelta. Scelta che, però, cambierà radicalmente la sua vita e avrà profonde conseguenze sul suo presente.
Essere donna e madre
Difficile incasellare La figlia oscura in un unico genere, il dramma intimista viene infatti macchiato da elementi inquietanti e disturbanti, quasi tipici del thriller: la frutta che marcisce, gli insetti che si annidano nella bambola della figlia di Nina (che Leda, senza quasi caprine il motivo, si ritroverà a rubare), la minaccia dei vicini di ombrellone, che altri giudicano come “pericolosi”. Il film è pervaso da un senso di malessere, di disagio costante, sensazione che riflette appieno l’emotività della protagonista e che ci lascia con la sensazione che, da un momento all’altro, stia per esplodere qualcosa di pericoloso e violento. Leda – più la visione inframezzata da flashback procede – è però sempre più attratta da Nina, dal rapporto che ha con sua figlia, cercando in lei la madre che a suo tempo lei non è stata e riconoscendo, nelle difficoltà che la giovane donna si trova ad affrontare, le stesse che ha vissuto. Le bambole, sia nel presente che nel passato, si trasformano per la donna nel simbolo del tipo di madre che avrebbe desiderato essere (e che non è stata) e, al tempo stesso, sono anche i figli (poco impegnativi, che non piangono e non disturbano il suo lavoro) che avrebbe voluto avere.
Superficialmente potremmo definire La figlia oscura come un’analisi sulla difficoltà di conciliare carriera e maternità, in realtà il racconto di Elena Ferrante adattato da Maggie Gyllenhaal è un’esplorazione molto più profonda – e senza dubbio disturbante – di che cosa significhi essere donna e madre, di come per qualcuna possa essere un’esperienza appagante e meravigliosa e al contrario, per altre, devastante e distruttiva. Olivia Colman e Jessie Buckley (entrambe candidate all’Oscar, rispettivamente come Miglior attrice protagonista e non protagonista) riescono a trasmettere con grande efficacia allo spettatore il forte disagio provato dal loro personaggio, tanto nella maturità come nella giovinezza. Sempre ammantata da un’aura di fascino e mistero, poi, colpisce anche Dakota Johnson nella parte di Nina, una donna che sembra rassegnarsi al ruolo che le è stato assegnato, ma è animata da guizzi di ribellione e sente per questo un’affinità particolare con Leda.
Un finale abbastanza potente?
È difficile condividere molte delle scelte compiute da Leda nel corso del film, sia nel passato che nel presente: è un personaggio a suo modo negativo, che però non arriviamo mai veramente a disprezzare, e con cui siamo spinti ad empatizzare. La forza del film di Gyllenhaal risiede proprio nel ritratto che ci viene fatto di Leda, che mette in luce le sue debolezze e i suoi lati più oscuri, ma al contempo ci porta a provare un forte tenerezza nei suoi confronti. Come vi anticipavamo in certi momenti si fatica a comprendere alcune delle scelte che compie, e sospettiamo che dipenda più dalla difficoltà di adattare per il cinema un romanzo così complesso ed articolato, che dalla volontà di rendere ancora meglio la confusione interiore vissuta dalla protagonista. Anche per questa ragione, probabilmente, il finale risulta meno potente ed incisivo di quel che avremmo sperato, anche vista la tensione crescente sopratutto nella seconda parte del film.
Detto questo, comunque, il debutto alla regia di Maggie Gyllenhaal è un racconto intrigante ed affascinante, capace di far provare allo spettatore emozioni inaspettate, anche con una protagonista, come Leda, con cui è così difficile ritrovarsi. Olivia Colman e Jessie Buckley ci regalano interpretazioni intense, che trasmettono la complessità che è il cuore del loro personaggio e ci portano a guardarci dentro, a riflettere su cosa significhi essere madre e sulle conseguenze devastanti (ma anche liberatorie) che certe scelte possono avere.
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Conclusioni
Come abbiamo visto nella nostra recensione de La figlia oscura, l'esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal tratto dal romanzo omonimo di Elena Ferrante, è una storia affascinante che riflette su che cosa significhi essere donna e madre, e colpisce anche grazie allo splendido trio di protagoniste composto da Olivia Colman, Jessie Buckley e Dakota Johnson. Purtroppo alcuni passaggi risultano un po' confusi, probabilmente anche a causa di un materiale di partenza non così facile da adattare.
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Voto ScreenWorld