Quando guardiamo un film facciamo una scelta precisa. Quella di entrare nella vita di una persona (e poco importa se fittizia o reale), esserle accanto durante un suo viaggio (fisico o metaforico) e provare, insieme a lei, emozioni, desideri, dolori, piaceri e soddisfazioni. Osserviamo uno schermo, ma in realtà partecipiamo a un cammino. Nel farlo abbracciamo un punto di vista inedito, ampliamo i nostri orizzonti, siamo costretti a prendere consapevolezza di una nuova porzione del mondo che ci circonda. In qualche modo, facciamo esperienza.
Il nuovo film di Matteo Garrone ci costringe, senza possibilità di rinuncia, a compiere uno di quei viaggi di cui tanto sentiamo parlare, ma che pochi di noi provano. Uno straziante viaggio di dolore, disperazione, sofferenza e fortuna. Lo fa ponendoci a fianco di un ragazzino di sedici anni che dal Senegal decide di andare in Italia, affrontando diverse difficoltà. E se questa traversata attraverso il deserto e il mare ci mette nei panni di un ragazzo pronto a emigrare che insegue i propri sogni, nella nostra recensione di Io Capitano non possiamo, però, non domandarci se l’approccio di Garrone sia stato quello più giusto.
Durata: 121 minuti
Uscita: 6 settembre 2023 (Festival di Venezia), 7 settembre 2023 (Cinema)
Cast: Seydou Sarr, Moustapha Fall, Issaka Sawagodo
Dal Senegal all’Italia
Seydou è un ragazzino di sedici anni senegalese che, insieme al cugino Moussa, ha deciso di cambiare vita e costruirsene una nuova in Italia. Dopo aver messo da parte i soldi necessari e senza aver avuto il coraggio di confessare il suo desiderio alla madre e al resto della famiglia, Seydou e Moussa vengono caricati su un camioncino insieme ad altre persone con il loro stesso obiettivo, iniziando una difficoltosa e pericolosa traversata. Il caldo asfissiante del deserto, la fatica fisica e mentale, trafficanti e guardie che agiscono per soldi, trattando le persone come oggetti senza dignità: Seydou e Moussa si renderanno presto conto, sulla loro pelle sempre più secca e sporca, che il sogno non si raggiunge così facilmente come credevano.
Non è la trama il punto di forza di Io Capitano, film che intende far vivere allo spettatore una traversata continentale disperata e disumana. Garrone cerca di riportare sullo schermo una pura realtà, evitando un’eccessiva complessità in sede di scrittura, che avrebbe reso il film più artefatto, e restando fedele alla lingua originale degli attori. Il risultato è un film che punta a quella crudezza tipica del cinema di Garrone, che rimane incollato al suo protagonista per tutte le due ore, creando una simbiosi speciale con lo spettatore.
Vizio di forma
Per questo motivo appare straniante la scelta del regista di evitare il suo marchio di fabbrica, ovvero l’utilizzo della camera a mano, per trasportarci all’interno della narrazione in maniera più viscerale. Io Capitano è un film bellissimo da vedere, dove però la mancanza di sporcizia e un’eccessiva ricerca formale tendono a bloccare quel processo di identificazione che sarebbe stato necessario per potenziarne il lato emotivo. La macchina da presa segue Seydou, attraverso carrelli ed eleganti riprese, sin troppo studiate – anche dal punto di vista fotografico e cromatico – per poter colpire allo stomaco. Nonostante la bellezza estetica della messa in scena, spesso si ha la sensazione di un viaggio costruito, artificiale, che instaura una barriera con lo spettatore.
Perché sì, siamo al fianco del protagonista, ma spesso non percepiamo davvero quella sofferenza dolorosa, quel peso emotivo del viaggio, quel senso di sudore, sopportazione e spinta verso il limite che avrebbe donato, specie nell’ultima bellissima e potente inquadratura finale, un senso di appagamento conclusivo maggiore.
Oltre a questo la presenza di alcuni momenti più onirici, limitati a un paio di sequenze ravvicinate, sembrano stonare poi all’interno dell’intero film, che tende a dimenticarsi di queste soluzioni, peraltro molto interessanti, specie per un calore emotivo inusuale.
La forza delle persone
Dove, invece, si rimane davvero a bocca aperta è nella prova attoriale dei due protagonisti, non professionisti ed esordienti. Seydou Sarr e Moustapha Fall bucano davvero lo schermo per la loro intensità e la loro sincerità. Mai una volta, durante le due ore di film, si ha la sensazione di assistere a un personaggio costruito e “sceneggiato”. Dove Io Capitano davvero colpisce è nel trovarsi di fronte a una persona vera, reale, schietta. Quasi ritrovando la poetica degli esordi, Matteo Garrone si conferma ancora una volta un regista interessato alle persone, alla dimensione umana, soprattutto interiore.
È infatti nei primi piani insistiti, nell’attenzione rivolta agli sguardi e ai piani d’ascolto, nel modo in cui i corpi si muovono, si sporcano, toccano e agiscono, nella maniera in cui la figura umana reagisce all’ambiente e agli ostacoli che lo definiscono, che troviamo la forza di una storia sentita e necessaria. Con una voce forte, urlata, che, dopo averla ascoltata, riusciamo a comprendere e sentire anche se i rumori intorno tendono a soffocarla.
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La recensione in breve
Io Capitano è un film che ci mette a fianco di un ragazzo costretto a compiere un viaggio doloroso e straziante. La forma elegante di Garrone dietro la macchina da presa tende a smorzare l'aspetto emotivo più viscerale, ma grazie a un protagonista straordinario e all'uso della lingua wolof, il film regala momenti di forte realtà che gli donano una voce forte.
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Voto ScreenWorld