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    Home » Cinema » Ultime recensioni cinema » Gold, la recensione: Zac Efron nell’outback australiano

    Gold, la recensione: Zac Efron nell’outback australiano

    La recensione di Gold, il film survival ambientato in un deserto australiano che richiama un immaginario western e con protagonista un inaspettato Zac Efron degno di nota.
    Claudio GarganoDi Claudio Gargano1 Luglio 20226 min lettura
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    zac efron in un'immagine di gold
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    Quando Mad Max incontra Il tesoro della Sierra Madre: si potrebbe sintetizzare così il film di Anthony Hayes con Zac Efron di cui parliamo oggi. Della saga post-atomica di George Miller ha l’ambientazione, ovvero quell’arido outback australiano in cui Max Rockatansky correva sulla sua V8, nonché il contesto da fine del mondo, con le risorse ridotte a zero e l’acqua e il carburante come beni preziosissimi. Del capolavoro di John Huston invece Hayes eredita la metafora dell’oro come simbolo dell’avidità umana. Il deserto e l’oro sono dunque i due fulcri tematico-emotivi che andremo a indagare in questa nostra recensione di Gold, survival movie appena distribuito nelle sale italiane.

    Gold

    Genere: Survival thriller
    Durata: 97 minuti
    Uscita: 30 giugno 2022 (Cinema)

    Regia: Anthony Hayes
    Cast: Zac Efron, Susie Porter, Anthony Hayes

    La trama: in due nel deserto

    Una scena di Gold

    In un tempo imprecisato, qualche anno nel futuro in cui le principali risorse scarseggiano, il taciturno Virgil (Zac Efron) approda, scendendo da un treno, in uno squallido avamposto, tipicamente western, del deserto australiano dove ha appuntamento con Keith, autista a pagamento che dovrebbe accompagnarlo al Campo (Compound in originale), un luogo dove sembra ci sia lavoro e prosperità. Lungo la strada Keith lo avverte che si tratta di un’illusione e che il Campo è in realtà un luogo infernale di sfruttamento, ma Virgil ribatte che il posto da cui proviene, ovvero l’ovest in cui infuriano le rivolte, non è meglio. Durante il viaggio l’auto di Keith, soggetta a surriscaldamento, si ferma proprio nei pressi di un’enorme pepita d’oro (praticamente un masso) scoperta da Virgil. Essendo troppo grossa da trasportare è necessario reperire un escavatore. Viene dunque deciso che Virgil rimarrà in attesa vicino alla pepita, con esigue scorte di cibo e acqua, mentre Keith, che conosce la zona, andrà in cerca dell’escavatore. Il tempo da passare solo nel deserto è stimato intorno ai 5 giorni: c’è da impazzire.

    Un immaginario familiare

    Una scena di Gold

    La prima cosa da rilevare è l’ambientazione, piuttosto abusata, di un futuro prossimo e imprecisato, arido nonché scarsissimo di risorse, in cui il famigerato proverbio latino Homo homini lupus (forgiato da Plauto) diviene la regola. Non è certo la prima volta che il cinema frequenta scenari del genere, a partire dalla già citata, e insuperata, saga di Mad Max, passando per i molti film post-apocalittici, spesso in location desertiche, come i più recenti Codice genesi (2010) e, soprattutto The Rover (2014), in cui, guarda caso, lo stesso Anthony Hayes recitava un ruolo. Evidentemente quel set, altrettanto desertico e apocalittico, deve aver influenzato l’attore, regista e sceneggiatore, al punto da scrivere una storia che respira le stesse atmosfere. In altre parole ci troviamo in un territorio dell’immaginario cinematografico che conosciamo bene e che, se da un lato non brilla per originalità, dall’altro permette allo spettatore di ambientarsi subito, senza la necessità di tante spiegazioni, cosa su cui, giustamente, la sceneggiatura non si dilunga. Riusciamo dunque a capire il contesto da pochi riferimenti nei dialoghi, senza spiegoni didascalici, e questa è sempre una cosa buona e giusta.

    Come Humphrey Bogart

    Una scena di Gold

    In ogni film in cui ci sono dei personaggi che scoprono una ricchezza aurea improvvisa, l’oro in questione è, quasi sempre, per definizione, maledetto. Non a causa di qualche maledizione soprannaturale ma perché esso diviene causa di avidità, rivalità, invidie e, conseguentemente, azioni abbiette. Ne sapevano qualcosa Humphrey Bogart, Tim Holt e Walter Huston, protagonisti del capolavoro del 1948 di John Huston (figlio di Walter) Il tesoro della Sierra Madre nel quale andavano alla ricerca del metallo giallo nella selvaggia Sierra Madre messicana, tra la natura aspra e i bandidos che depredavano i malcapitati cercatori. Ma la vera minaccia era l’avidità con cui l’oro avvelenava il cuore degli uomini, rendendoli assassini (non diremo chi dei tre, se qualcuno vorrà recuperare il film di Huston).

    E Gold non è da meno, nel momento in cui, in nome di una improvvisa ricchezza piovuta del cielo, si è disposti a tutto, a uccidere e a sacrificare se stessi. Il nostro Virgil dovrà passare attraverso prove durissime, cani selvaggi, scorpioni e serpenti, nonché una ostile nomade del deserto, per nascondere e conservare quella enorme e luccicante pietra, simbolo di benessere e al tempo stesso di perdizione morale. Non è un caso infine, nel momento in cui i due protagonisti del film di Hays scoprono l’oro, il fatto che inscenino una sorta di balletto attorno al falò, simile a quello, irresistibile e leggendario, di Walter Huston nella Sierra Madre, già affettuosamente parodiato da Billy Crystal nel dittico Scappo dalla città (1991-94).

    Prove iniziatiche

    Una scena di Gold

    Poiché il sole del deserto gioca brutti scherzi la vicenda, prevedibilmente, assume una piega allucinata. Non a caso la fotografia di Gold, solarizzata fino all’eccesso, richiama le stesse sfumature di quel metallo lucente e maledetto attorno al quale gira tutta la vicenda e che dà anche il titolo al film. Anticamente il metallo legato per antonomasia al Sole era l’oro, e gli alchimisti medievali erano ossessivamente alla ricerca di quell’oro, simbolo di una purezza interiore raggiungibile solo dopo un lungo e doloroso processo di purificazione interiore. E Virgil in effetti sottopone il suo corpo e la sua mente ad altrettante prove che potremmo definire iniziatiche, per raggiungere e conservare il suo oro, simbolo di una raggiunta stabilità interiore, forse irraggiungibile.

    Zac Efron si sporca

    Una scena di Gold

    Quasi parallelamente al percorso del suo personaggio, anche la star Zac Efron, ex-belloccio degli High School Musical, affronta un processo di sporcatura della sua immagine. Se già con l’interpretazione del serial killer Ted Bundy nel 2019 aveva insozzato moralmente la sua caratura di giovane divo, qui invece l’insudiciamento è soprattutto fisico: la faccia di Efron è prima deturpata dallo sporco e dalla terra, poi dalle escoriazioni provocate dal sole. L’obiettivo di Efron è palese: scrollarsi di dosso l’immagine di ragazzo idolo delle teenager e conquistare uno status di interprete maturo e duttile, cosa che gli sta riuscendo molto bene, regalandoci infatti una prova sofferta e intensa, tutta giocata sulla sottrazione e su una fisicità claudicante.

    Un godibile survival

    Una scena di Gold

    Gold si fa seguire bene, sebbene nella parte centrale il ritmo perda un po’ i giri, ma questo è anche fisiologico rispetto alla trama che vede un uomo solo nel deserto. La parte finale rialza convulsamente la temperatura emotiva (non quella del deserto che è già cocente di suo) della vicenda in modo netto e, più o meno, spiazzante. In realtà neanche il finale costituisce una grossa sorpresa, se si considerano le premesse del film e del sotto-genere ‘oro maledetto’, ma rimane un onesto e godibile tentativo nel survival movie.

    La recensione in breve

    6.0 Spietato

    Gold è un survival movie che abita un immaginario cinematografico ben conosciuto e piuttosto abusato ma che, senza fronzoli, porta a casa un onesto risultato, facendosi seguire fino alla fine. Zac Efron prosegue, tramite questo film, con la sporcatura, riuscita, della sua immagine di divo teen.

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