Prima di iniziare la nostra recensione di Firestarter occorre soffermarci brevemente sulla storia delle opere cinematografiche e televisive basate su opere di Stephen King.
Fin dal principio Hollywood si è resa conto del grande potenziale cinematografico dell’autore del Maine, assicurandosi in fretta e furia i diritti dei romanzi e procedendo spediti verso le prime trasposizioni. Era però un’epoca molto differente a livello di dinamiche produttive. Il modello del blockbuster moderno era appena stato (inconsapevolmente) creato con Lo Squalo prima e Guerre Stellari poi, andando a porre fine all’epoca della New Hollywood. Il peso degli autori sarebbe però rimasto rilevante per diversi anni e si può riscontrare, osservando le produzioni dell’epoca, una certa volontà delle major di continuare ad affidarsi a registi dalla visione chiara e forte. Questo discorso, apparentemente fuori contesto, è molto importante per comprendere la qualità oscillante delle decine di adattamenti dei romanzi di King.
Perché i soggetti dell’autore di IT mal si sposano con logiche produttive preconfezionate, sprovviste di una visione e di una determinata sensibilità. Il grande amore di King per il genere, la sua capacità innata di giocarci e di mescolarli, la profondità del suo sguardo nell’analizzare e raccontare determinate caratteristiche e comportamenti umani, lo rendono un autore sì fortemente cinematografico ma altrettanto complesso da trasporre. Non è un caso che dietro ai migliori adattamenti delle sue opere troviamo nomi come Brian De Palma, Stanley Kubrick, David Cronenberg, John Carpenter o Rob Reiner. E non è altresì un caso che negli ultimi vent’anni, periodo in cui le major si son fatte ancora più imperanti, la stragrande maggioranza delle trasposizioni di King siano state, per usare un eufemismo, deludenti. Ad eccezione di due incursioni di Mike Flanagan (ormai riconoscibile come autore) e di una metà di IT, tutto il resto nella migliore delle ipotesi rientra nella categoria del “dimenticabile”.
Questo Firestarter sembrava però avere nelle premesse alcune caratteristiche in grado di invertire questa tendenza negativa. Ci sarà riuscito?
Firestarter
Genere: Horror
Durata: 94 minuti
Uscita: 12 maggio 2022 (Cinema)
Cast: Zac Efron, Ryan Kiera Armstrong, Sydney Lemmon
La trama: Fenomeni paranormali incontrollabili
Firestarter non è il primo adattamento cinematografico del romanzo L’Incendiaria. Il primo venne distribuito in Italia con il titolo Fenomeni paranormali incontrollabili e vedeva nel ruolo della protagonista una giovane Drew Barrymore uscita direttamente dal set di E.T. L’extra-terrestre.
Le premesse della trama sono piuttosto semplici.
Andy (Zac Efron) e Vicky (Sidney Lemmon) sono una coppia conosciutasi mentre svolgevano il ruolo di cavie per alcuni esperimenti segreti di un’organizzazione speciale. Entrambi scoprirono poi di aver sviluppato alcuni poteri di natura psichica. I due oggi hanno una figlia, Charlie, nata con il potere della pirocinesi ovvero la capacità di incendiare persone o oggetti attraverso l’uso della mente. Vivono sotto falsa identità e senza svelare in alcun modo e in nessuna circostanza le proprie abilità, al fine di evitare di attirare l’attenzione di qualcuno, in particolare della stessa organizzazione che svolse gli esperimenti, la quale sta cercando di raggruppare tutte le sue vecchie cavie. L’incapacità della piccola Charlie di gestire le sue abilità porterà i riflettori su di loro e costringerà la famiglia a darsi alla fuga.
Nel paragrafo introduttivo abbiamo accennato ad alcune caratteristiche di questo nuovo Firestarter in grado di accendere (scusate il gioco di parole) la nostra curiosità. Partiamo dal materiale originale, ovvero il romanzo di King. L’Incendiaria non è di certo uno dei titoli più noti dell’autore, fattore che permette un certo grado di libertà e di leggerezza nel poterlo lavorare. Inoltre, come avete potuto leggere, ha un soggetto che si allaccia direttamente a tutto un filone della fantascienza classica fatta di esperimenti, organizzazioni segrete e poteri paranormali. Un potenziale punto di partenza ottimale per un film che ha intenzione giocare con il genere in libertà.
Firestarter è poi prodotto da Jason Blum con la sua Blumhouse, fattore in grado di spingere un qualsiasi appassionato di horror a comprare il biglietto. Blum e il suo metodo produttivo negli ultimi vent’anni hanno prima tenuto a galla e poi contribuito a rilanciare tutta la filiera del cinema d’orrore. Alla regia è stato chiamato Keith Thomas che con il suo film d’esordio The Vigil – Non ti lascerà andare aveva mostrato un certo talento. Ultimo ma non ultimo John Carpenter alla colonna sonora, in grado con sole tre note di rievocare tutto un immaginario horror ben definito.
Come vedremo nel prossimo paragrafo però non tutto è andato nel verso giusto.
Vorrei essere un B-movie
Per tutta la sua breve durata Firestarter segue la via della furbizia, cercando di costruire un film in grado di cavalcare la remunerativa struttura del film di supereroi ma allo stesso tempo strizzando l’occhio ai fan dell’horror. L’arco narrativo di Charlie rispecchia in più fasi quello dell’eroe in una qualsiasi origin story di un moderno cinecomic. In particolare Firestarter si concentra molto sul concetto di responsabilità necessario per maneggiare dei poteri, sulle conseguenze che scaturiscono da un uso improprio degli stessi. Non mancano poi sequenze tipiche del genere come ad esempio una sorta di training montage prima dello scontro finale. Ma come cerchiamo sempre di comunicarvi su ScreenWorld: la trama è solo una piccola parte. Un film prima di tutto è narrazione per immagini in movimento. Ed è qua che Firestarter incontra le sue difficoltà maggiori. Perché di contaminazioni con la struttura e l’immaginario dei cinecomics ne stiamo vedendo sempre di più e in alcuni casi il risultato è tutt’altro che deludente, come dimostra l’italiano Freaks Out (che ha alcuni punti in comune con Firestarter).
Attraverso l’illuminazione, alcuni tagli di montaggio, zoommate improvvise, un certo uso degli effetti speciali, il film cerca di richiamare con costanza l’immaginario e l’estetica dei B-Movie anni ’70/’80. Una ricerca di quell’aria da cult, una sorta di operazione nostalgia per una nicchia ben precisa. Ad aiutarlo in questo senso abbiamo la colonna sonora di Carpenter che, oltre ad autocitarsi, trae ispirazione dal cinema di genere italiano dell’epoca. Ma non basta mostrare in quel modo un gatto ustionato per catapultare lo spettatore in un’altra epoca e contesto cinematografico e il risultato è quello di trovarsi davanti a un filtro applicato per cercare di accontentare il pubblico attirato dall’accoppiata Jason Blum – Stephen King.
Un’operazione ruffiana e non un lavoro filologico volto a ricostruire un immaginario e un’estetica. A gravare infine su Firestarter vi è pure la prova di Ryan Kiera Armstrong nel ruolo di Charlie, non abbastanza carismatica per potersi caricare il film sulle spalle e mascherare gli altri evidenti problemi del titolo.
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Conclusioni
Come abbiamo visto nella recensione del film, Firestarter cerca di essere contemporaneamente una variazione sul genere dei film sui supereroi e un film nostalgico dei cult horror di serie B anni '70. L'operazione non trova però un suo equilibrio e una sua quadratura, e il risultato è una deludente operazione ruffiana.
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Voto Screenworld