Se l’assassinio di John Kennedy fu l’evento spartiacque per la storia contemporanea americana, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro è stato qualcosa di analogo per il nostro paese, colpendo l’immaginario collettivo in modo violento e indelebile. È di questo scottante argomento che parleremo in questa nostra recensione di Esterno notte, miniserie Tv di Marco Bellocchio, prodotta, tra gli altri, da RAI Fiction e presentata in contemporanea al 75° Festival di Cannes, di cui la prima parte, ovvero i primi tre episodi, è disponibile già al cinema. Proprio di questa ci occuperemo.
Esterno Notte
Genere: Drammatico
Durata: 160 minuti
Uscita: 18 maggio 2022 (Cinema)
Cast: Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo
Un controcampo ideale
Lo spettro di Moro si aggira, a volte inascoltato, altre invece sussurrante, tra le pieghe della nostra storia recente, come un doloroso rimpianto per alcuni, o come un potente senso di colpa per altri. In ogni caso costituisce un rimosso storico-politico mai realmente rielaborato, dunque mai superato. È per questo, dunque, che la figura di Moro ha acquistato uno statuto iconico, con cui il cinema e la televisione si sono confrontati più volte e con cui grandissimi interpreti del nostro cinema (da Roberto Herlitzka a Sergio Castellitto) si sono misurati, spesso calandosi in performance mimetiche memorabili. Pensiamo soprattutto a Gian Maria Volontè che lo incarnò per ben due volte, prima della sua uccisione, nell’affresco grottesco di Elio Petri, Todo Modo (1976) e, successivamente, ne Il caso Moro (1986), di Giuseppe Ferrara.
Come sappiamo lo stesso Bellocchio aveva raccontato la vicenda del rapimento in modo intimo, claustrofobico e visionario nel suo bellissimo Buongiorno, Notte, presentato a Venezia nel 2003, di cui Esterno notte, fin dal titolo, costituisce l’ideale controcampo, raccontando infatti ciò che succedeva fuori dall’appartamento delle Brigate Rosse, che tenevano segregato il presidente della Democrazia Cristiana in quei 55 giorni così terribili per la tenuta democratica del nostro paese. Se la pellicola con Roberto Herlitzka si rinchiudeva nelle quattro mura del covo dei brigatisti, con qualche sortita in un ufficio pubblico, aprendo però le porte dell’immaginazione cinematografica ad un finale aperto e fantasioso, qui invece conta tutto ciò che succede all’esterno, compresi gli ultimi cruciali quattro giorni precedenti il rapimento.
Una struttura circolare
Come nelle migliori tradizioni del noir e del giallo, generi con cui Bellocchio ha spesso dialogato in modo fruttuoso, l’autore de I pugni in tasca, in collaborazione con gli sceneggiatori Stefano Bises, Ludovica Rampoldi e Davide Serino, ci offre la terribile vicenda da molteplici punti di vista, tornando cronologicamente indietro con gli eventi, a seconda della prospettiva assunta, che varia ad ogni episodio. Nel primo vediamo Moro pronunciare un discorso importante agli amici e colleghi della DC, che sembrano convincersi ad aprire il governo anche al Partito Comunista di Berlinguer, e assistiamo ad una delle sue consuete lezioni all’università, ostacolata però dall’intervento di alcuni giovani dissidenti. Infine avviene il terribile rapimento con la strage degli agenti di scorta. Il secondo episodio viene invece raccontato dal punto di vista di Francesco Cossiga, futuro presidente della Repubblica, allora ministro degli interni, mentre il terzo assume la prospettiva di Papa Paolo VI, che intervenne con una famosa lettera in cui implorava i brigatisti di rilasciare Moro senza condizioni.
Atmosfere apocalittiche
Ciò che colpisce fin dal primo episodio di Esterno notte è l’atmosfera apocalittica in cui è immersa Roma, raramente così oscura, presa d’assedio da manifestazioni, cortei e scontri violenti con la polizia, nonché imbrattata di scritte inneggianti alle BR. Le notti della capitale illuminate da frequenti incendi, in qualche modo riecheggiano quella del finale de Il Caimano, in cui un mefistofelico Nanni Moretti, nei panni di Berlusconi, prevedeva una deriva violenta per il nostro paese. L’Italia del 1978 presentata da Bellocchio sembra in effetti uno scenario da fine del mondo, o almeno da fine della democrazia. Un’inquadratura a volo d’uccello del Vaticano e di Castel Sant’Angelo rievoca (volutamente?) certe immagini di Angeli e Demoni, il film tratto da Dan Brown che andava a scavare tra gli scheletri nell’armadio del Vaticano, confermando in un certo senso la vicinanza di Bellocchio al cinema di genere, con cui il cineasta emiliano ha flirtato, tramite opere che, sovente, si sono rivelate essere veri e propri thriller dell’anima.
Uomini di potere
E del thriller ha l’andamento Esterno notte, con i suoi andirivieni temporali e il succedersi degli eventi che, per chi non conosce la storia, o semplicemente per chi non ne ricorda la cronologia e i dettagli, costituiscono degli avvincenti colpi scena. L’oscura fotografia, realizzata da Francesco Di Giacomo, conferma e sorregge perfettamente la direzione presa da Bellocchio, con una rappresentazione fosca, quasi tenebrosa, delle stanze del Potere, entità indefinibile ed enigmatica che si incarna e frammenta in numerosi uomini, il cui operato è frutto sia di scelte mirate, spesso poco limpide, sia di errori irrazionali e maldestri. L’oscurità in cui essi operano è emblematica e inquietante. In questo Bellocchio riprende la lezione di Elio Petri che, soprattutto nel suo capolavoro Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) esplorava con sguardo impietoso, lucido e feroce quelle stesse stanze, mostrando il lato inesorabile dei potenti, ma anche il loro aspetto grottesco e infantile.
Il personaggio di Cossiga, interpretato da un superbo Francesco Russo Alesi, sembra infatti scaturito dall’immaginario cinematografico petriano: tormentato dal senso di colpa nei confronti dell’amico e mentore Moro, che sembra osservarlo severamente dalla famigerata foto sotto il manifesto delle brigate rosse, il ministro dell’interno si dibatte tra momenti decisionisti in cui sembra voler prendere le redini della situazione, ad altri in cui rimane in balia degli eventi e di sé stesso, rifugiandosi sovente in una stanzetta asettica nella quale riceve le persone, compreso lo spettro dello stesso Moro. Dissacrante la scena in cui Cossiga visita il centro intercettazioni, installato per l’occasione nel suo ministero, in cui le avveniristiche apparecchiature non servono ad altro che ad ascoltare le solitudini e le nevrosi del popolo italiano. Anche in questo sembra riprendere una delle celebri scene di Indagine.
Lo sguardo di Bellocchio
Lo sguardo beffardo di Bellocchio assesta le staffilate migliori in scene come la spartizione, stile macelleria, delle poltrone tra i ministri e i sotto-segretari della DC (“A me niente? Chi lo dirà a mia madre?”, afferma uno dei politici), nonché nelle riunioni tra Cossiga e i generali dei Servizi Segreti. Questi ultimi, probabilmente in malafede, propongono le soluzioni più irrazionali, dispendiose, lunghe e inutili per trovare Moro, personaggio scomodo, sia per il governo, presieduto da Giulio Andreotti, che per le opposizioni extra-parlamentari, nonché per gli americani (presenti nella serie con il personaggio di un ‘consulente’) che non vedevano di buon occhio l’apertura al PCI, proposta dal presidente della DC.
Caratteristica del cinema di Bellocchio è sempre stata quella di una grande lucidità di sguardo, coniugata a una notevole potenza visionaria, cosa che non disinnesca mai tale lucidità ma anzi la rafforza, facendo trasparire, proprio tramite questa cifra stilistica, le contraddizioni della nostra società. Sebbene in Esterno notte il lato visionario sembri meno preponderante, esso è comunque ben presente, fin dal potente incipit, di cui non diciamo nulla, per arrivare ad una immaginaria Via Crucis in cui Moro, seguito dai suoi colleghi di partito, trascina la croce per le vie di Roma.
Le sospensioni del racconto, il soffermarsi su volti e dettagli apparentemente non fondamentali, come per esempio sull’espressione del papa, sorpreso e felice di trovare Moro in fila per la comunione, costituiscono infine il DNA stilistico di un Bellocchio in gran forma.
Mimesi attoriale e cortocircuiti cinematografici
La performance di Fabrizio Gifuni nei panni del politico democristiano è davvero impressionante, avendo interiorizzato le movenze, sempre studiate, e il modo di parlare pacato e affabulante del grande oratore. Quasi un’opera di evocazione spiritica sembra l’interpretazione di Gifuni, che potrebbe addirittura reggere il confronto con quelle, memorabili, di Volonté nei film citati in precedenza. Non è l’unico cortocircuito cinematografico che si viene a creare con l’indimenticabile interprete di Indagine, nominato in una scena casalinga in cui Moro ascolta la radio e apprende che Volonté reciterà nel film di Rosi Cristo si è fermato a Eboli, quasi come se Bellocchio avesse voluto rendere omaggio alla stagione d’oro del cinema civile italiano. Altro cortocircuito da rilevare è Toni Servillo nel ruolo del Papa, attore che con la sua sola presenza evoca l’immaginario del cinema iperbolico di Paolo Sorrentino, basato spesso su potenti e grotteschi ritratti cinematografici di uomini politici realmente esistiti (Andreotti e Berlusconi), nonché di papi fittizi (nelle serie The Young Pope e The New Pope).
Ferite aperte
Impossibile rendere conto nello spazio di un solo articolo della complessità e della stratificazione di senso di un’opera talmente monumentale come questa, di cui attendiamo con ansia i successivi e conclusivi tre episodi, che usciranno nelle sale il 9 Giugno. L’intera serie verrà poi trasmessa da Rai1 in autunno. Possiamo soltanto consigliare di non perdere l’occasione di vederla in sala, per poterne fruire come se si trattasse di un unico film in due parti. Crediamo che Esterno notte possa rientrare di diritto nel novero dei prestige-drama televisivi internazionali più importanti, con cui potrà confrontarsi ad armi pari. Visto infine l’argomento, che andrà a toccare certi nervi scoperti e a riaprire ferite della nostra storia che evidentemente non si sono mai cicatrizzate, crediamo possa riaccendere il dibattito su un evento che ancora oggi scuote le coscienze di tutti.
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La recensione in breve
Esterno Notte è un'opera monumentale e complessa, impreziosita dallo sguardo lucido, affilato e al tempo stesso visionario di Bellocchio, su un evento che ha segnato tragicamente la nostra storia democratica. Un prestige-drama televisivo che, per fattura e profondità, non sfigura affatto con le grandi serie internazionali.
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Voto ScreenWorld