Eccessivo, straripante, provocatorio. Stiamo parlando di Elvis Presley o di Baz Luhrmann? Perché i tre aggettivi sono calzanti per entrambi. Gli abiti scintillanti del più grande uomo di spettacolo del XX secolo sembrano vestire a pennello anche il regista australiano. Un regista venerato e detestato, da prendere o lasciare. Un regista di cui, diciamolo, aspettiamo un ritorno ai vecchi fasti dai tempi di Moulin Rouge. Sono passati più di vent’anni e, per tornare alla bellezza di quella luccicante Parigi bohémienne, la strada deve passare da Memphis. C’era bisogno del dio dello show per ispirare un devoto come Luhrmann. Forse non toccherà le vette della Torre Eiffel, ma questo biopic ha tutta l’energia, la passione e l’amore per riaccendere la fiamma del cinema al cinema. Vi racconteremo perché nella nostra recensione di Elvis. Un film che parla di palcoscenici, showman e intrighi dietro le quinte. Un film che (proprio come Elvis) non dimentica mai la cosa più importante, senza la quale palcoscenici e showman non esisterebbero: il pubblico. Un pubblico da conquistare con la storia della più grande star mai esistita.
Elvis
Genere: Biografico
Durata: 159 minuti
Uscita: 22 giugno 2022 (Cinema)
Cast: Austin Butler, Tom Hanks, Kodi Smit-McPhee
Mantello da supereroe
Elvis inizia incastrato tra il sogno e l’incubo. Sospeso su un filo sul quale Baz Luhrmann cammina tutto il tempo. Inizia con un vecchio imbolsito che cammina tra roulette e slot machine, perso tra i luccichii di Las Vegas. È il colonnello Tom Parker a parlare (con le fattezze di un grottesco Tom Hanks), perché sarà lui a raccontarci la storia di Elvis Presley. Il punto di vista è quello del controverso manager del Re del rock’n roll, figura oscura con la fama del manipolatore spietato. È come se la storia di Batman fosse raccontata da Joker, dal villain della storia. Anche se in questo caso stiamo parlando di Superman. Perché Elvis è diventato un dio, e come tale è stato adorato, idolatrato, sopravvissuto alla morte terrena grazie al suo stesso mito.
Quello con i supereroi non è parallelismo che scomodiamo a caso, perché Baz Luhrmann ha trattato Elvis come un cinecomic. Una canonica origin story in cui raccontare genesi, ascesa e caduta di un uomo col costume da superstar. Incredibile come la prima mezz’ora, frenetica e ispirata, richiami tantissimo il linguaggio dei fumetti, con tanto di schermo diviso in vignette e ritmo forsennato per raccontare la prima epifania del piccolo Elvis. Bambino cresciuto a pane e albi di Shazam. Splendida la scelta di farci percepire il talento di Elvis come un superpotere, una vibrazione musicale che attraversa il suo corpo, gli entra nelle vene e non lo abbandonerà mai più.
Strofe e ritornelli
Se l’inizio di Elvis è folgorante, il resto del film procede a fiammate. Sbilanciato e discontinuo, il film ogni tanto si adagia su un biopic sin troppo classico nel racconto (seguendo l’ordine cronologico degli eventi) per poi alzare il volume ritrovando l’ispirazione. Come quando una canzone passa dalla strofa al ritornello. E non poteva che essere la musica la grande protagonista di un omaggio sentito, appassionato e pieno di stima nei confronti di una figura tanto granitica quando fragile. Una musica cantata, ballata e soprattutto trasmessa dalla voce al cuore del pubblico. Attraverso una figura popolare come Elvis, Luhrmann ha ritrovato il piacere di parlare in modo diretto anche al suo, di pubblico. Quello che lo dava disperso da nove lunghissimi anni. Ci voleva un’icona come Presley per spingere il regista a riflettere ancora una volta sul sacrificio del fare spettacolo, dell’essere un corpo prestato agli altri. La domanda nel cuore di Elvis sembra una: a chi appartiene una star? È di tutti o di nessuno? Qual è il dazio da pagare per una sconfinata notorietà? Questioni che Luhrmann sfiora lasciando che la storia realmente accaduta dia le sue risposte.
Senza imitare mai
Se il racconto di Elvis è abbastanza canonico, il “come lo racconta” fa la differenza. Luhrmann modella un ottimo Austin Butler per dare vita alla sua personale idea di Elvis Presley. Un Elvis a corrente alterna: a volte elettrico e sovraeccitato, altre stanco e distrutto. Un Elvis rievocato, mai imitato, a cui Butler si ispira senza per forza usare lo stampino. Un Elvis celebrato con rispetto, ma con il coraggio di scavare nel torbido dietro le quinte di un uomo vittima del suo personaggio, manipolato e schiacciato dal peso di una fama troppo grande per un solo uomo. Però, se la fama distrugge, la storia conserva. Così il mito di un personaggio così diverso da tutti gli altri non poteva che sopravvivergli. Sopravvivere e influenzare per sempre la cultura pop in ogni sua forma. Per questo Elvis è un film orecchiabile come una canzone e appassionante come un fumetto di supereroi. O semplicemente una grande storia da tramandare.
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La recensione in breve
Ispirato, sentito e travolgente. Elvis segna il grande ritorno di Baz Luhrmann a un cinema musicale in cui riflettere sulla società dello spettacolo. Grazie alla figura mitica della più grande star del Novecento, interpretato da un ottimo Austin Butler, abbiamo ritrovato anche un regista che ci mancava tanto.
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Voto ScreenWorld