L’elaborazione di una perdita e il confronto con la morte sono temi da sempre al cuore del cinema di François Ozon: un cinema che, proprio in virtù del suo intenso vitalismo, non può evitare di fare i conti con la fragilità intrinseca dell’esistenza umana, con la dolorosa consapevolezza della precarietà di tutto ciò che contraddistingue la nostra esperienza. È la premessa alla base della nostra recensione di È andato tutto bene, il penultimo lavoro del prolifico regista e sceneggiatore francese, che nel frattempo ha già preparato una nuova pellicola (Peter von Kant, libero adattamento dal suo amato Rainer Werner Fassbinder).
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2021, È andato tutto bene è la trasposizione del libro autobiografico di Emmanuèle Bernheim, scrittrice scomparsa nel 2017 e legata a Ozon da un lungo rapporto professionale, avendo collaborato con lui alle sceneggiature di Sotto la sabbia, Swimming Pool, 5×2 e Ricky. Proprio la Bernheim è infatti la protagonista assoluta di questo dramma, in cui a darle volto e voce, in una delle migliori prove della sua carriera, è una bravissima Sophie Marceau.
È andato tutto bene (2021)
Genere: Drammatico/Commedia
Durata: 113 minuti
Uscita: 13 gennaio 2022 (Cinema)
Cast: Sophie Marceau, André Dussollier, Géraldine Pailhas, Charlotte Rampling
La vita e la morte secondo François Ozon
La posizione di È andato tutto bene all’interno della filmografia di François Ozon è un’ennesima conferma della versatilità del cineasta parigino, della sua capacità di mutare stile e approccio pur mantenendosi fedele alla propria idea di cinema: questo rigoroso dramma sulla senilità, la malattia e l’eutanasia si colloca infatti fra un capolavoro sfacciatamente queer quale Estate ’85, ritratto dell’adolescenza e delle sue pulsioni irresistibili, e l’imminente rivisitazione del melò fassbinderiano per antonomasia, Le lacrime amare di Petra von Kant.
È andato tutto bene rientra invece in un filone più misurato, sommesso, ancorato alla realtà e al realismo: quello a cui appartengono anche Il tempo che resta e Il rifugio, incentrati non a caso sul binomio di morte e rinascita, o in tempi più recenti Giovane e bella e Grazie a Dio. Messi da parte gli eccessi ironici, la commistione di generi e il postmodernismo che contraddistinguono buona parte della sua produzione, qui Ozon non abbandona mai la prospettiva di Emmanuèle e sviluppa il racconto attraverso una scansione temporale ben precisa, con le date del calendario a segnalare l’inesorabile progressione degli ultimi mesi della vita di André Bernheim.
Padre e figlia
Il film si apre infatti con la notizia dell’ictus che colpisce l’uomo ultraottantenne, limitando da lì in poi le sue possibilità e inducendolo a una drastica decisione: il ricorso al suicidio assistito. Una decisione il cui peso ricade da subito sulle spalle delle sue due figlie: Pascale (Géraldine Pailhas) e la più risoluta Emmanuèle di Sophie Marceau, che accetta non senza sofferenza di assecondare la scelta del padre. Quest’ultimo ruolo, dipinto interamente dal punto di vista di Emmanuèle, è affidato a un veterano del cinema francese, André Dussollier, volto-simbolo dei film di Alain Resnais e qui impeccabile nell’offrire un ritratto che riesce a essere commovente, ma rifuggendo i patetismi: il suo André è un uomo tanto minato nel corpo (e Dussollier recita con il volto costantemente deformato) quanto determinato nello spirito, che alterna momenti di tenerezza a esplosioni di rabbia, fasi di sconforto a pennellate di umorismo. Dal canto suo, Ozon è attento a non ridurre mai i propri personaggi a mere funzioni narrative, ma conferisce a ciascuno di loro profondità e concretezza.
Il diritto di scelta
Altro merito di È andato tutto bene è quello di affrontare la questione dell’eutanasia celebrando in maniera implicita il diritto all’autodeterminazione dell’individuo, ma evitando al contempo di scivolare nella retorica del “film a tesi”. André non è certo un padre (o un marito) perfetto, e la sceneggiatura non manca di sottolinearne gli egoismi del presente (più o meno comprensibili) e gli errori del passato; né, d’altra parte, ha bisogno di soffermarsi più del dovuto sul malessere dell’uomo al fine di ‘ricattare’ lo spettatore. Accanto a Marceau e Dussollier, Ozon ritrova inoltre una delle sue attrici di fiducia, Charlotte Rampling, nella parte di una madre distante e, per certi versi, ancora segnata da un matrimonio tutt’altro che felice, mentre la diva tedesca Hanna Schygulla, ex-musa di Fassbinder, compare brevemente per incarnare un benevolo “angelo della morte”, pronto ad accompagnare André nell’atto del definitivo congedo.
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Conclusioni
Con sobrietà e misura, ma senza far mai venir meno la vicinanza ai personaggi e la partecipazione emotiva verso le loro scelte e i loro stati d’animo, François Ozon torna a trattare i temi della separazione dalle persone care e della coscienza della mortalità umana, elementi-chiave del suo cinema. Il risultato è un film ammirevole sotto diversi aspetti: dalla sapiente gestione del racconto all’apporto di un’efficacissima squadra di interpreti.
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Voto ScreenWorld