Lucca. Anno 2019. Siamo ancora nel mondo di prima. No, non è una notte buia e tempestosa ma un pomeriggio di fine ottobre. La piazza è gremita e nell’aria c’è odore di fremente attesa. Un grande monolite coperto di nero domina la scena accanto allo stand della Sergio Bonelli Editore. L’evento misterioso di quella edizione del Lucca Comics & Games sta per essere svelato. Alle 17.30 del 31 ottobre il poster del film di Dampyr viene presentato in pompa magna con tanto di bigliettino da visita in allegato: Bonelli Cinematic Universe. Il primo tassello di un progetto editoriale ambizioso. Il cinema italiano, da sempre allergico al concetto di industria dell’intrattenimento, si scrolla di dosso ogni complesso di inferiorità e mostra i muscoli. O meglio, i canini.
Peccato che quella fosse la Notte di Halloween con tanto di maledizione in tasca. Perché di lì a pochi mesi il mondo avrebbe avuto altri programmi. La pandemia blocca Dampyr per quasi tre anni. Una parentesi infinita in cui il film scompare dai radar, si nasconde e diventa quasi leggenda. Poi, appena un mese fa, ecco l’annuncio. Il film uscirà il 28 ottobre con tanto di anteprima mondiale proprio lì dove tutto era iniziato. A Lucca. Magari per spezzare la maledizione con un cinecomic capace di dare vita a un universo condiviso. Ci sarà riuscito? Ve lo raccontiamo nella nostra recensione di Dampyr.
Dampyr
Genere: Azione, fantastico, horror
Durata: 109 minuti
Uscita: 28 ottobre 2022 (Cinema)
Cast: Wade Briggs, Stuart Martin, Frida Gustavsson
La trama: Guerra nella guerra
1992. Nella pancia di una guerra bosniaca Non importa chiarire quale. La guerra ha sempre la stessa faccia: disperazione, distruzione, uomini indottrinati, pieni di odio e rancore. Tra strade malmesse di un villaggio fantasma un gruppo di militari capitanati dal ligio Kurjak si imbatte in un mucchio di cadaveri con strani segni addosso, tutti privi di sangue. I sospetti cadono subito sui vampiri, creature incastrate tra la leggenda e il folklore popolare.
Esistono davvero? E qualora la risposta sia sì, chi sarebbe in grado di sconfiggerli?
La risposta alla seconda domanda ha un solo nome: un dampyr. Una creatura ibrida, nata dall’incontro maledetto tra un vampiro superiore e una donna umana. Fin dalle sue semplici premesse si intuisce subito che Dampyr è un adattamento molto fedele al fumetto ideato nel 2000 da Mauro Boselli e Maurizio Colombo. Un fumetto che percorreva una strada in perfetto equilibrio tra sporco realismo (la guerra dell’Est) e mito leggendario. Oggi come allora, la storia è quella di una guerra nella guerra. Una matrioska di conflitti in cui umani e mostri si confondono nella nebbia.
Il tempo esigente
Sono passati ventidue anni da quando Dampyr approdava in edicola e nel cinema di oggi non poteva certo rimanere uguale a se stesso. Per questo la sceneggiatura firmata a otto mani da papà Boselli, Alberto Ostini, Giovanni Masi e Mauro Uzzeo ha avuto la grande intelligenza di aggiornare il tutto ai tempi del cinecomic contemporaneo. E allora ecco sprazzi di ironia, battute a effetto e soprattutto la volontà di dare un po’ più di spessore ai personaggi. Con rispetto del materiale originale ma senza timori reverenziali, Dampyr rispetta il fumetto (per la precisione i primi due numeri della saga) per la gioia dei fan, ma ha l’intelligenza di tradirlo quando serve. Lo fa cambiando il prologo, a cui viene dato un tocco più mitologico.
E soprattutto alimentando la vocazione internazionale del progetto (il film verrà distribuito nel mondo dalla Sony, è bene sottolinearlo), che impone di aggiustare la mira.
Così il trio Harlan-Kurjak-Tesla viene intrecciato con più cura e più affiatamento, creando piccoli momenti emblematici capaci di dare più spessore ai personaggi. Sempre nell’ottica di un cinecomic bellico (dove la guerra è più personale che collettiva) a tinte vagamente horror senza grandi velleità introspettive. Nasce così l’affinità istintiva ed empatica tra sopravvissuti mai in pace con se stessi. Tre disperati che si aggirano come anime in pena tra i detriti di un mondo in rovina e tanta voglia di ricostruire almeno le loro identità. E magari di trovare un posto nel mondo.
Il tempo passato
Se la sceneggiatura prova a fare un salto avanti di vent’anni, strizzando l’occhio allo standard del cinecomic americano, lo stesso non si può dire della messa in scena. Peccato, perché la regia di Riccardo Chemello funziona bene quando è “statica”. Funziona quando dà il giusto respiro alle suggestive scenografie (più ispirate nel realismo bellico che nella dimensione onirica) e soprattutto quando utilizza con grande intelligenza le silhouette. Perfetto richiamo alla composizione delle tavole fumettistiche cariche di un denso nero a china.
I problemi iniziano quando Dampyr inizia a muoversi. Le scene action sono spesso confusionarie, buie, penalizzate da un montaggio incapace di rendere leggibile quello che sta succedendo sullo schermo. Alcune soluzioni estetiche sono pigre (il design e la caratterizzazione grottesca dei vampiri sanno troppo di già visto troppe volte) e alcune soluzioni (dalle nubi ai campi di forza, passando per il bullet time) sono davvero fuori tempo massimo.
Diciamo “peccato” perché il film arriva all’atto finale dopo essere andato avanti per livelli di difficoltà crescente. Come in una serie di quest videoludiche con mini-boss a chiudere le singole tappe dell’avventura. Il tutto abbozzando una mitologia semplice ma affascinante e creando una buona alchimia nel trio di protagonisti (dove svetta un convincente Stuart Martin, a tratti identico a Hugh Jackman (non a caso doppiato dalla stessa voce, quella di Fabrizio Pucci). E poco importa che il suo Kurjak sia molto più convincente e carismatico di Harlan stesso, che paradossalmente funziona soltanto quando ha il rude soldato al suo fianco.
Peccato perché Dampyr sembra mollare la presa proprio nell’atto finale, dove la regia diventa di colpo molto sciatta e frettolosa nel gestire i conflitti. Un cambio di tono, di tatto e di pazienza troppo brusco per non lasciare l’amaro in bocca.
Ascoltare il sangue
Se parliamo di amarezza, significa che abbiamo assaporato qualcosa di dolce. Perché questo Dampyr ha il sapore di un primo assaggio. Il primo morso a una torta che potrebbe avere più gusti e più strati. Un film che ha un appeal internazionale, che si appoggia su un genere considerato da molti “passato di moda” solo da chi dimentica il fascino vintage di operazioni volutamente “vecchia scuola” come Shazam, Capitan Marvel e Venom, che affondano a piene mani nell’immaginario degli anni Novanta.
In tanti si sono chiesti come mai il Bonelli Cinematic Universe sia partito proprio con Dampyr, ignorando i due fratelli maggiori della casa editrice (Tex e Dylan Dog). La risposta non è soltanto nel genere più ammiccante, ma anche nella natura del personaggio. Nei primi numeri Harlan era come Dampyr stesso. Una crisalide in divenire, non ancora pronta a diventare farfalla. Un uomo in ricerca, insicuro, a caccia della sua vera natura.
Questo film è così. Un primo passo verso un mondo più grande. La prima tappa di un avventura tutta da scoprire. Un passo ancora incerto ma pur sempre avanti. Un film che, secondo noi, va sostenuto scrollandoci di dosso la diffidenza nei confronti del Made in Italy che osa pensare in grande. Come se fosse una presunzione fastidiosa per alcuni. Perché, diciamolo, per troppo tempo ci siamo castrati da soli. Diffidenti nei confronti del film italiano che osava travestirsi da altrove. Adesso è tempo di cambiare passo. Sì, forse ci siamo svegliati tardi, ma le Origin Story ci hanno insegnato che il viaggio dell’eroe passa sempre dalla caverna più profonda. Forse la luce è oltre i detriti calpestati da un dampyr coraggioso.
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La recensione in breve
Dampyr è un film con un appeal internazionale, un primo passo verso un mondo più grande. Un film che strizza l'occhio allo standard del cinecomic americano, ma fallisce nella messa in scena e nella costruzione delle scene action.
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Voto ScreenWorld