Il sole è al crepuscolo mentre un vecchio pick-up dal cambio manuale si avvicina ad un ranch: pochi dettagli, la leva del cambio, lo specchietto retrovisore in cui intravediamo gli occhi del guidatore, la silhouette in controluce di un anziano cowboy che, nonostante l’evidente difficoltà con cui esce dal veicolo, si staglia comunque in tutta la sua possanza.
È così che Clint Eastwood fa la sua iconica entrata nell’incipit della sua nuova fatica cinematografica, come regista, attore e produttore. Elegiaco, crepuscolare, nostalgico sono aggettivi che andrebbero certamente bene per tutte le pellicole in cui, negli ultimi anni, il divo si è concesso ancora di comparire come attore, per cui li spendiamo subito qui e ci leviamo il pensiero.
Ciò che vorremmo sottolineare in questa nostra recensione di Cry Macho – Ritorno a casa, ingiustamente trattato male da una parte della critica statunitense (soprattutto dal regista-saggista Paul Schrader) è che Clint, alla veneranda età di 91 anni, non ha alcun bisogno di dimostrare nulla a nessuno e i suoi film li realizza principalmente per sé stesso: se poi, incidentalmente, incontrano il favore del pubblico, tanto meglio, altrimenti il divo se ne farà certamente una ragione e continuerà comunque per la sua strada, come ha sempre fatto in tutta la sua carriera. E Cry Macho potrebbe costituirne la chiosa ideale, almeno come attore.
Cry Macho (2021)
Genere: Drammatico
Durata: 104 minuti
Uscita: 2 dicembre 2021 (Cinema)
Cast: Clint Eastwood, Eduardo Minett, Natalia Traven
Il cowboy in cerca di redenzione
Clint Eastwood lo ritroviamo qui, ancora dimesso e acciaccato, che passa le serate a bere whisky al tramonto nella veranda fuori casa. È il 1978 e Mike Milo, questo il nome del protagonista, ha un passato doloroso alle spalle: un incidente gli ha troncato la carriera da cowboy da rodeo mentre un altro evento gli ha portato via moglie e figlio. Da qui un passato di alcool e auto-distruzione. Come per molti personaggi eastwoodiani arriva l’occasione di una redenzione. Nello specifico, il suo vecchio amico, nonché datore di lavoro, Howard (interpretato dall’attore e cantautore country Dwight Yoakam) gli chiede di andare in Messico a riprendere il figlio tredicenne, in balia di una madre irresponsabile, collusa tra l’altro con i trafficanti di droga.
La genesi di Cry Macho e la collaborazione con Shenk
La storia di Cry Macho nasce negli anni’70 con una sceneggiatura che Richard Nash propose invano alla 20th Century Fox, per poi trasformarla in un romanzo che ebbe invece un certo successo. Da qui i successivi tentativi, tra gli anni Settanta e Ottanta, di trasporlo in un film con vari protagonisti papabili, tra cui Roy Scheider, Burt Lancaster, Pierce Brosnan, Arnold Schwarzenegger e perfino lo stesso Eastwood che rifiutò nel 1988 per interpretare Scommessa con la morte, ultimo film sull’ispettore Callaghan. Nel 2000 purtroppo Nash muore ma quella storia aveva colpito evidentemente l’immaginazione del cineasta californiano ed era maturata al punto da riprendere le redini del progetto come regista e produttore, con la sua Malpaso, e affidare il nuovo adattamento a Nick Schenk, già sceneggiatore di Gran Torino e The Mule.
Infatti con questi ultimi due titoli Cry Macho condivide uno script condito di quei dialoghi ironici, taglienti e lapidari che hanno da sempre contraddistinto Eastwood attore e ne costituiscono una sua cifra indelebile. Schenk ha saputo, meglio di chiunque altro negli ultimi anni, cogliere quello spirito disincantato, cinico e al tempo stesso romantico dell’Eastwood più recente, consapevole da un lato degli anni che passano, dall’altro ancora indomito nel portare avanti la sua poetica incentrata sugli ultimi, sui reietti della società e su uno spirito americano privo di retorica, basato su una purezza primigenia, sicuramente perduta dall’attuale società statunitense.
La decostruzione di un’icona
Anche qui, come in Gran Torino, c’è un rapporto paterno con un ragazzo appartenente ad una diversa etnia, Hmong nel film del 2008, messicano in Cry Macho. La parola Macho del titolo si riferisce ad un gallo da combattimento che Rafo, questo il nome del ragazzo interpretato da Eduardo Minett, ha allenato personalmente e, se vogliamo, costituisce una prosecuzione di quella vena comica che in Filo da torcere (1978) e Fai come ti pare (1980) vedeva Clint affiancato da un orangotango di nome Clyde. Se in alcuni momenti di quei film l’intervento del simpatico animale era determinante, anche qui il gallo si rivelerà risolutivo in alcuni frangenti.
Ma il nome dato all’animale sarà anche occasione per Clint di riflettere sulla sopravvalutazione del concetto stesso di macho. In un dialogo significativo Mike svelerà al ragazzo, impregnato dal mito del cowboy, che non vale la pena fare un mestiere in cui si rischia di rompersi la schiena tutti i giorni. Non solo ma il nostro ammette che: “È come qualsiasi cosa nella vita. Pensi di avere tutte le risposte, poi, come invecchi, capisci che non ne hai nessuna.”
Prosegue dunque la decostruzione del mito e della sua icona che Eastwood porta avanti ormai da molti anni, se pensiamo per esempio che già nel 1992 William Munny, il pistolero de Gli spietati, dopo una vita di omicidi, affermava che “uccidere un uomo è una cosa grossa: gli levi tutto quello che ha e tutto quello che sperava di avere.”
La demitizzazione dell’icona Eastwood è in realtà un lungo processo iniziato già 50 anni fa e che ha attraversato tutta la sua carriera. Già nella sua prima regia, Brivido nella notte (1971), Clint interpretava un D.J. tormentato da una stalker che aveva ben poco di eroico e in La notte brava del soldato Jonathan (1971), di Siegel, faceva una brutta fine, divenendo l’oggetto del desiderio di un collegio femminile in un fosco noir a tinte gotiche ambientato durante la guerra civile americana. In Bronco Billy (1980) il protagonista rinunciava, per non mettere nei guai un amico, a reagire davanti ad uno sceriffo ostile e prepotente, in Honkytonk man (1982) Clint era Red Stovall, un cantante country-folk malato gravemente nonché sulla via del tramonto, in Coraggio fatti ammazzare (1983) Callaghan rinunciava ad arrestare una omicida per solidarietà con una donna che ne ha subite veramente troppe, mentre in Corda tesa (1984) il detective Wes Block trovava non pochi punti in comune con uno psicopatico assassino. Cry Macho rappresenta idealmente una chiusura di questo percorso, ulteriore ma, secondo alcuni inutile, dopo Gran Torino (2008) e The Mule (2018).
Noi pensiamo che difficilmente un film di Clint possa essere inutile e che anche quest’ultimo costituisca un tassello importante, seppur più intimo e dimesso, in un percorso coerente e ineccepibile. La redenzione di Mike Milo, resa possibile dal confronto con un ragazzo difficile, è certamente non nuova nei temi eastwoodiani, ma qui viene declinata in una forma che riesce ad essere al tempo stesso intima ed epica. Nel respiro visivo dato agli splendidi paesaggi del Messico e nella narrazione, dal ritmo classico, con cui Eastwood si prende i suoi tempi, che rende mitica e paradigmatica anche una storia semplice.
Il microcosmo dei reietti
Inoltre Clint ritrova un tema molto caro e cioè quello della comunità di reietti che scoprono nella solidarietà reciproca la loro ragion d’essere, come già accadeva in Il texano dagli occhi di ghiaccio (1976), in cui il fuorilegge Josey Wales si trascinava dietro un capo Cherokee esiliato dalla sua tribù, una giovane Navajo, una anziana squinternata con nipote al seguito e un cane spelacchiato. Così in Cry Macho Milo, in compagnia del giovane Rafo, si lascia piacevolmente coinvolgere dalla placida vita di un piccolo paesino messicano in cui potrebbe forse trovare la possibilità di una nuova vita accanto alla bella vedova Marta, gestrice di una vecchia locanda rattoppata, rimasta sola ad accudire le nipotine. È qui che la narrazione procede più lieve e Eastwood si prende i suoi tempi per raccontarci questa parentesi quasi bucolica di cui il suo personaggio, anzi tutti i suoi personaggi, avevano bisogno: un buen retiro in cui riposare le stanche membra e godere di una serenità negata per tutta la vita.
Un ultimo ballo
È in questo contesto che Clint/Milo si concede una memorabile scena di ballo con Marta, nel suo polveroso locale vuoto, illuminato da una magnifica luce crepuscolare. Era dai tempi de I ponti di Madison County che Clint non ballava (cosa comunque rara per lui), e vederlo stringere teneramente tra le braccia Marta/Natalia Traven diventerà certamente un nuovo momento cult nella filmografia eastwoodiana, alla faccia di tutti coloro che lo hanno accusato di essere eccessivamente sdolcinato.
Ancora in sella!
È sempre nel piccolo paese messicano che Clint regala un ultimo dono agli spettatori e cioè il privilegio di vederlo cavalcare ancora una volta. Sebbene sia chiaro che nelle scene (poco plausibili peraltro, vista l’età del personaggio) in cui Milo addomestica un cavallo selvaggio, si tatti evidentemente di una controfigura, vedere Clint di nuovo al trotto, in groppa ad uno splendido Mustang, non può che scaldare il cuore di qualunque cinefilo che abbia mai amato i suoi Stranieri senza nome, Biondo, Monco, Joe, Predicatore e così via. Non è più solo Eastwood a salire su quel cavallo ma è un pezzo di storia del cinema che si concretizza e che vuole darci un ulteriore saluto. E noi non possiamo fare altro che rispondere di conseguenza, con un occhio magari un po’ lucido e commosso per un’icona del cinema che ha ancora qualcosa da dire. Non mancano un paio di passaggi narrativi eccessivamente sbrigativi o semplicistici in questa nuova pellicola, ma assolutamente perdonabili. Anche se Cry Macho dovesse essere il suo ultimo film come attore (come regista sembra davvero infaticabile) crediamo che sarebbe dunque una gran bella conclusione per Clint Eastwood, nonostante non siamo dalle parti di un capolavoro come Gran Torino.
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Conclusioni
Sebbene Cry Macho non sia un capolavoro nella filmografia eastwoodiana, crediamo che ne costituisca una degna conclusione, soprattutto della parabola del suo personaggio, icona e mito del cinema americano, che trova qui un'ulteriore e importante tassello della sua decostruzione.
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Voto ScreenWorld